Pochi mesi fa si è celebrato il 45°anniversario della Legge 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universale. Una conquista frutto anche di una straordinaria stagione di lotte dei lavoratori e delle lavoratrici, di partecipazione e di conquiste sul fronte dei diritti sociali e civili.

Il Servizio Sanitario Nazionale italiano, da troppi anni diffamato e affamato, ha saputo resistere grazie all’impegno e al valore dei suoi lavoratori e lavoratrici, ma oggi rischia il collasso.

L’emergenza pandemica ha evidenziato una condizione di forte criticità del Servizio Sanitario Nazionale e del sistema socio-sanitario, superata grazie all’abnegazione di chi in quei servizi lavorava e lavora. I lunghi anni di mancate riorganizzazioni, riforme incompiute, e pesante inadeguatezza del finanziamento, frutto di politiche di austerity e di una cultura neoliberista, rappresentano in gran parte le cause del preoccupante quadro di contesto. “Non possiamo fare a meno del Servizio Sanitario Pubblico”, scrivono 14 scienziati italiani – dal premio Nobel Giorgio Parisi a Nerina Dirindin a tanti altri – in un appello accorato per la difesa e rilancio della sanità pubblica. Ma “oggi i dati dimostrano che è in crisi” e “la vera emergenza è adeguare il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del PIL). E’ urgente e indispensabile, perché un SSN che funziona, non solo tutela la salute, ma contribuisce anche alla coesione sociale”.

Oggi, tuttavia, come recentemente rimarcato anche dalla Corte dei Conti, è impietoso il raffronto della spesa sanitaria pubblica italiana con quella degli altri Paesi Europei, rispetto ai quali l’Italia è il fanalino di coda con gap sempre più difficili da colmare. L’incidenza del 6,8% sul PIL nel 2022 è di gran lunga inferiore a quello di Paesi come la Germania o la Francia che hanno destinato al finanziamento della spesa sanitaria pubblica rispettivamente il 10,9% e il 10,1% del PIL.

Nel 2022 la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è stata pari a 2.208 euro, a fronte di 5.086 euro in Germania e 3.916 euro in Francia, dove negli ultimi 10 anni la spesa sanitaria pubblica pro capite, a parità di potere d’acquisto, è notevolmente cresciuta. Per raggiungere il livello della spesa indicato dai 14 scienziati e allineare l’Italia agli standard dei Paesi europei avanzati, al Servizio Sanitario Nazionale italiano occorrono almeno 35 miliardi di euro in più all’anno e oltre 80 miliardi in più per raggiungere la spesa della Germania. Dopo l’incremento per contrastare la pandemia, che ha portato la spesa sanitaria pubblica al 7,4% del PIL nel 2020, già dall’anno successivo la spesa sanitaria è tornata a scendere in rapporto al PIL, con la drammatica prospettiva prefigurata nella Legge di Bilancio 2024. Dopo tanti annunci e promesse della Presidente del Consiglio e del Ministro della Salute (“I fondi per la Sanità ci sono”, “I Soldi arriveranno”, “Mai così tante risorse per la sanità”), dietro la Legge di Bilancio 2024 si nascondono tagli accompagnati da un’ulteriore privatizzazione della sanità. Una manovra che allontana sempre più la sanità pubblica italiana dalla media europea per spesa, dotazioni organiche e retribuzioni del personale.

Certo, il titolo del capitolo della Legge di Bilancio 2024 “Potenziamento del sistema sanitario” poteva far ben sperare, ma la realtà dei numeri racconta di un incremento del Fabbisogno Sanitario solo apparente. Un incremento di 3 miliardi per il 2024 (e poi di 4 e 4,2 miliardi rispettivamente per 2025 e 2026) non solo assolutamente inadeguato a rispondere ai bisogni urgenti della sanità pubblica, come peraltro rimarcato sia dalla Corte dei Conti che dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, ma che non è sufficiente neanche a compensare 3 gli effetti dell’inflazione e dovrebbe coprire anche i rinnovi contrattuali del personale e le ulteriori nuove spese vincolate (per liste di attesa, privato convenzionato, prestazioni aggiuntive, ecc.): ciò significa che le Regioni hanno meno risorse a disposizione rispetto a quelle di un anno fa e che erano già insufficienti.

Dunque, un incremento solo nominale di risorse dietro il quale si nascondono tagli e arretramento del servizio pubblico.

Allarmante il rapporto tra Fondo Sanitario Nazionale e PIL destinato a toccare il valore più basso degli ultimi decenni.

Purtroppo, non cambia lo scenario con le scelte che il Governo ha prefigurato nel DEF 2024, dove si aggrava l’inadeguatezza dell’incidenza della spesa sanitaria sul PIL che dal 6,4% di quest’anno, valore già molto basso, scenderà ulteriormente fino al 6,2% per il 2027: una scelta inconcepibile e inaccettabile a fronte della necessità di risorse che ha il nostro Servizio Sanitario Nazionale per garantire il diritto universale alla salute. Senza una robusta virata in sede di Legge di Bilancio 2025, si conferma la volontà politica del Governo Meloni di disinvestire e quindi, nei fatti, di proseguire nello smantellamento del SSN e nella privatizzazione della salute.

Totalmente sbagliate anche le scelte fatte con la Legge di Bilancio 2024 sul personale: alla carenza di medici e infermieri, a salari inadeguati e a tempi di attesa da ridurre, non solo si conferma il tetto alla spesa sul personale, ma il Governo sembra non avere nessuna strategia se non quella di far lavorare di più con prestazioni aggiuntive, dunque ricorrendo al “cottimo” in sanità. Si innalzano invece i tetti alla spesa farmaceutica, così come i tetti di spesa per acquisti di prestazioni da privati a cui saranno destinati 1,2 miliardi di euro in più nel triennio: un ulteriore trasferimento alla sanità privata verso cui si dirottano sempre più risorse.

Una situazione davvero insostenibile e una prospettiva assolutamente da scongiurare. Oltre alla CGIL, già un anno fa, anche le Regioni avevano lanciato un disperato grido d’allarme sull’insostenibilità economico finanziaria dei loro bilanci, già oggi fortemente compromessi per l’insufficiente livello di finanziamento del sistema pubblico.

Nel 2022, l’estrema criticità economico-finanziaria aveva portato molte Regioni a ricorrere all’utilizzo di risorse proprie e straordinarie, ma come tali irripetibili, e comunque, considerando la differenza tra le entrate previste dallo Stato per la copertura dei LEA e le spese sostenute per l’assistenza sanitaria, la Corte dei Conti aveva certificato per il 2022 un disavanzo di 1,5 miliardi di euro con 15 regioni con perdite anche pesanti.

Altrettanto preoccupante è la situazione per il 2023 con le stesse Regioni che hanno continuato a denunciare come il livello del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale non sia “minimamente adeguato per consentire la sostenibilità della programmazione sanitaria”, dicendo chiaramente che, in mancanza di un adeguato finanziamento statale, si dovrà inevitabilmente fare i conti con la riduzione dei servizi o con l’aumento della fiscalità generale: uno scenario che si sta già concretizzando nel quale viene “irrimediabilmente compromesso il sistema sanitario universalistico italiano”.

In questo scenario, anche la rimodulazione della Missione 6 del PNRR si è tradotta in tagli, con 312 Case della Comunità (pari al 23% del totale), 93 Ospedali di Comunità (23%), 120 Centrali Operative Territoriali (20%), 1.178 posti nelle terapie intensive (23%), 25 interventi antisismici negli ospedali (23%) la cui realizzazione non più finanziata dalle risorse del PNRR, viene dirottata sul Fondo per l’edilizia sanitaria (articolo 20, Legge n. 67/88).

Analogamente avviene per le opere per la sicurezza sismica delle strutture ospedaliere del programma “Verso un ospedale sicuro e sostenibile”, non più finanziate dal Fondo complementare al PNRR ma, anch’esse poste a carico dal Fondo per l’edilizia sanitaria.

E’ quanto definito nel recente DL n. 19/2024 (DL “PNRR”). Tuttavia, va rimarcato che individuare nel Fondo per l’edilizia sanitaria la fonte in cui reperire le risorse mancanti è una pura ipocrisia, visto che quelle risorse sono destinate ad interventi di edilizia sanitaria di cui le Regioni hanno già programmato la spesa nell’ambito del plafond loro assegnato. Utilizzarle per Case e Ospedali della Comunità significherà non attuare le necessarie ristrutturazioni di ospedali e la costruzione di quelli nuovi già previsti, oltre al fatto che non verranno comunque rispettate le iniziali scadenze previste dal PNRR.

Si tratta dunque di un pesante definanziamento di 1,2 miliardi a carico delle Regioni che hanno sonoramente bocciato il decreto minacciando, in caso di mancato rifinanziamento, “iniziative anche giurisdizionali a tutela delle programmazioni già avviate” come il ricorso alla Corte Costituzionale.

Ai tagli che colpiscono direttamente le Regioni, va aggiunto un ulteriore taglio di oltre mezzo miliardo operato, sempre con il DL 19/2024, dalle risorse del Ministero della Salute che porta complessivamente il definanziamento della sanità a 1,8 miliardi di euro.

Tagli e scelte sbagliate del Governo che lasceranno sempre più soli i cittadini costretti a fare i conti con tempi di attesa sempre più insostenibili, diseguaglianze, assistenza e cure sempre più inaccessibili se non ricorrendo al privato e pagando di tasca propria o rinunciando a curarsi. Senza una netta inversione delle politiche sanitarie e socio-sanitarie, i divari territoriali e sociali sono destinati a crescere inesorabilmente.

Se a tutto ciò si aggiunge il confronto voluto dal Ministro, del tutto finto e fumoso, volto a rilevare le criticità dei decreti riguardanti l’assistenza ospedaliera e territoriale (DM 70/2015 e DM 77/2022), partecipato da più di 100 soggetti, anziché procedere concretamente alla realizzazione della riforma dell’assistenza territoriale, l’inadeguatezza, l’incapacità se non la disonestà intellettuale del Governo Meloni si rendono ancor più evidenti.

In tale scenario di crisi economico finanziaria e in presenza di un Governo dall’evidente impostazione politica disattenta ai bisogni delle persone, per nulla interessato ad investire sui servizi indispensabili a dar loro risposte, i rischi sono principalmente due. Il primo, nel rapporto tra istituzioni, è che cada nel vuoto il grido delle Regioni.

Il secondo, quello anche più insidioso, è che il Governo continui a lavorare alacremente, e quasi esclusivamente sul piano della comunicazione, mistificando la realtà e senza alcun confronto di merito con le Organizzazioni sindacali, per far percepire l’emergenza sanitaria come condizione ordinaria, per convincere l’opinione pubblica che la carenza del personale sia causata dal disinteresse dei giovani per le professioni sanitarie e non da politiche di programmazione sbagliate e salari inadeguati, come se le difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale siano un fatto fisiologico e immodificabile e l’unica soluzione diventi la privatizzazione della sanità.

Nel 2022 i cittadini hanno speso 42 miliardi per curarsi. Si tratta di 37 miliardi di spesa che proviene direttamente dalle loro tasche e 5 miliardi dalla sanità integrativa. Particolarmente rilevante il peso per le famiglie, con un livello medio pro-capite di 624 euro e con enormi differenze territoriali. Aumentano ulteriormente le persone che dichiarano di aver pagato interamente a proprie spese visite specialistiche ed esami diagnostici: un fenomeno che non solo accresce le disuguaglianze nell’accesso a prestazioni e cure ma incide notevolmente sulle condizioni economiche e all'impoverimento delle famiglie (ISTAT).

Tra le cause si ravvisano anche l’allungamento dei tempi di attesa divenuti ormai sempre più insostenibili assieme alle agende di prenotazione chiuse. Dietro a questo problema ci sono criticità di varia natura: dal rapporto pubblico/privato, a inefficienze organizzative, dalla grave carenza di personale fino all’impatto della pandemia che ha causato rinvii e sospensioni delle prestazioni per patologie diverse dal Covid, solo per citarne alcune. Nel 2022 la quasi totalità delle regioni non aveva ancora recuperato le code accumulatesi durante la pandemia, né raggiunto i livelli di specialistica ambulatoriale del 2019: una condizione che contribuisce ad accrescere il peso della rinuncia a cure e prestazioni. A inizio 2022 risultavano in attesa 630 mila ricoveri programmati, 14 milioni di prestazioni ambulatoriali e 3 milioni di prestazioni per screening.

È sempre l’ISTAT a stimare che il 7,0% della popolazione ha rinunciato a prestazioni sanitarie ritenute necessarie per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso ai servizi: si tratta di 4 milioni di persone. Un valore ancora superiore a quelli del 2019 quando rinunciava alle cure il 6,3% della popolazione. Una situazione inaccettabile per un Paese civile.

Il quadro di criticità che attanaglia il Servizio Sanitario Nazionale si aggrava notevolmente se si analizza la situazione nelle singole regioni da cui emerge uno scenario di gravi e profonde diseguaglianze territoriali a partire dall’adempimento dei Livelli essenziali di assistenza (LEA). Divari che contribuiscono alla mobilità interregionale tanto che, nel 2021, sono stati oltre 400 mila i pazienti ricoverati in strutture ospedaliere in una regione diversa dalla propria (Corte dei Conti).

Non solo, come scritto inizialmente, sono notevoli le differenze con gli altri Paesi europei in termini di risorse, strutture e personale, l’Italia è anche un Paese sostanzialmente spaccato in venti “Contee” che spesso tradiscono i principi di universalità, equità, uguaglianza fondanti del SSN. Divari e diseguaglianze che si acuiscono osservando l’insieme dell’offerta sanitaria e socio-sanitaria, che vanno dalle strutture ospedaliere e alla dotazione di posti letto passando dalle strutture sanitarie residenziali e semiresidenziali (residenze sanitarie assistenziali, case protette, hospice, centri diurni psichiatrici, ecc.), fino all’assistenza domiciliare.

Diseguaglianze che incidono sulle aspettative di vita alla nascita così come nelle aspettative di vita in buona salute. Se la speranza di vita alla nascita è mediamente è di 82,6 anni, i divari tra le regioni sono profondi e arrivano fino a 3 anni di vita (come tra la Campania e la Provincia Autonoma di Trento); uno scenario ancora più pesante per la speranza di vita in buona salute che è mediamente di 60,1 anni ma con differenze che arrivano fino a 16 anni (come tra la Puglia e la Provincia Autonoma di Bolzano).

Le criticità legate alla mancanza di risorse economiche, organizzative e professionali, e le diseguaglianze tra persone e territori, sono destinate a cristallizzarsi ed aggravarsi ulteriormente e irreversibilmente nel caso si realizzi il nefasto progetto di autonomia differenziata.

I principi fondamentali del servizio sanitario - universalità, uguaglianza ed equità - ancor prima di raggiungerli pienamente su tutto il territorio nazionale, saranno inesorabilmente messi in discussione: un disastro sanitario, sociale ed economico senza precedenti. È paradossale, oltre che gravissimo, che mentre nell’Assemblea delle Nazioni Unite i leader mondiali si sono impegnati a raddoppiare gli sforzi verso la copertura sanitaria universale entro il 2030 e l’OMS individua l’uguaglianza del diritto alla salute come priorità per il mondo, il Governo italiano vada nella direzione esattamente opposta.

I tagli alle risorse, il tetto alla spesa per il personale, il blocco del turnover hanno avuto effetti pesanti sul personale impiegato nei servizi sanitari e socio-sanitari, su cui si è scaricato un peso reso ancor più insostenibile dalla pandemia. Altrettanto evidente il peggioramento delle condizioni sulle lavoratrici e i lavoratori della filiera degli appalti.

La carenza di personale riguarda tutti i professionisti, amministrativi, tecnici e in particolar modo dell’assistenza sanitaria. Colpisce soprattutto gli infermieri che peraltro dovrebbero ricoprire un ruolo fondamentale nella riforma dell’assistenza territoriale, ma senza un piano straordinario di assunzioni e di valorizzazione del personale, anche sul piano retributivo, sarà impossibile realizzare quanto previsto dal PNRR. La stessa Ragioneria Generale dello Stato ha rimarcato come negli ultimi 10 anni si sia fortemente disinvestito nel personale sanitario mentre è aumentata la spesa in beni e servizi. Il problema si deve risolvere a monte eliminando i tetti di spesa sul personale e valorizzando adeguatamente i CCNL.

Su questi aspetti cruciali, sono state viste con interesse le Proposte di Legge di iniziativa delle Regioni Emilia Romagna, Toscana e Puglia, nelle quali si possono ritrovare integralmente i primi due dei dieci punti contenuti nella piattaforma della CGIL (riportata qui di seguito).

Inoltre, a fronte del progressivo invecchiamento della popolazione, non si prevede alcun finanziamento per la non autosufficienza. Dopo gli annunci trionfalistici della Presidente del Consiglio e di Ministra e Viceministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, che hanno evocato suggestive cifre a nove zeri, le misure per anziani non autosufficienti contenute nel D.Lgs n. 29/2024 appena varato dal Governo in attuazione della Legge 33/2023, riportano alla dura realtà in cui pesa la totale assenza di risorse aggiuntive per finanziare le nuove misure. In particolare, non c’è nessun euro in più per sostenere la cosiddetta “prestazione universale” (850 euro che dovrebbero sommarsi all’assegno di accompagnamento) che di universale ha ben poco visto che i destinatari saranno pochissimi e individuati con criteri molto restrittivi: almeno 80 anni, ISEE non superiore a 6 mila euro, titolare di assegno di accompagnamento ed essere non autosufficiente con un “bisogno assistenziale gravissimo” (da definire con prossimi decreti). Una misura che riguarderà un numero di persone che si stimano in 25 mila al massimo, a fronte di una platea di 3,8 milioni di anziani non autosufficienti, di cui 1,4 milioni con l’assegno di accompagnamento: dunque solo lo 0,7% di essi potrà accedere alla nuova misura: e tutti gli altri? Quale risposta avranno? E con quali risorse? Con i 500 milioni in due anni che già il Piano nazionale destinava alla non autosufficienza? Occorre ribadirlo: non vengono previste risorse aggiuntive, si fa riferimento solo alle risorse dei fondi “a legislazione vigente”.

La riforma contenuta nella Legge 33/2023 prevede la necessità di garantire la presa in carico universale della condizione di fragilità della persona anziana da parte del sistema pubblico, superando divari territoriali. Pensare di farlo a colpi di annunci e con risorse date, che già oggi non bastano a garantire né i LEPS - Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali - né i LEA sanitari, può funzionare nel metaverso del Governo Meloni, ma nella realtà, fatta di persone reali, con le loro fragilità e i loro drammi, le cose sono molto diverse e spesso drammatiche.

Per mettere in sicurezza e rilanciare il SSN, conquista irrinunciabile e pilastro di democrazia e giustizia sociale, le misure necessarie e urgenti da mettere in atto sono:

1. garantire un forte investimento al Servizio Sanitario Nazionale aumentando il finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale, sia in termini assoluti che in rapporto al PIL in maniera consistente e stabile: aumentare il finanziamento pubblico, oltre a quanto già previsto, di almeno 35 miliardi di euro in più (raggiungere almeno l’8% PIL) per garantire il potenziamento dei necessari servizi di prevenzione, ospedalieri e territoriali e allineare l’Italia ai Paesi europei benchmark.

2. investire sul personale con un piano straordinario pluriennale di assunzioni che vada oltre le stabilizzazioni e il turnover, superi la precarietà e investa nella valorizzazione delle professionalità del SSN, e superare i tetti alla spesa del personale e al salario accessorio e rendere attrattive le professioni sanitarie. 

3. Rilanciare e riadeguare la rete ospedaliera, rafforzando dotazioni organiche, strumentazioni, posti letto per favorire accessibilità, sicurezza, qualità, a partire dai Pronto Soccorso, sempre più al collasso.

4. Dare risposta agli inaccettabili tempi d’attesa che negano il diritto alla salute e favoriscono il ricorso a prestazioni private. Attuare e completare la riforma per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale con una rete capillare di servizi sanitari e socio-sanitari territoriali con una forte integrazione (Distretti, Case e Ospedali di Comunità). Definire una riforma delle cure primarie che regoli anche il progressivo passaggio dei Medici di Medicina Generale alle dipendenze del SSN. Potenziare servizi salute mentale, dipartimenti per le dipendenze, assistenza domiciliare, teleassistenza e telemedicina,

5. Potenziare il sistema dei consultori pubblici, garantire la piena applicazione della legge 194/78, l’IVG farmacologica e la salute di genere. 6. Migliorare il sistema di residenzialità e della sua accessibilità e sostenibilità economica.

7. Fermare i processi di esternalizzazione e privatizzazione, compreso il ricorso a professionisti “a gettone” nelle strutture pubbliche, riformare il sistema degli accreditamenti e affrontare le dinamiche degli appalti a tutela delle condizioni di lavoro e della qualità dei servizi.

8. Riconoscere l’importanza della prevenzione e della promozione della salute.

9. Sostenere le persone non autosufficienti, dando attuazione alle specifiche leggi e con adeguate risorse a carico della fiscalità generale, e promuovere politiche per l’invecchiamento attivo.

10. Promuovere politiche per la piena inclusione sociale delle persone con disabilità e sostegno per le famiglie che se ne fanno carico.

Su questi obiettivi confederali, chiari, precisi e impegnativi, occorre proseguire nella mobilitazione. Dopo le manifestazioni a Roma del 24 giugno 2023, promosse dalla CGIL congiuntamente a centinaia di associazioni e reti di associazioni; dopo gli scioperi di novembre e dicembre 2023 di CGIL e UIL e quelli più recenti sulla salute e sicurezza sul lavoro dell’11 aprile 2024, la mobilitazione prosegue con la manifestazione nazionale a Roma del 20 aprile 2024 e con il lavoro di predisposizione di una proposta di legge di iniziativa popolare per la difesa e il rilancio del Servizio Sanitario Nazionale a tutela del diritto alla salute delle persone e delle comunità.

Lo stesso impegno e lavoro capillare andrà agito per promuovere la partecipazione e la consapevolezza di lavoratrici e lavoratori, pensionati, cittadini, istituzioni. Egualmente, andrà sollecitata in tutti i Consigli comunali l’approvazione di ordini del giorno sulla necessità di adeguate risorse per il Servizio Sanitario Nazionale, per impedire lo smantellamento del SSN e la privatizzazione della salute.

Salviamo il Servizio Sanitario Nazionale. Difendiamo il diritto alla salute.

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