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Roma, 18 giugno - L’Assemblea generale della Cgil, riunitasi ieri e oggi a Roma, presso la sede nazionale della Confederazione, ha approvato un documento conclusivo sull’esito dei referendum dello scorso 8 e 9 giugno e sul relativo percorso da avviare.
Inoltre, è stato approvato un ordine del giorno sulla pace e sulle politiche internazionali.
DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CGIL - 17-18 GIUGNO 2025
L’Assemblea generale della Cgil ringrazia le elettrici e gli elettori, le delegate e i delegati, le iscritte e gli iscritti, le militanti e i militanti della nostra organizzazione, dei comitati referendari e delle tante realtà che si sono mobilitate, nel corso dell’ultimo anno e mezzo, per sostenere la campagna referendaria conclusa con il voto dell’otto e nove giugno scorsi.
Una stagione straordinaria di impegno, di passione, di militanza che ha attraversato l’intero Paese, dai territori ai luoghi di lavoro, promuovendo una grande partecipazione democratica fondata sull’ascolto, sul confronto, sul coinvolgimento, sul rapporto diretto con milioni di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati, giovani, cittadini, che ci ha permesso di riportare al centro del dibattito pubblico la battaglia per un lavoro più tutelato, dignitoso, stabile, sicuro, e per una società più aperta, solidale e coesa.
Un patrimonio di impegno e di partecipazione che rappresenta una risorsa per l’intera democrazia italiana. Una risorsa che non va dispersa ma anzi valorizzata per continuare la battaglia per cambiare radicalmente un modello sociale, economico e di sviluppo ormai insostenibile da tutti i punti di vista.
La bocciatura da parte della Corte costituzionale del quesito sull’autonomia differenziata (una legge che continueremo a contrastare perché, seppur pesantemente sanzionata dalla Consulta, rappresenta ancora un rischio per l’unità e la coesione sociale del Paese) ha privato la campagna di un elemento trainante molto forte.
In ogni caso, l’obiettivo che ci eravamo posti non lo abbiamo raggiunto: il mancato quorum non ci ha consentito di abrogare le leggi che hanno aumentato la ricattabilità, la precarietà e reso più insicuro il lavoro.
Le ragioni che hanno spinto la maggioranza degli elettori ad astenersi sono diverse.
Innanzitutto, l’astensionismo cronico, principale sintomo della crisi profonda in cui da troppo tempo versa la nostra democrazia. Si sta evidentemente perdendo fiducia nelle Istituzioni democratiche, considerate incapaci di migliorare le condizioni materiali di vita e di lavoro delle persone. Nemmeno uno strumento di democrazia diretta come il referendum, che consente di modificare direttamente le leggi senza delegare nessuno, è stato in grado di invertire questa tendenza, a cominciare dalle aree sociali e geografiche che vivono di più il disagio e l’esclusione dai diritti sociali e di cittadinanza.
Inoltre, ha pesato negativamente un sistema di informazione che – a partire dal servizio pubblico, come evidenziato dai dati forniti dall’AGCOM – ha sostanzialmente silenziato la campagna referendaria, impedendo la possibilità stessa di promuovere nel Paese un confronto aperto tra le diverse posizioni in campo e un dibattito pubblico approfondito sul merito dei temi oggetto della consultazione.
A ciò si è aggiunta una politicizzazione dell’appuntamento referendario pro o contro l’Esecutivo che ha, di fatto, contribuito a oscurare e mettere in secondo piano il contenuto dei quesiti che proponevano un radicale cambiamento di una cultura e di un impianto legislativo promossi, negli ultimi trent’anni, dai diversi Governi che si sono succeduti nel nostro Paese. Politicizzazione che si è acuita con l’invito esplicito delle forze politiche di maggioranza – e anche di rappresentanti istituzionali al più alto livello – a disertare le urne, rifiutando in questo modo qualunque confronto sui quesiti lavoristici e limitandosi a contrastare quello sulla cittadinanza, strumentalizzando le paure, le preoccupazioni e le insicurezze delle persone.
Ammettendo con chiarezza la nostra insoddisfazione per l’esito dei referendum, non possiamo tuttavia non sottolineare gli elementi positivi e fondamentali che la campagna referendaria ci consegna e da cui ripartire per rilanciare la nostra azione.
Innanzitutto, il fatto che la nostra organizzazione ha favorito la partecipazione al voto di 15 milioni di elettrici ed elettori. E di questi, oltre 13 milioni hanno condiviso la nostra posizione. Si tratta di un numero rilevante di persone che non è riducibile ad un preciso orientamento politico e culturale, e che ha visto ritornare alle urne anche una parte di quanti si sono astenuti negli ultimi appuntamenti elettorali.
Particolarmente significativa è stata la partecipazione: delle elettrici (54% dei votanti)); delle giovani generazioni (il 37% dei votanti appartiene alla fascia di età 18/34 anni, il 39% a quella 35/54 anni, il 24% alla fascia degli over 55); di elettrici ed elettori delle periferie e dei quartieri popolari di molte città.
Non a caso le soggettività sociali più direttamente coinvolte dai quesiti.
Si tratta di un investimento fondamentale – che vede la Cgil impegnata in percorsi specifici – su cui continuare a concentrarsi per garantire il futuro del Paese e della nostra stessa organizzazione.
Altrettanto importante è stato il lavoro di reinsediamento e di allargamento della nostra presenza nel territorio e nel Paese, portato avanti dalla Confederazione, dalle Categorie, dalle Camere del lavoro. Abbiamo costruito una rete diffusa di alleanze e di impegno comune con le forze sociali, politiche, associative, con le attiviste e gli attivisti del comitato per la cittadinanza, con il mondo della cultura e della società civile che hanno dato vita insieme a noi ai comitati referendari territoriali, soggetti da valorizzare, da coinvolgere anche nella nostra discussione e a cui dare continuità d’azione.
C’è poi un aspetto negativo che non possiamo sottacere: il numero ridotto di sì al quinto quesito sulla cittadinanza che si è trasformato in un referendum sull’immigrazione. Segno che i temi della cittadinanza e dell’immigrazione necessitano di un lungo lavoro sindacale, culturale, politico, di ascolto e di confronto che va rilanciato nei luoghi di lavoro e nella società italiana.
Questa campagna referendaria ha già segnato un cambiamento significativo del nostro modo di essere e di agire l’azione politico-sindacale, dentro e fuori i luoghi di lavoro. Ci ha permesso di discutere di temi confederali nelle assemblee con le lavoratrici e i lavoratori; di aprirci e allargare la presenza nel territorio; di riattivare canali di militanza e relazioni con le tante realtà vive del Paese; di investire sul rapporto diretto con le persone.
A partire da questi elementi, l’Assemblea generale della Cgil ritiene fondamentale dare piena e coerente continuità alla mobilitazione messa in campo che ha riportato, in maniera diffusa, tutti i livelli dell’organizzazione in mezzo alle persone, con l’obiettivo di rendere l’impegno straordinario che abbiamo sviluppato negli ultimi mesi una modalità ordinaria della nostra azione sindacale. Ciò con una programmazione definita per sviluppare ancor di più un legame con le persone, per ascoltarle, provare a risolvere i loro problemi, dare loro vicinanza e sostegno, ricostruire una relazione sindacale sempre più forte.
Il primo compito che ci assegniamo è quello di non disperdere questo grande patrimonio di pratica democratica, di partecipazione, di confronto e di condivisione, che invece deve rappresentare la base di ripartenza per continuare la nostra battaglia per un’altra idea di società e di Paese.
Con tutte e tutti coloro che siamo riusciti a coinvolgere, ma anche con chi abbiamo incontrato e ha scelto di non votare, il rapporto deve proseguire, soprattutto sui territori, con il protagonismo delle Camere del lavoro su cui dobbiamo concentrare risorse e investimento politico e organizzativo per rilanciare la dimensione confederale e territoriale della nostra iniziativa.
Continuità vuole dire, innanzitutto, portare avanti – attraverso la contrattazione a tutti i livelli – gli obiettivi della battaglia referendaria contro la precarietà, per la sicurezza e la stabilità del lavoro, per cambiare il sistema degli appalti, incrociandola con le altre priorità che ci siamo dati attraverso un’azione generale che deve vedere impegnata tutta la Confederazione ad ogni livello:
- la questione salariale a partire dal rinnovo di tutti i CCNL pubblici e privati per difendere e rafforzare il potere di acquisto dei salari con il pieno sostegno alle Categorie nelle vertenze aperte dei metalmeccanici (sciopero il prossimo 20 giugno), delle telecomunicazioni, della sanità privata, dei settori del terziario e dei servizi (farmacie, portierato, lavoro domestico) e dei settori pubblici e della conoscenza; nonché la tutela del potere d’acquisto delle pensioni e il rafforzamento del sistema previdenziale;
- la giustizia fiscale;
- le politiche industriali e il governo delle transizioni energetica, ecologica e digitale;
- le politiche economiche e finanziarie;
- le politiche per il Mezzogiorno;
- sanità, welfare, istruzione, casa.
Vanno sviluppate – e tenute insieme – la contrattazione e la vertenzialità nazionale con quelle territoriali, puntando su obiettivi che aggregano, che mobilitano e che rispondono alle condizioni e ai bisogni più urgenti che emergono territorio per territorio.
La continuità di cui abbiamo bisogno deve rimettere al centro la democrazia nel Paese e nei luoghi di lavoro. Il coinvolgimento delle persone, la loro partecipazione collettiva e la pratica democratica devono rappresentare metodo e vincolo della nostra azione contrattuale e sindacale: dalla generalizzazione delle elezioni RSU nei settori privati al voto di lavoratrici e lavoratori su piattaforme e accordi, sino al rilancio dell’iniziativa per conquistare una legge su democrazia e rappresentanza e sul salario minimo.
Solo rinnovando e rafforzando il modello di sindacato generale – fondato sulla rappresentanza e sulla pratica costante della democrazia – possiamo rispondere sia alla crisi democratica del nostro Paese, sia all’offensiva autoritaria del governo, che punta ad affermare un modello sindacale subalterno e neocorporativo. La democrazia è la condizione dell’unità sindacale che rimane un diritto fondamentale di tutte le lavoratrici e i lavoratori da praticare in ogni luogo di lavoro e nella società.
Questo significa anche fare delle scelte coerenti sul nostro modello organizzativo e di contrattazione inclusiva, per renderlo più capace di rispondere alle esigenze di rappresentanza di un mondo del lavoro in profonda trasformazione in un’ottica di ricomposizione dei cicli produttivi e delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori oggi frammentate.
Altro aspetto positivo che va consolidato: il salto di qualità che, durante la campagna referendaria, abbiamo compiuto dal punto di vista della comunicazione, con la Cgil in tutte le sue articolazioni territoriali e di Categoria che – sia a livello nazionale che sui territori – ha parlato con una voce unitaria e coerente, utilizzando efficacemente anche i nuovi strumenti digitali che hanno giocato un ruolo decisivo nel far conoscere l’appuntamento referendario, i suoi contenuti, la posizione della nostra organizzazione. È necessario proseguire con un progetto uniforme per la creazione e la fruizione di contenuti e di materiali, ma anche per un interscambio continuo, con il territorio e le categorie, di esempi e storie attraverso il coordinamento della comunicazione Cgil e di Futura. L’obiettivo è quello di supportare il lavoro quotidiano delle strutture e le iniziative future che si decideranno (ad esempio su sanità, casa, fisco, diritto al lavoro stabile e sicuro, e in ogni caso assemblee, manifestazioni, congressi, etc.…), realizzando in questo modo un coinvolgimento dei comunicatori in momenti di incontro, di lavoro e di sviluppo progettuale.
Analogamente, dobbiamo sviluppare e rendere strutturale la formazione che abbiamo sperimentato in occasione della campagna, valutando l’esperienza realizzata per capirne i numeri reali e l’efficacia dei contenuti.
In definitiva, per tutte queste ragioni, non intendiamo affatto considerare la fase che abbiamo alle spalle come una parentesi da chiudere per tornare a svolgere il “nostro mestiere”. Perché il nostro mestiere è esattamente quello di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone, cambiando i rapporti di forza all’interno della nostra società, affinché il mondo del lavoro affronti – da protagonista – i prossimi mesi che saranno cruciali per il futuro del nostro Paese.
Nella consapevolezza che la Cgil deve saper cambiare anche sé stessa per cambiare la realtà che la circonda.
Alla luce di queste valutazioni e in coerenza con la strategia che abbiamo portato avanti, l’Assemblea generale della Cgil ritiene urgente avviare un percorso di confronto e discussione collettiva che coinvolga l’insieme dell’organizzazione, le delegate e i delegati, le iscritte e gli iscritti, per assumere decisioni vincolanti finalizzate alla ridefinizione del profilo programmatico e al cambiamento organizzativo e contrattuale della nostra organizzazione.
L’Assemblea generale della Cgil sarà riconvocata il 23 e il 24 luglio, a seguito dello svolgimento delle Assemblee generali delle strutture che si terranno nelle prossime settimane, per deliberare le forme, le modalità, i tempi e i contenuti di questo percorso di discussione; e per definire le iniziative, le azioni e le vertenze generali per dare continuità alla nostra mobilitazione.