Mercoledì 7 febbraio si è tenuta l’audizione della CGIL, rappresentata dal Segretario Confederale, Christian Ferrari, e dal responsabile Ufficio Progetto Lavoro 4.0, Alessio De Luca, presso la X Commissione (Attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei deputati in relazione allo svolgimento dell’indagine conoscitiva sull’intelligenza artificiale: opportunità e rischi per il sistema produttivo italiano.

Di seguito riportiamo il testo della memoria predisposta per l’occasione con il contributo dell’Area della Contrattazione-Politiche Industriali-Politiche del Lavoro.


Audizione

presso la X Commissione (Attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei deputati in relazione allo svolgimento dell’indagine conoscitiva sull’intelligenza artificiale: opportunità e rischi per il sistema produttivo italiano (7 febbraio 2024)

L'introduzione di sistemi di intelligenza artificiale, nel più generale processo di digitalizzazione, sta avvenendo in tutti i settori industriali, del terziario e dei servizi, con un effetto paragonabile all’introduzione della meccanizzazione nelle industrie a partire dalla metà del Settecento.

Studi recenti sull’impatto dell’intelligenza artificiale ci consegnano un quadro in grande trasformazione, sia dal punto di vista produttivo che professionale e occupazionale.

Il fenomeno è talmente profondo che produrrà effetti sul 60% dei lavoratori delle economie avanzate e sul 40% a livello globale.

È quindi necessario, dal nostro punto di vista, che lo si affronti nella sua complessità:

• politiche industriali dirette all’insieme del sistema produttivo italiano (industria, manifattura, commercio, turismo…);

• tutela dei cittadini;

• lavoro e occupazione.

La velocità della sua diffusione e le potenzialità dei suoi utilizzi sono straordinari, e trovano applicazione attraverso lo sviluppo verticale nei differenti ecosistemi industriali europei e nel settore pubblico.

A preoccuparci sono gli effetti che questa trasformazione tecnologica potrà avere soprattutto su settori costituiti in buona parte da PMI e da imprese artigiane, e sulle attività del settore terziario (dal commercio alla filiera del turismo) e delle professioni (comprese quello dello spettacolo).

Senza dubbio ci sono nuove opportunità di promozione e di connessione tra la dimensione a carattere locale e il grado di diffusione garantito dall’ingresso nell’operatività in alcuni settori di tali tipologie di aziende.

Il contesto, però, è quello di una trasformazione del mercato, in corso da anni, determinato fondamentalmente dall’E-commerce e Piattaforme Digitali, con una straordinaria concentrazione nelle mani di pochi colossi che hanno riscritto le regole del commercio e dei processi produttivi.

È difficile immaginare che, nel quadro dato, le imprese di piccola dimensione siano in grado di rispondere alla concorrenza di multinazionali in grado di investire enormi capitali in questo ambito.

Siamo perciò convinti che la risposta a questa inedita trasformazione debba essere sistemica, con politiche industriali comunitarie dirette a ridurre, in questo ambito, la concorrenza tra imprese europee, per facilitare lo sviluppo di tecnologie continentali e ridurre i costi, realizzando un riequilibrio nello sviluppo tecnologico di A.I.

Al cuore degli interventi dell’UE ci saranno le “fabbriche di intelligenza artificiale”, ecosistemi costruiti attorno ai supercomputer pubblici europei, cui verranno destinati talenti e risorse tecnologiche.

Lo scopo è proprio quello di rispondere all’esigenza di PMI e Start-up di avere un accesso privilegiato a questa rete, beneficando di dati, algoritmi e di potenza di calcolo difficilmente reperibili altrove (utili, ad esempio, per accelerare l’addestramento dei modelli di machine learning e di general purpose).

Particolarmente preziosa risulta, in questo scenario, la possibilità per le imprese di accedere agli spazi comuni dei dati in Europa (Common European data spaces), il che consentirà alle nuove aziende di concentrarsi sullo sviluppo dell’innovazione piuttosto che sulla ricerca di enormi capitali da investire.

Un vantaggio per le imprese europee e italiane, che saranno impegnate a trovare spazio in un mercato globale sempre più difficile da affrontare.

Quello che si sta cercando di definire è quindi un vero e proprio ecosistema per la ricerca sull'IA, sostenuto finanziariamente tramite Horizon Europe e il programma Europa digitale (dedicato all'intelligenza artificiale generativa). Secondo le previsioni, il pacchetto determinerà un ulteriore investimento pubblico e privato complessivo pari a circa 4 miliardi di euro fino al 2027.

Viene inoltre annunciata l'iniziativa GenAI4EU, per sostenere lo sviluppo verticale dell'intelligenza artificiale nei differenti ecosistemi industriali europei e nel settore pubblico. Le aree di applicazione includono robotica, salute, biotecnologia, produzione, mobilità, clima e mondi virtuali.

Certamente si tratta di un primo, importante passo dell’UE, anche se i numeri degli investimenti delle grandi multinazionali in A.I. (Microsoft 10 mld) o della Cina (26,7 mld) ci danno le dimensioni della sfida che avremo di fronte, nonché del ritardo già conseguito nello sviluppo di tecnologie e nel condizionamento del mercato.


LAVORO E OCCUPAZIONE

Ammesso e non concesso che l’occupazione non si ridurrà a livello globale, tutti gli studi ci dicono che si trasformerà profondamente. La questione è, quindi, come si agirà per accompagnare e tutelare il lavoro, dove sarà allocato e si produrrà occupazione povera o di qualità.

Gli strumenti di A.I. che intervengono sui processi produttivi e l’organizzazione del lavoro aumentano l’efficacia delle imprese. La capacità di riprodurre l’attività umana con una enorme potenza di calcolo, infatti, comprime i tempi di lavoro, determinando il superamento di interi processi che prima erano assegnati all’intelligenza e al lavoro umano.

È quindi indispensabile che, nel ragionare di trasformazione tecnologica e di modelli produttivi, si intervenga su organizzazione del lavoro, professionalità e formazione.

Altrimenti, non solo si corre il rischio di una sostituzione di alcune attività lavorative ripetitive di media e bassa complessità e di un aumento delle diseguaglianze tra lavoratori che hanno dimestichezza con le nuove tecnologie e coloro che ne sono privi, ma - nel quadro macroeconomico – intere catene del valore e settori potrebbero essere diversamente localizzati.

In assenza di politiche industriali efficaci, saranno le grandi multinazionali a determinare l’allocazione del lavoro e, soprattutto, la sua qualità nella distribuzione planetaria.

Nella divisione del lavoro, di qualità e precario, farà la differenza – innanzitutto – l’accesso alle nuove tecnologie, il loro utilizzo e sviluppo.

È evidente il pericolo che, in tutti i settori (da quello industriale al manifatturiero, per arrivare al commercio, al turismo e ai servizi), si verifichino una perdita di qualità, una compressione dei salari, una riduzione delle tutele, causate dalla subordinazione alle piattaforme digitali, che potranno determinare ritmi di lavoro, retribuzioni, continuità occupazionale.

È dunque necessario stabilire regole e limiti alla loro pervasività.

La normativa UE, per alcuni aspetti, ha indicato elementi regolatori, ma visto il contesto ed i contenuti permangono importanti riserve sulla loro efficacia.

La discussione in UE sulla regolazione del lavoro è, purtroppo, ancora arretrata, in una articolazione di posizioni dei diversi Paesi comunitari.

Nella definizione del Regolamento A.I. ACT, per esempio, non si fa menzione della tutela collettiva dei lavoratori.

Inoltre, si indicano limiti su strumenti ad alta rischiosità, si escludono utilizzi, si parla della possibilità del singolo (cittadino/lavoratore) di “chiedere trasparenza” (oltre all’informativa sulla privacy - GDPR), ma non si prevede il confronto tra le parti sociali sull’introduzione di strumenti digitali o di A.I. nell’organizzazione del lavoro o nell’attività lavorativa.

Manca poi un quadro chiaro di funzionamento delle autority. Il Regolamento ipotizza diversi organismi che intervengano sullo sviluppo di A.I. in UE, per “verificarne la conformità”, ma non si fa accenno ad autority di controllo legale/amministrativo a livello nazionale ed europeo.

Sembra che, su diverse casistiche, avranno un ruolo regolatorio AGCM e AGCOM, alle quali potremmo aggiungere il Garante per il trattamento dei dati per l’applicazione del GDPR, ma ci troviamo davanti ad un quadro regolatorio confuso, con autorità storicamente non predisposte per queste attività, la mancanza di risorse e di processi collaborativi tra autorità e parti sociali.

Così è difficile regolare l’introduzione di questi strumenti ex ante, tutelare i lavoratori, definire nuovi modelli produttivi con effetti sull’occupazione, la formazione, le professionalità.

L’A.I. non può essere eliminata dai processi produttivi e dal mondo del lavoro. Molte sue applicazioni sono rivoluzionarie e miglioreranno, indubbiamente, le condizioni di vita delle persone, basti pensare alle applicazioni in campo medico e, più in generale, nella ricerca scientifica, nell’ambito della sicurezza sul lavoro.

Il tema fondamentale, però, è come si regola l’utilizzo, come si determinano i limiti, come si evita che il plusvalore generato da questa innovazione aumenti diseguaglianze e concentrazione di ricchezza e potere, a discapito del lavoro.

Per questo chiediamo che:

• si individui un tavolo istituzionale con il governo e le parti sociali per una valutazione generale del fenomeno;

• si avvii un confronto tra le parti per una valutazione di impatto, per una discussione sulla trasformazione dei modelli organizzatavi, per ragionare di professioni, formazione, salario e durata della prestazione lavorativa, anche con il supporto dalle autorità competenti. In tal senso va rafforzato e reso esigibile il ruolo della contrattazione collettiva;

• si definisca normativamente il ruolo e le modalità organizzative delle autorità competenti, sia per migliorarne la capacità di iniziativa che per il supporto al confronto tra le parti sociali;

• si definiscano delle nuove politiche industriali. Industria 4.0, consistita in un generico sostegno alle imprese senza condizionalità, non ha generato in questi anni quel salto necessario né all’innovazione delle imprese, né al quadro occupazionale e alla crescita delle nuove professioni. Abbiamo la necessità di un intervento dello Stato che indirizzi lo sviluppo, che accompagni le transizioni digitali e green, che sostenga processi di formazione continua, che garantisca ammortizzatori sociali e politiche attive in grado di garantire una giusta transizione del lavoro.

La competizione nell’era dell’A.I. è, ancor di più che in passato, sulla qualità del lavoro e sugli investimenti in ricerca e formazione. Continuare a puntare sulla svalorizzazione del lavoro e sulla compressione dei salari, sulla via bassa allo sviluppo, sarebbe un drammatico errore e una strategia controproducente per le stesse imprese.

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