PHOTO
Roma, 1 dicembre – “La perequazione delle pensioni fissata all’1,4% è assolutamente insufficiente a recuperare la perdita di potere d’acquisto prodotta dall’impennata inflattiva del biennio 2022–2023, e oggi gli aumenti previsti risultano quasi del tutto erosi dall’Irpef e dalle addizionali, con un impatto reale minimo e in molti casi simbolico”. È quanto emerge dall’analisi tecnica elaborata dagli uffici Previdenza della Cgil nazionale e dello Spi Cgil sul decreto del 19 novembre 2025 relativo alla perequazione delle pensioni con decorrenza dal 1° gennaio 2026, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 277 lo scorso 28 novembre.
L’analisi, con esempi concreti, evidenzia un quadro che conferma la crescente difficoltà economica vissuta da milioni di pensionate e pensionati. "Le pensioni minime, come abbiamo già detto, aumenteranno di 3,12 euro, passando da 616,67 a 619,79 euro. Una pensione nel 2025 di 632 euro netti passerà invece nel 2026 a 641 euro netti, solo 9 euro in più al mese; una pensione di 800 euro netti crescerà anch’essa di soli 9 euro mensili, da 841 a 850 euro; una pensione da 1.000 euro netti aumenterà di soli 11 euro al mese; mentre una pensione di 1.500 euro lordi, dopo la tassazione, crescerà di appena 17 euro mensili. “Numeri che parlano da soli – si legge nella nota – e che dimostrano come non solo non si recuperi la perdita accumulata, ma si prosegua su una strada che impoverisce ulteriormente chi vive già con redditi insufficienti”.
Inoltre, si sottolinea un nodo strutturale del sistema: “l’assenza di un coordinamento efficace tra perequazione, fiscalità e maggiorazioni sociali produce effetti distorsivi sul piano dell’equità complessiva. In alcuni casi, infatti, i trattamenti assistenziali e le pensioni minime integrate, strumenti indispensabili contro la povertà e giustamente esentati da Irpef, possono determinare importi netti finali molto vicini, e talvolta superiori, a quelli di pensioni contributive leggermente più alte, costruite con anni di lavoro e versamenti. Questo – si spiega – non dipende dalle persone che percepiscono tali prestazioni, che vanno sostenute e tutelate, ma da una normativa che mantiene la no tax area ferma a 8.500 euro annui e non armonizza le regole tra i diversi istituti. Il risultato è un sistema che rischia di creare disuguaglianze non volute e di alimentare sfiducia e senso di ingiustizia sociale, compromettendo i principi di equità e dignità su cui deve fondarsi la previdenza pubblica”.
La segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione e il segretario nazionale Spi Cgil Lorenzo Mazzoli sostengono che “servono interventi strutturali e non operazioni di facciata. Da tempo chiediamo l’allargamento e il rafforzamento della quattordicesima mensilità, strumento fondamentale di sostegno al reddito per milioni di pensionate e pensionati, insieme all’allargamento della no tax area per i pensionati, perché gli aumenti reali vengono oggi assorbiti dal prelievo fiscale e i redditi più bassi stanno sprofondando nella povertà. Il Paese non può permettersi di lasciare indietro chi ha lavorato una vita né di trasformare la condizione delle persone anziane in terreno di propaganda politica”.
“Questo Esecutivo ha costruito una narrazione fatta di slogan e promesse sul superamento della legge Monti Fornero, sulla flessibilità in uscita e su pensioni più dignitose. Ma – proseguono i dirigenti sindacali – la realtà che vivono ogni giorno lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati è profondamente diversa e dietro agli slogan non c’è una riforma, ma un arretramento dei diritti e della dignità delle persone. Non solo l’azzeramento di qualsiasi forma di flessibilità in uscita, ma dal 2027 si andrà in pensione sempre più tardi e con assegni sempre più poveri”.
“Non possiamo accettare che milioni di pensionate e pensionati ricevano aumenti di pochi euro al mese mentre le disuguaglianze crescono e il fisco si riprende gran parte della rivalutazione. Tre, cinque, nove, undici, diciassette euro sono una vergogna. Serve una riforma che rimetta al centro lavoro, contribuzione e diritti. Serve giustizia sociale”, ribadiscono Ghiglione e Mazzoli. “Il 12 dicembre saremo in sciopero in tutta Italia anche per rimettere davvero al centro il tema delle pensioni: per difendere dignità e giustizia sociale, per garantire equità e potere d’acquisto a chi ha lavorato una vita. Perché – concludono – senza una riforma vera e senza rispetto per il lavoro e per le persone, non c’è futuro né per i giovani né per gli anziani”.
COMUNICATO STAMPA CONGIUNTO CGIL NAZIONALE, SPI CGIL
In allegato l’analisi degli uffici Previdenza della Cgil nazionale e dello Spi Cgil






