Ennesimo incontro interlocutorio ed ennesimo rinvio. Questo l'esito del faccia a faccia di ieri (16 febbraio) tra i lavoratori dell'Alcoa di Portovesme, arrivati in 200 a Roma per chiedere la chiusura positiva della vertenza della fabbrica di alluminio, i sindacati e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti. Il Governo ha chiesto a Glencore, la multinazionale svizzera che ad oggi è il soggetto più accreditato per rilevare lo stabilimento del Sulcis, di definire la propria disponibilità entro febbraio, dead line dopo la quale è stato fissato il prossimo e decisivo appuntamento al ministero dello Sviluppo Economico, il 7 marzo.L'esecutivo si è impegnato a presentare a Glencore una proposta in grado di garantire costi energetici più vantaggiosi, con una media al di sotto dei 30 euro/MWh per 10 anni, proposta che più si avvicina ai 25 euro Mwh posti come condizione oltralpe.

È  questo, quello del costo dell'energia sull'isola, il nodo principale che da anni impedisce una svolta ostacolando la vendita degli impianti, e se la Commissione Europea ha già dato il suo via libera alla fornitura di tariffe agevolate per due anni, rinnovabili previo ulteriore esame della situazione (cosa indispensabile secondo le organizzazioni sindacali, che ritengono troppo pochi 24 mesi per un plausibile rilancio del sito ormai fermo da tre anni), è il Governo che gioca ora il ruolo da protagonista.

E in gioco non c'è solo il futuro degli oltre 400 lavoratori e delle loro famiglie, ma anche quello del polo industriale di Portovesme, le cui aziende - quelle rimaste - sono collegate a filo doppio con l'Alcoa, e quello dell'industria e dell'economia di una delle province più povere d'Italia e con la maggiore percentuale di disoccupati e cassintegrati. Inoltre l'Italia è uno dei maggiori utilizzatori di alluminio, e senza la fabbrica sarda rischia di diventare anche in questo settore completamente dipendente dai produttori esteri.

Per questi motivi ieri i lavoratori dell'Alcoa hanno tenuto per tutta la giornata un sit in in Piazza Montecitorio (Ascolta la diretta di Radioarticolo1 dal presidio) chiedendo ancora una volta la risoluzione alla vertenza iniziata sette anni fa che ha portato alla cassa integrazione per i dipendenti, ormai non più coperti dagli ammortizzatori sociali, a bandi di vendita e trattative finora non fruttuosi e, nel 2013, alla chiusura della fabbrica. Al presidio, oltre ai rappresentanti sindacali del Sulcis e alle Rsu, erano presenti il responsabile Settori produttivi della Cgil nazionale Salvatore Barone e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. "È passato troppo tempo, ora ci vogliono risposte, se no si sta giocando il rinvio sulla pelle dei lavoratori", ha detto Susanna Camusso, sottolineando che nel Sulcis, nel Mezzogiorno e nel Paese tutto "c'è un grande bisogno di scelte di politica industriale e di investimenti".

Dai blocchi stradali ai cortei, dalle manifestazioni davanti al MiSE ai presidi davanti alle sedi delle istituzioni locali e, anche questo Natale, davanti allo stabilimento. E se andiamo più indietro con il calendario mille iniziative di lotta per ridare un futuro all'occupazione e al territorio. Sono le tante facce della mobilitazione dei lavoratori, cominciata nel 2009 quando la multinazionale statunitense ha dichiarato per la prima volta di voler abbandonare l'isola, e che continuerà fino a quando non si arriverà ad una soluzione in grado di garantire il lavoro e l'impianto.