All'insegna dello slogan "Istruzione, lavoro, democrazia: i diritti non si riducono, si ampliano", 2435 delegati (58% uomini, 42% donne) provenienti dai 27 stati che compongono la Repubblica Federale del Brasile, in rappresentanza dei quasi 8 milioni di affiliati, hanno dato vita dal 13 al 17 ottobre, presso il centro congressi Anhembi di San Paolo, al 12° Congresso della più grande centrale sindacale delle Americhe, la CUT del Brasile.

Il congresso si è realizzato in una particolare congiuntura politica, economica e sociale che rischia di minare il processo di democratizzazione del paese, di inclusione sociale e di ridistribuzione della ricchezza, avviato dal primo governo Lula nel 2002.

La crescita economica si è fermata, la disoccupazione è passata in poco meno di un anno dal 4,6% all'8,5%, i tassi di interesse sono raddoppiati dal 7,25% al 14,25%, l'inflazione si è avvicinata alle due cifre, passando dal 6% al 9% in poco più di un semestre.

Il secondo governo Dilma, insediatosi nel novembre scorso, non potendo contare su una autonoma maggioranza parlamentare (il PT, Partido dos Trabalhadores, rappresenta solamente il 12% dei seggi parlamentari), deve procedere con mediazioni e alleanze che, secondo la CUT, sviano e sviliscono il mandato dei 54 milioni di brasiliani che alle ultime elezioni hanno rinnovato la fiducia al progetto democratico e popolare del partito stesso. I progetti di politica economica tendono a ridurre i diritti del lavoro con la precarizzazione nel mercato del lavoro e con esternalizzazioni, privatizzazioni e tagli alla spesa sociale ed all'educazione.

A questa crisi economica si somma l'attacco frontale dei poteri forti alla presidente Dilma, con l'obiettivo di destituirla e di bruciare il possibile ritorno di Lula alla guida del paese, ristabilendo il dominio storico dell'élite latifondista e finanziaria sul governo del paese. Va detto che in America Latina persiste la pesante eredità lasciata dall'esperienza coloniale. Nel caso del Brasile, il lascito della colonizzazione portoghese sulla proprietà della terra ha fatto sì che essa sia in gran parte rimasta nelle mani di una ristretta élite di famiglie discendenti dal sistema coloniale o ad esso direttamente collegate. Ciò ha dato vita, sin dalla formazione delle nuove repubbliche indipendenti, ad un sistema oligarchico latifondista che, nel corso dei secoli, ha consolidato, in modo esclusivo, un potere economico ed un controllo sociale superiore e esterno al sistema politico, condizionando, frenando, rallentando il processo di modernizzazione e di democratizzazione di queste società.

La CUT nel documento in cui presenta il contesto politico attuale del Brasile scrive, tra l'altro: "La piena democrazia non è stata ancora raggiunta in modo effettivo. Se nel passato le elezioni erano esclusività dei soli uomini, bianchi e proprietari, oggi, grazie al finanziamento privato, i politici eletti continuano ad essere, maggiormente, maschi, bianchi ed imprenditori."

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