PHOTO
1. Premessa
La CGIL riconosce il valore strategico del Patto europeo per l’industria pulita, che tenta di coniugare competitività industriale e transizione ecologica. Tuttavia, è essenziale evitare che si traduca in uno strumento privo di efficacia sociale e industriale per l’Italia.
Il Patto parte da una diagnosi condivisibile: la competitività europea è minacciata dai costi energetici elevati e dalla dipendenza strutturale da fonti fossili. Condividiamo l’urgenza di intervenire, ma segnaliamo l’inadeguatezza degli strumenti previsti e la debolezza strutturale del pilastro sociale. Il rischio è una transizione iniqua e asimmetrica, che lascia indietro lavoratori, territori e settori produttivi strategici.
2. Prezzo dell’energia e sovranità industriale
Il prezzo dell’energia è oggi il principale fattore di perdita di competitività per l’industria italiana. L’Italia ha tra i costi energetici più alti d’Europa, aggravati da ritardi infrastrutturali, dipendenza da gas importato e assenza di pianificazione strategica.
Il Patto riconosce il problema ma propone soluzioni generiche. Per la CGIL è necessario:
• Escludere il principio di neutralità tecnologica, che consente sostegni a tecnologie costose, lente o pericolose (es. nucleare, CCS);
• Puntare su un sistema energetico 100% rinnovabile, elettrificato, integrato e interconnesso;
• Bloccare nuovi investimenti su GNL, idrogeno non verde e grandi infrastrutture fossili;
• Accelerare la diffusione di accumuli, smart grid, PPA e strumenti per la stabilizzazione dei prezzi;
• Riformare il meccanismo del prezzo dell’elettricità per disaccoppiarlo dal gas;
• Ridurre oneri impropri sulle bollette industriali e riformare la fiscalità energetica.
3. Ritardi e ambiguità del Governo italiano
La CGIL segnala con preoccupazione che l’Italia è in ritardo nella transizione energetica:
• Il target rinnovabili del PNIEC (39,4%) è sotto quello europeo (42,5%-45%);
• Il PNRR è stato ridimensionato nei capitoli chiave (colonnine, interconnessioni, settori hard-to-abate);
• Il Governo ha bloccato o rallentato autorizzazioni su impianti green e rinviato decisioni strategiche;
• Nessun piano nazionale per il phase-out dal fossile è stato presentato.
Questa inazione mina le possibilità di contenere i prezzi e promuovere occupazione industriale qualificata.
4. Investimenti pubblici: leva strategica, non residuale
Il Patto stima 480 miliardi annui necessari, ma si affida in gran parte a strumenti esistenti (STEP, InvestEU, aiuti di Stato). Per la CGIL:
• Serve un nuovo piano europeo basato su debito comune, ispirato al Next Generation EU;
• L’UE deve evitare il sostegno al riarmo, incompatibile con una transizione pacifica e civile;
• Gli aiuti di Stato amplificano le diseguaglianze: l’Italia non ha la capacità fiscale di altri Paesi;
• Occorre una vera politica industriale europea, con investimenti pubblici diretti, orientati a beni comuni, energia verde e filiere strategiche.
5. Pilastro sociale e Direttiva per la Giusta Transizione
La transizione deve fondarsi su una vera cornice sociale vincolante. La CGIL propone:
• Una Direttiva europea per la Giusta Transizione, ispirata alla risoluzione ILO 2023, con vincoli precisi per gli Stati membri;
• Condizionalità sociali chiare su ogni investimento pubblico, comprese:
− rispetto dei CCNL,
− creazione di occupazione stabile e dignitosa,
− consultazione obbligatoria dei sindacati,
− riqualificazione e formazione continua,
− prevenzione delle delocalizzazioni e dell’elusione fiscale;
• Partecipazione sindacale nella governance dei fondi di investimento e degli strumenti di condivisione del rischio;
• Esclusione dagli aiuti pubblici di imprese con precedenti di violazione dei diritti sociali o ambientali.
6. Conclusione
Il Patto per l’industria pulita non può rimanere una dichiarazione d’intenti. Per la CGIL è fondamentale che il Governo italiano assuma una posizione forte in Europa, a difesa dell’industria e del lavoro italiano.
Senza nuove risorse europee, una fiscalità condivisa, regole vincolanti e governance partecipata, la transizione rischia di alimentare divari anziché ridurli.
La CGIL chiede che la transizione industriale sia davvero giusta, verde, partecipata e fondata su diritti, coesione territoriale e piena occupazione.