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Roma, 16 dicembre – “Se qualcuno avesse avuto ancora qualche dubbio, il maxi-emendamento del Governo alla legge di bilancio lo ha definitivamente chiarito: si andrà in pensione sempre più tardi. Con queste scelte l’Esecutivo riesce in un’impresa clamorosa, quella di superare persino la legge Monti-Fornero, rendendo il sistema previdenziale ancor più rigido, ingiusto e punitivo per lavoratrici e lavoratori”. Così la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione commenta duramente le misure contenute nell’articolo 43 del maxi-emendamento governativo, che introduce interventi strutturali restrittivi sui pensionamenti anticipati a partire dal 2031.
“Non siamo di fronte a semplici aggiustamenti tecnici – prosegue la dirigente sindacale – ma a un vero e proprio inasprimento strutturale del sistema”. Infatti, spiega “il maxi-emendamento allunga progressivamente le finestre di decorrenza delle pensioni anticipate fino a sei mesi dal 2035 e, nei fatti, considerando anche l’adeguamento alla speranza di vita che il Governo ha scelto di non bloccare, porta l’accesso alla pensione anticipata a 43 anni e 9 mesi di contribuzione nel 2035, smentendo nei fatti le promesse fatte a lavoratrici e lavoratori. Altro che flessibilità: si costringono le persone a restare al lavoro sempre più a lungo, aumentando i periodi scoperti tra lavoro e pensione e producendo risparmi di spesa solo rinviando diritti maturati”, denuncia.
Ghiglione sottolinea poi che “a questo si aggiunge la penalizzazione del riscatto degli anni di studio, peraltro con una misura retroattiva e con evidenti profili di incostituzionalità: contributi regolarmente pagati non produrranno più pieni effetti previdenziali ai fini dell’accesso alla pensione anticipata. Una svalutazione selettiva e progressiva che arriva a escludere fino a 30 mesi dal 2035. Questo significa che una lavoratrice o un lavoratore che ha riscattato un periodo di studi potrà arrivare addirittura a 46 anni e 3 mesi di contribuzione prima di andare in pensione. Siamo alla follia”.
Per la segretaria confederale della Cgil si tratta di “una rottura gravissima del principio di affidamento, che colpisce soprattutto i lavoratori più giovani, chi ha carriere medio-alte con ingresso tardivo nel mercato del lavoro e chi ha investito risorse significative nel riscatto della laurea. Lo Stato cambia le regole a partita già giocata, come aveva fatto con i lavoratori pubblici con il taglio delle aliquote di rendimento”.
“Dopo aver di fatto azzerato qualsiasi forma di flessibilità in uscita dal lavoro, il Governo introduce ulteriori peggioramenti, inserendoli all’interno di un requisito pensionistico che continuerà a crescere nel tempo e che viene aggravato da nuove penalizzazioni e rinvii della decorrenza. Una scelta consapevole – conclude Ghiglione – che sposta sempre più in là il traguardo pensionistico per tutte e tutti, negando il diritto a una pensione dignitosa dopo una vita di lavoro”.






