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In Italia, essere madre è ancora un rischio per il lavoro.
Nel 2023, oltre 37.000 madri hanno lasciato il lavoro, spesso sotto pressione, in un clima di ricatti velati, isolamento o demansionamento. Dietro la retorica degli “auguri”, troppe donne si trovano escluse, colpevoli solo di aver scelto di diventare madri.
Ogni anno migliaia di lavoratrici perdono il posto dopo una gravidanza, una denuncia per molestie o per non aver ceduto a condizioni indegne. E anche se la legge vieta il licenziamento in gravidanza, sappiamo bene come le dimissioni forzate o i contratti precari permettano di aggirare le tutele.
I numeri parlano chiaro:
- Solo il 4,8% dei padri con figli minori è inattivo, contro il 33% delle madri.
- Le dimissioni volontarie ogni anno sono quasi 60.000: nel 73% dei casi sono donne, e per quasi la metà la motivazione era l’impossibilità di conciliare lavoro e cura.
- La mancanza di servizi e l’organizzazione aziendale rigida continuano a penalizzare chi fa scelte di maternità.
In un Paese in cui il gender gap nella retribuzione, nelle pensioni e nelle carriere è ancora profondo, difendere il diritto alla maternità è una battaglia di giustizia e democrazia.
L’8 e 9 giugno, con i referendum, possiamo dire SÌ a un lavoro più giusto, stabile e libero da discriminazioni. #VotaSì per i diritti. #VotaSì per il lavoro.


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