Una manovra contro i più deboli

Il governo Meloni continua a favorire gli evasori e a penalizzare lavoratori e pensionati.
Per questo, nella settimana dal 17 al 21 novembre, lo Spi Cgil ha promosso una settimana di mobilitazione diffusa, in vista dello Sciopero generale del 12 dicembre, per contrastare la politica economica dell’esecutivo e rivendicare aumenti delle pensioni in linea con il reale costo della vita, l’ampliamento della 14ª mensilità e un sistema fiscale più giusto.
I pensionati, infatti, pagano più tasse rispetto agli altri cittadini e alle rendite finanziarie.


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Welfare e pensioni, ecco perché bocciamo la manovra

PENSIONI “BASSE”

Dal 1° gennaio 2026 è previsto un aumento di 12 euro mensili sulla quota di incremento della maggiorazione sociale, il cosiddetto “milione di Berlusconi”. La misura riguarda i titolari di prestazioni previdenziali e assistenziali di basso importo, che rientrano nei limiti reddituali stabiliti dalla normativa vigente. Si tratterebbe di circa 1,1 milioni di pensionati, di cui quasi 800.000 titolari di prestazioni assistenziali come l’assegno sociale e le pensioni di invalidità. Il Governo dichiara oggi un aumento strutturale di 20 euro perché include gli 8 euro già erogati l’anno precedente.
Un trucco per fare propaganda e, a tutti gli effetti, una beffa più che un reale segnale di attenzione verso i pensionati in maggiore difficoltà. Per di più questa misura crea disparità rispetto a quei pensionati che, pur trovandosi in situazioni analoghe, hanno versato contributi e superano di poco la soglia della no tax area (8.500 €): per loro, l’aumento viene in gran parte assorbito dall’IRPEF, riducendo così in misura parziale o totale il beneficio.

PENSIONI MINIME

Nessuna novità per le pensioni integrate al trattamento minimo. Resta confermato solo l’incremento transitorio dell’1,3% previsto dalla precedente legge di bilancio in favore delle pensioni minime che si traduce, per il 2026, in un aumento di circa 3,12 euro mensile rispetto all’importo del 2025, ipotizzando un’aliquota di perequazione pari al 1,4%.
L’incremento spetta anche alle pensioni non integrate, il cui importo a calcolo sia pari o inferiore al trattamento minimo.
Non compete, invece, per i trattamenti di natura assistenziale.

TAGLIO IRPEF

L’aliquota Irpef per i redditi imponibili tra 28.001 e 50.000 euro scenderà dal 35% al 33% dal 2026. I vantaggi per i pensionati saranno minimi: su una pensione lorda di 2.307,69 euro il beneficio sarà di appena 3,08 euro al mese; su 2.692,71 euro di 10,77 euro; su 3.076,92 euro di 18,46 euro.
Un taglio che fa più notizia che differenza reale nelle tasche di chi vive di pensione

AUMENTO DELL’ETÀ PENSIONABILE

Dal 2027 scatterà un aumento dei requisiti anagrafici e contributivi: un mese in più nel 2027, due nel 2028. Saranno esclusi solo i lavoratori impegnati in mansioni gravose o usuranti.
Riteniamo che questo sia un passo indietro per i lavoratori e i pensionati, poiché allungare ulteriormente l’età pensionabile non tiene conto delle reali condizioni di vita e di lavoro delle persone. Inoltre, va ricordato che le pensioni contributive, e in parte anche quelle miste, già prevedono un meccanismo di adeguamento automatico alla maggiore aspettativa di vita:
il coefficiente di trasformazione relativo all’età anagrafica applicato al momento del pensionamento, infatti, riduce l’importo della pensione quanto più si vive a lungo.
Aumentare ulteriormente l’età pensionabile equivale quindi a imporre una doppia penalizzazione. In pratica, si chiede ai lavoratori di restare al lavoro più a lungo pur sapendo che la loro pensione sarà calcolata con un coefficiente meno favorevole.

MISURE PER I FUTURI PENSIONATI

Viene prorogato l’anticipo pensionistico Ape Sociale per l’anno 2026, confermando il requisito anagrafico di 63 anni e 5 mesi e le condizioni richieste per potervi accedere ma non viene ampliata la platea delle mansioni considerate gravose. È stato rinnovato anche il “Bonus Giorgetti”, l’incentivo rivolto ai lavoratori che, avendo maturato i requisiti solo per la pensione anticipata ordinaria (41 anni e 10 mesi per le donne, 42 anni e 10 mesi per gli uomini), scelgono di restare al lavoro ricevendo in busta paga la quota dei contributi previdenziali a loro carico. Il beneficio interesserà appena circa 800 lavoratori. Da quanto si legge, non saranno invece prorogate Quota 103 né Opzione Donna, entrambe già fortemente penalizzate dall’attuale governo a causa delle restrizioni apportate sulle condizioni e sui relativi requisiti di accesso. La loro mancata conferma, sebbene con i limiti già presenti, rappresenta comunque una perdita di flessibilità in uscita, con particolare danno per le lavoratrici su cui continua a gravare il lavoro di cura familiare.
Queste misure consentivano a chi accettava il ricalcolo contributivo della pensione di anticipare i tempi del pensionamento rispetto a quelli ordinari. In questo senso la loro cancellazione conferma la negazione di diritti che erano stati già riconosciuti ai lavoratori.

ASSEGNO DI INCLUSIONE

Scompare il periodo di un mese di sospensione della prestazione, trascorsi 18 mesi di percezione, previsto prima del rinnovo di ulteriori 12 mesi.
Resta, però, la penalizzazione introdotta rispetto alla precedente Pensione di cittadinanza, che non prevedeva la domanda di rinnovo.

ISEE E BONUS

Dal 2026 la franchigia sul reddito della casa d’abitazione sale da 52.500 a 91.500 euro e aumentano i coefficienti della scala di equivalenza per i nuclei con figli.
Tuttavia, le modifiche riguarderanno solo alcune prestazioni: Assegno di Inclusione (ADI), Supporto Formazione e Lavoro (SFL), Assegno Unico Universale, Bonus nido e Bonus nuovi nati.

TFS/TFR NEL PUBBLICO IMPIEGO

Per i pensionamenti di vecchiaia nel pubblico impiego, dal 2027 i tempi di liquidazione del TFS/TFR saranno ridotti di tre mesi, passando dagli attuali 12 mesi e 90 giorni a 9 mesi e 90 giorni. Ma la riduzione non varrà per i pensionamenti anticipati.
Inoltre la decorrenza dei termini scatterà solo dal raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria (67 anni e 3 mesi), anche nel caso in cui il lavoratore pubblico avesse accesso al pensionamento a 67 anni per aver svolto, ad esempio, lavoro gravoso/usurante.
Una misura che promette semplificazione ma continua a rinviare i tempi reali di pagamento.