Oggi, presso la sala stampa della Camera dei Deputati, abbiamo presentato l’undicesima edizione del Libro Bianco sulle Droghe, promosso da Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone, CNCA, CGIL, Associazione Coscioni, Arci, Lila, Legacoop Sociali, dal titolo “Droghe e carcere al tempo del Coronavirus”.Il libro contiene, come ogni anno, una accurata disamina degli effetti delle normative antidroga sul carcere, ma non solo, descrive nel dettagli i numeri relativi agli ingressi in carcere per violazione della legge, le segnalazioni al prefetto, le attività di repressione delle forze dell’ordine, il ricorso alle misure alternative.Quest’anno la presentazione avviene in un momento particolare, legato alla pandemia che stiamo attraversando, ed alle misure restrittive assunte per contenerne gli effetti, e pone al centro grandi questioni legate all’emergenza: oltre a quella del carcere, quella legata al sistema sanitario e all’integrazione sociosanitaria.Il virus, infatti, ha fatto emergere in maniera drammatica problemi rimossi, legati al sottofinanziamento del sistema sanitario, all’impoverimento del sistema di intervento pubblico, soprattutto per quanto riguarda i servizi territoriali.Durante la presentazione, è emerso in modo del tutto evidente che se vogliamo che la “ripartenza” segni discontinuità con il passato, dobbiamo cancellare le politiche di questi anni, basate su una “guerra alla droga” che si è di fatto sostanziata nella guerra ai consumatori, ed ha contribuito in maniera pesante al sovraffollamento carcerario: oltre il 30% dei detenuti è in carcere per l’art. 73 della 309/90.E’ necessario ripensare alla radice l’organizzazione del sistema sanitario, con finanziamenti e dotazioni adeguate, restituendo centralità ai servizi territoriali, e contrastando politiche di autonomia differenziata che producono una diversa esigibilità del diritto alla salute nei diversi territori.Ci impone di rilanciare con forza il tema dell’integrazione sociosanitaria, e del rapporto fra servizio pubblico e privato sociale, che non può avere un ruolo meramente sostitutivo, ancillare, spesso motivato solo dal contenimento dei costi. Negli anni, infatti, il privato sociale ha proposto e sviluppato servizi di prossimità e interventi di riduzione del danno che hanno contribuito in maniera importante alla limitazione dei rischi nell’uso di sostanze e  alla prevenzione delle morti da overdose. Servizi che devono uscire dallo status di progetto e  di precarietà anche per gli operatoriCi impone, finalmente, di approvare una normativa sulla legalizzazione della cannabis, come misura di civiltà, che attiene al tema dei diritti delle persone all’autodeterminazione nelle proprie scelte di vita: i paesi dove si è proceduto in tal senso dimostrano che non solo non si è registrato aumento dei consumi, ma che, invece, si sono tolte risorse alla criminalità organizzata,  con   ricadute positive sull’economia.