PHOTO
Roma, 10 ottobre - “È frustrante commentare ogni mese e da oltre due anni e mezzo i dati negativi di Istat sulla produzione industriale. Non solo perché è ormai lampante la sostanziale incapacità del Governo di affrontare con senso di realtà e pragmatismo la più grande crisi produttiva dal dopoguerra, ma anche perché dopo 27 mesi lo schema è chiaro: oggi né il Ministro Urso né la Presidente del Consiglio proferiranno parola o commenteranno, ma da domani ritorneranno a raccontare di un Paese florido e di politiche industriali che semplicemente non esistono”. Così il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo.
“Quindi, più che commentare, vorremmo fare alcune domande alla Presidente Meloni e al Ministro Urso”, prosegue il dirigente sindacale. “L’Esecutivo come pensa di affrontare la crisi dell’industria tessile, che perde in un anno quasi il 2% della sua capacità produttiva? E quali strumenti pensa di introdurre per aiutare il settore del legno, della carta e stampa che nello stesso periodo ha perso il 2,5% della sua produzione, o quello della fabbricazione dei prodotti chimici che cala del 2,2%, oppure quello dell’industria alimentare che registra l’ennesima riduzione dell’1,8%, o quelli della siderurgia e dell'automotive, il cui stato di crisi profonda è ormai acclarato?”
E ancora, “quali misure intende assumere il Governo per reagire all’ennesimo calo che riguarda i beni di consumo e quelli intermedi (-1,2% rispetto allo scorso anno)? Infine, non reputa sia il caso di convocare un tavolo straordinario di confronto con tutte le parti sociali per provare a trovare soluzioni condivise che interrompano questa drammatica e interminabile spirale involutiva che vede perdere quasi il 3% di produzione industriale rispetto allo stesso mese del 2024?”
Gesmundo sottolinea in conclusione che “è ormai trascorso un anno dall’annuncio del famigerato Libro bianco per la politica industriale 'Made in Italy nel 2030'. Vogliamo rassicurare il Ministro Urso: non c’è fretta, se la prenda pure con comodo, tanto la situazione, come ci dice oggi Istat, non è così grave, né per il Paese né per i lavoratori”.