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Roma, 11 dicembre - “La questione salariale in Italia è una vera e propria emergenza sociale. Lo è ancor di più nel Mezzogiorno: nel 2024, nel settore privato, il salario lordo medio nazionale è di 24.486 euro annui, mentre nel Meridione si ferma a 18.148 euro, con un divario di meno 25,9% rispetto all’Italia”. Lo si legge in uno studio, diffuso oggi, dell’Ufficio Economia della Cgil Nazionale che analizza i dati INPS del settore privato (esclusi agricoli e domestici).
“Questo profondo divario salariale - prosegue l’analisi - tra il Mezzogiorno e l’Italia è determinato da diversi fattori: un minor numero di giornate medie retribuite all’anno (228 contro 247), un maggior peso delle attività economiche a retribuzione più bassa, un’incidenza più alta del lavoro atipico. Nel Mezzogiorno, infatti, il lavoro a termine riguarda il 34,5% dei lavoratori (contro il 26,7% a livello nazionale), il part-time il 43,6% (contro il 33,0% nazionale), il lavoro discontinuo il 56,5% (contro il 45,6% nazionale)”.
Inoltre, dall’analisi emerge che “nel Mezzogiorno, il 47,3% dei lavoratori, pari a 2,1 milioni di persone, rientra nella fascia di reddito fino a 15.000 euro lordi annui”.
Per il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, questi dati dimostrano che: “La questione salariale nel Mezzogiorno è un’emergenza nell’emergenza, che spiega - più di ogni altra causa - l’esodo di 175.000 giovani meridionali nel triennio 2022–2024 verso altri territori del Paese e verso l’estero, per cercare un lavoro dignitoso e una vita migliore. Nel Sud quasi la metà dei lavoratori del settore privato ha percepito un salario inferiore ai 15 mila euro lordi annui che equivalgono, nel migliore dei casi, a circa 1.100 euro netti mensili. Le gabbie salariali, di fatto, esistono già e andrebbero superate, mentre non pochi le propongono addirittura come la soluzione”. Inoltre, Ferrari sottolinea: “L’aumento dell’occupazione riguarda quasi solo gli over 50, spinto dall’innalzamento dell’età pensionabile, ed è trainato da settori a basso valore aggiunto, caratterizzati da lavoro povero e sfruttamento. Questo accade particolarmente nelle regioni meridionali, dove si concentrano i fattori negativi del mercato del lavoro: meno giornate retribuite, più precarietà, più part-time involontario e discontinuità lavorativa, meno occupazione femminile”.
Secondo Ferrari, “il primo passo per affrontare questa innegabile realtà è guardarla negli occhi. Il Governo fa esattamente il contrario, sbandierando record del tutto immaginari. I famigerati ‘risultati formidabili’, recentemente rivendicati dalla presidente del Consiglio, sono presto detti: nel prossimo biennio saremo all’ultimo posto in Europa per dinamica del Pil, gli unici a restare sotto l’1%. E non potrebbe essere altrimenti: manca del tutto una politica industriale; se si esclude il Pnrr (che andrà a scadenza l’anno prossimo, e senza il quale saremmo già in recessione), sono stati sostanzialmente azzerati gli investimenti; si è tornati a politiche di austerità che definanziano la sanità, tagliano pesantemente l’intero sistema pubblico dei servizi e i trasferimenti a Regioni ed Enti locali; il drenaggio fiscale impoverisce ulteriormente i redditi fissi, già pesantemente erosi dall’inflazione degli ultimi anni”.
“L’inconsapevolezza, da parte dell’Esecutivo, di quale sia il vero stato delle cose è dimostrata dal tentativo di rilanciare un’Autonomia differenziata che, se applicata, non farà altro che aggravare diseguaglianze sociali e divari territoriali. Diseguaglianze e divari che andrebbero invece ridotti innanzitutto con una strategia in grado di far ripartire l’economia del Mezzogiorno (la Zes unica è uno strumento, non una politica industriale) e con scelte che contrastino la povertà salariale e la precarietà, a partire da una legge sul salario minimo, sulla rappresentanza, sulla centralità del lavoro stabile a tempo indeterminato”. “Nella manovra di bilancio, varata dal Consiglio dei ministri e di cui il Parlamento, ormai del tutto esautorato del suo ruolo, non ha ancora votato un solo articolo, non c’è alcuna risposta alle questioni che stiamo sollevando. Per modificarla - conclude Ferrari - abbiamo indetto lo sciopero generale di domani, 12 dicembre”.






