Roma 3 aprile - “La più grande azienda italiana non può essere ceduta o messa sul mercato. Le poste, presenti capillarmente in ogni piccolo centro del Paese, con 130 mila dipendenti, svolgono una funzione di coesione sociale insostituibile”. A sostenerlo sono il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo e il segretario nazionale Slc Nicola Di Ceglie, convinti che la scelta del Governo sia “sbagliata, irresponsabile, antisociale”.

Da sempre la Confederazione di corso d’Italia, insieme a Slc che organizza i lavoratori di Poste, hanno rappresentato la loro contrarietà ad “un’operazione avventurosa di natura prettamente finanziaria, finalizzata solo a fare cassa in maniera scriteriata dal momento che lo Stato stesso si priverebbe degli utili che l’azienda produce anno dopo anno con la raccolta del risparmio privato e i molteplici servizi offerti alle comunità territoriale”.

Gesmundo e Di Ceglie motivano la loro contrarietà a quella che chiamano “svendita di Poste” anche con la forte preoccupazione per la tenuta occupazionale degli addetti. “Un’azienda in salute come Poste Italiane - sostengono i due sindacalisti - assicura attività utili e floride che danno occupazione certa a lavoratrici e lavoratori che ora, senza alcun motivo, vedrebbero vacillare le loro certezze e la sicurezza del proprio futuro. Rimangono oscuri troppi aspetti del provvedimento - osservano infine - a partire dalle modalità di sottoscrizione azionaria con cui si vorrebbero coinvolgere i lavoratori. Noi non cesseremo di tutelarli anche rispetto ai rischi cui sarebbero esposti”.

Comunicato stampa congiunto Cgil nazionale, Slc Cgil