La discussione in Commissione Senato per la conversione del decreto legge 48, il cosiddetto Decreto lavoro, se escludiamo qualche piccola correzione, non ha prodotto purtroppo alcun significativo risultato positivo. Gli emendamenti al testo che abbiamo proposto e che sono stati presentati dai diversi gruppi di opposizione, allo stato attuale, non sono stati approvati; piuttosto, il testo ha subito delle ulteriori modifiche negative soprattutto sul versante delle norme che regolamentano i rapporti a tempo determinato. Emerge una evidente volontà della maggioranza di Governo di proseguire nell’opera di superamento del reddito di cittadinanza come strumento universale, nonché di incremento delle misure di precarizzazione dei rapporti di lavoro. 

Il testo del disegno di legge, concluso l’iter in Commissione, approderà in Aula presumibilmente martedì: è probabile che in aula vengano presentati dalla maggioranza alcuni emendamenti che in commissione non hanno avuto successo a causa di problemi di copertura. 

Nel dettaglio, di seguito elenchiamo le principali modifiche commentate; per tutto il resto, rimasto non modificato, si rinvia alla nota del 16 maggio.

CAPO I

Nuove misure di inclusione sociale e lavorativa Artt. da 1 a 5

Commento

Le modifiche apportate durante la conversione in legge del decreto-legge 48/2023 non tengono in alcuna considerazione le critiche di fondo che sono state apportate, da più parti, alla nuova misura che sostituirà il Reddito di Cittadinanza, l’Assegno di Inclusione. 

Il nuovo strumento, infatti, conserva l’impianto categoriale ed escludente voluto dal Governo, separando la platea della popolazione in condizione di povertà tra chi riceverà un sostegno economico e un supporto attivo per favorirne l’inclusione sociale e lavorativa, e chi sarà escluso in ragione di criteri indipendenti dalla situazione economica. La previsione introdotta in Senato per la quale l’Assegno potrà essere riconosciuto anche a nuclei in cui sia presente un componente inserito in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali, è un elemento positivo, ma del tutto insufficiente a sanare la volontà di cancellare l’universalismo che deve essere proprio di una misura di welfare quale è un reddito minimo. Da agosto 2023, e ancora di più saranno dal 1° gennaio 2024, centinaia di migliaia di persone saranno private di un sostegno economico in ragione della composizione del nucleo familiare e non del loro bisogno.

La battaglia ideologica e culturale portata avanti dal Governo verso la popolazione in difficoltà, colpevolizzata per la propria condizione, “rea” di non voler attivarsi o di rifiutare offerte di lavoro senza motivo, non è scalfita dalle modifiche introdotte su questo ambito che si limitano a prevedere la possibilità di non accettare impieghi a tempo determinato se distanti oltre 120 minuti di trasporto pubblico e ad estendere il vincolo della raggiungibilità (80 km e 120 minuti) anche ai tempi indeterminati per i genitori di under 14 anni.

Infine, l’iter parlamentare non ha tenuto in alcuna considerazione la necessità di rafforzare la rete dei servizi pubblici territoriali, al fine di potenziare la capacità di prendere in carico la popolazione e predisporre adeguati programmi personalizzati di interventi e servizi. Al contrario, si estende al sistema privato dei servizi per il lavoro anche l’attività di sottoscrizione dei patti di servizio che, invece, dovrebbe rimanere nel perimetro pubblico, soprattutto per la necessaria integrazione che si dovrebbe praticare con il segretariato sociale dei Comuni.

Unici elementi positivi sono il ripristino della previsione che la domanda per la misura possa essere presentata anche presso i CAF, come era per il RdC, e che le persone inserite in percorsi di protezione relativi alla violenza di genere costituiscono sempre nucleo familiare a sé, anche ai fini ISEE.

CAPO III

Ulteriori interventi urgenti in materia di politiche sociali e di lavoro

Art. 24

Disciplina del contratto di lavoro a termine.

Gli emendamenti proposti oltre che chiamare in causa anche i lavoratori in somministrazione, intervengono pesantemente sui termini delle a-casualità.

Commento

Si prevede che nei primi 12 mesi i contratti a tempo determinato saranno sempre a-causali, indipendentemente dal fatto che i 12 mesi si raggiungano con un unico rapporto di lavoro ovvero con più contratti di lavoro (rinnovi). Inoltre, ai fini del computo dei 12 mesi a-causali si terrà conto dei soli contratti stipulati a far data dal 5 maggio 2023.  

E’ stata introdotta una eccezione alla normativa dei rinnovi, che prevedeva sempre l’apposizione della causale. Con questo emendamento, l’obbligo della causale nei rinnovi è previsto esclusivamente qualora dalla somma di più rapporti di lavoro si dovessero superare i 12 mesi a tempo determinato. In questo modo, nei primi 12 mesi i contratti a tempo determinato saranno sempre a-causali, indipendentemente dal fatto che i 12 mesi si raggiungano con un unico rapporto di lavoro ovvero con più contratti di lavoro.

Questo varrà anche per la somministrazione a termine: non essendo previsto in questa fattispecie lo stop and go tra un contratto e l’altro si potrà generare una devastante frammentazione dell’uso del contratto a termine senza vincoli di causale per i primi 12 mesi a totale vantaggio dei datori di lavoro che quindi potranno fruire di maggiore flessibilità nell’utilizzo dello stesso lavoratore. 

Ai fini del computo dei 12 mesi a-causali si afferma che si terrà conto dei soli contratti stipulati a far data dal 5 maggio 2023, data dell’entrata in vigore del decreto legge. Questo corrisponde all’azzeramento totale del passato dei rapporti a termine intercorsi prima della vigenza del decreto legge, dando la possibilità ai datori di lavoro di ripetere le prime condizioni di a-casualità.

Vengono poi esclusi dal limite percentuale del 20% rispetto al personale assunto alle proprie dipendenze, previsto per i lavoratori con contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato i lavoratori somministrati assunti con contratto di lavoro in apprendistato. L’ esclusione dell'apprendista dal computo dei limiti numerici del personale previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative continua ad essere un elemento di identificazione di questo contratto come precario e non di inserimento stabile, seppure a seguito di un percorso formativo, all’interno dell’azienda.

Sono altresì esclusi dal conteggio i soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e i soggetti svantaggiati o molto svantaggiati, come individuati dal decreto del Ministro del lavoro del 17 ottobre 2017. La categoria dei lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati prevista nel decreto ministeriale 2017 consente da tempo un aggiramento estremo e ingiustificato delle percentuali previste, soprattutto per la definizione vaga e poco chiara di “impiego regolarmente retribuito” a cui fa riferimento.

Art. 27

Incentivi all'occupazione giovanile.

L’emendamento, proposto dalla relatrice della Commissione Senato, non intacca il merito dell’articolo ma interviene sostituendo integralmente il comma 5, riferito alla copertura finanziaria della previsione di legge, con una nuova riformulazione della ripartizione in capo alle stesse sorgenti originariamente previste riducendo di 6,7 milioni il totale delle somme precedentemente assegnate.

Commento

Confermiamo il giudizio già espresso in occasione dell’approvazione del D.L. 48 evidenziando ancor di più che in materia di incentivi all’occupazione giovanile il Decreto, più che agire in termini programmatici, così come richiederebbe lo stesso tema, ovvero in termini strategici, sceglie di cogliere l’occasione per riconvertire le risorse residue, non poche, dei due Programmi, in aiuti alle imprese. Così operando si raggiunge sia l’obiettivo di evitare di dovere restituire le risorse impegnate ma non spese, sia di compiere l’ennesima operazione demagogica pensando infatti che con questi significativi risparmi a vantaggio delle imprese, le stesse possano cimentarsi fattivamente per assunzioni di giovani neet.

Il rischio che ancora una volta tali interventi finiscano per impattare non su quella parte di popolazione giovanile che ne avrebbe maggiormente bisogno, i più vulnerabili a partire appunto dai neet, ma su quella popolazione giovanile che potendo già contare sulle loro potenzialità culturali e tecnico-professionali, comunque avrebbero più facilmente occasione di trovare un’occupazione, così come già ampiamente dimostrato dalle recenti rendicontazioni ANPAL e ISTAT.

Non bastano le misure di incentivazione, soprattutto se non contestualizzate in un quadro più ampio di politiche e di investimenti sulla crescita di una domanda di lavoro di qualità e soprattutto se si vogliono ridurre divari e disuguaglianze rispetto alle maggiori vulnerabilità. Non solo, continueranno a non bastare se questi aiuti non trascinano con loro forti e significativi elementi di condizionalità, quali l’obbligo alla stabilizzazione, l’essere concretamente occupazione aggiuntiva e garantire agli interessati percorsi di formazione capaci di sostenere i loro profili professionali e le loro attitudini e ambizioni.

CAPO IV

Misure a sostegno dei lavoratori e per la riduzione della pressione fiscale

Articolo 36-bis
(Disposizioni per il settore del trasporto a fune)

La modifica introdotta agisce sul Regio Decreto n. 2657 del 1923 specificando che “nella locuzione "Personale addetto ai trasporti di persone e di merci" rientrano i dipendenti degli esercenti impianti di trasporto a fune con le mansioni indicate nel dettaglio dell’emendamento.

Commento 

Si persegue la logica d’intervenire in modo frammentato e non organico comunque incrementando e specificando ambiti e possibilità di utilizzo di rapporti di lavoro con carattere di precarietà.

Nello specifico l’intervento specifica l’ambito di applicazione del Regio Decreto del 1923 che viene utilizzato dal Ministero del Lavoro per l’emissione del decreto d’individuazione delle attività saltuarie e discontinue in assenza di previsioni della contrattazione collettiva. 

Art. 39-bis Decontribuzione lavoro domestico.

Commento

L’esonero contributivo al 100%, previsto per i datori del settore del Lavoro Domestico negli anni 2023, 2024, 2025, nel limite di importo di 3000 euro annui, potrebbe sembrare una parziale risposta alle esigenze del settore (il costo contributivo per un’assistente familiare convivente - 54 ore settimanali - adibita/o alle cure di persone non autosufficienti, è di circa 3200 euro); esigenze più complessive avanzate anche dalle Parti Sociali  ai Governi che si sono succeduti che vanno orientate al supporto alle famiglie/datori di lavoro e alle lavoratrici e ai lavoratori, a partire da interventi per l’emersione del lavoro irregolare e sommerso e alle tutele da cui questi lavoratori sono ancora esclusi.

L’emendamento in realtà, oltre agli attuali dubbi relativi alla copertura finanziaria, presenta diverse criticità:

Prevede la decontribuzione esclusivamente per assunzioni di lavoratrici e lavoratori che assistono persone non autosufficienti con più di 65 anni. Non dà dunque risposte all’ampia platea di famiglie che si fanno carico della cura di bambini e non autosufficienti di età inferiori.

Non è previsto l’obbligo di applicare il CCNL sottoscritto dalle associazioni dei datori e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Non vi è alcun obbligo al mantenimento del rapporto di lavoro nei periodi successivi alla fruizione della decontribuzione. Anzi, non tenendo conto del fatto che si tratta di un settore in cui è possibile il licenziamento ad nutum, si prevede la retroattività del beneficio, che spetta al datore se il rapporto di lavoro è cessato da meno di 24 mesi. Non è un intervento strutturale.

Art.39-bis Detassazione lavoro notturno e festivi per dipendenti di strutture turistico-alberghiero e comparto termale.

Commento

L’aumento del 15% delle retribuzioni lorde corrisposte in relazione al lavoro notturno e alle prestazioni di lavoro straordinario, effettuato nei giorni festivi, immaginato quale antidoto per sostenere le necessità di manodopera nei settori del turismo nel periodo estivo, rappresenta un esempio di monetizzazione di prestazioni lavorative gravose decisamente in contrasto con il riconoscimento di diritti che potrebbero essere positivamente salvaguardati dentro le normali sfere di ordine contrattuale definite dalle parti.

La stabilità dell’occupazione e la salvaguardia dell’occupazione in questi settori andrebbero invece garantiti con salari dignitosi e con tutele contrattuali certe ed esigibili. Riteniamo sbagliato, come anche in questo caso, si prediliga la scelta di monetizzare alcune tipologie di prestazioni che nella pratica avrà un effetto marginale sulle lavoratrici e i lavoratori e non contribuisce a risolvere i problemi strutturali del lavoro nel settore a partire da quello stagionale che evidenzia problemi di irregolarità diffusa e povertà lavorativa come rilevato più volte anche dalle relazioni INL in materia ispettiva.

Nella stessa direzione di scelte volte ad alimentare processi di precarizzazione e instabilità lavorativa si conferma l’intervento sui voucher, come previsti dalla legge di Bilancio e dalla versione originaria del decreto con l’estensione della rete per il loro acquisto con l’emendamento approvato all’articolo 37. Un intervento sul quale riconfermiamo il giudizio negativo.

Art. 42 – Emendamento su lavoro agile

L'emendamento che introduce il comma 3 prevede la proroga fino al 31 dicembre 2023 della possibilità per le persone con fragilità del settore privato di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa. Allo stato attuale il testo esclude tale possibilità per il settore pubblico.