Roma, 20 novembre - “La Cgil esprime soddisfazione per la decisione della Commissione Europea che richiama di nuovo il nostro Paese a rimuovere le previsioni discriminatorie relative ai requisiti necessari per avere diritto all’Assegno Unico Universale. Lo sosteniamo da quando è stata varata la misura: richiedere la residenza da almeno due anni in Italia porta all’esclusione di tanti cittadini, comunitari e non”. Lo dichiarano le segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Maria Grazia Gabrielli, che commentano così il parere motivato inviato nei giorni scorsi all’Italia dalla Commissione, secondo cui “questa normativa viola il diritto dell'UE, in quanto non tratta i cittadini dell'UE in modo equo, e pertanto si qualifica come discriminazione”, e in cui si ricorda che “il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta inoltre qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale”. Parere che fa seguito a una lettera di costituzione in mora inviata all'Italia nel febbraio 2023 a cui il Governo ha risposto, inadeguatamente per la Commissione, a giugno scorso.

Le dirigenti sindacali si soffermano poi su un’altra richiesta avanzata all’Esecutivo fin dall’introduzione dell’AUU, ossia “di individuare soluzioni normative che potessero coniugare la necessità di utilizzare l’Isee per garantire una modulazione degli importi in base alla effettiva situazione economica della famiglia con quella di non penalizzare i cittadini, comunitari e non comunitari, con figli residenti all’estero. Ribadiamo, peraltro, che le previsioni vigenti appaiono incompatibili con gli accordi bilaterali esistenti con alcuni paesi che prevedono il diritto agli ‘assegni familiari’ e che non sono stati oggetto di recepimento da parte della misura che li ha sostituiti”.

“Siamo sconcertati per l’inadeguatezza o l’assenza di giustificazioni finora addotte dal Governo, e auspichiamo che risponda al più presto al richiamo della Commissione”, concludono Barbaresi e Gabrielli, che ricordano come l’Italia ora abbia due mesi per rispondere e adottare le misure necessarie, trascorsi i quali il caso potrà essere deferito alla Corte di giustizia dell’Ue.