Giacomo Manzù (Bergamo, 1908 – Ardea, Roma, 1991)

Figlio di un ciabattino, a soli undici anni inizia a collaborare con diverse botteghe artigiane, fra cui un carpentiere e un intagliatore del legno. Ottenuto il diploma in Plastica decorativa all’Istituto Fantoni, durante il servizio militare, che svolge a Verona (1927), frequenta sporadicamente l’Accademia Cignaroli. Dopo un breve soggiorno parigino (1929), si stabilisce a Milano, dove gli viene commissionata la decorazione della cappella dell’Università Cattolica, che termina nel 1932. Nello stesso anno espone alla Galleria Il Milione. A dispetto del consenso riscosso, si ritira a Selvino, in provincia di Bergamo, e vira i propri interessi verso il lavoro di Medardo Rosso. Dopo la mostra alla Triennale di Milano del 1933, in cui espone una serie di busti molto apprezzati dalla critica, si reca a Parigi in compagnia di Aligi Sassu, con cui divide lo studio, e si interessa al lavoro di Rodin. L’anno seguente tiene la sua prima grande mostra, insieme a Sassu, alla Galleria La Cometa di Roma. A Milano frequenta assiduamente Renato Birolli e si dedica a uno stile antiretorico, in forte opposizione con il movimento di Novecento italiano, che nel giro di poco tempo lo porterà ad aderire al gruppo di «Corrente». Nel 1936 espone per la prima volta alla Biennale di Venezia. Tre anni più tardi inizia la serie di bassorilievi sul tema della crocifissione (sino al 1946) che, attraverso l’iconografia cristiana, simboleggiano la resistenza alle brutalità del regime. Questo ciclo di opere, esposte alla Galleria Barbaroux di Milano nel 1942, vengono messe sotto accusa dalla Chiesa e dallo Stato. Parallelamente alle crocifissioni l’artista inizia anche il ciclo dei Cardinali, figure ieratiche la cui tensione spirituale è sottolineata dalla forma piramidale della stola. Nel 1943 partecipa alla IV Quadriennale di Roma (vi aveva già esposto nel 1939 e vi tornerà nel 1951, ’56 e ’72). La sua inclinazione per una religiosità laica tocca il suo apice nella Porta della Morte per San Pietro in Vaticano (1952-64), opera cui farà seguito La porta dell’amore (1955-58). Dalla fine degli anni Sessanta si dedica a opere imponenti come il Monumento al Partigiano che dona alla città di Bergamo nel 1977.

(Andrea Romoli)


Il nostro domani si chiama lavoro, 1977, tecnica mista su carta, 101×71 cm

(Foto: Alessandra Pedonesi e Aldo Cimaglia)