Sono 2.990.000 i lavoratori irregolari in Italia (anno 2021), di cui 2.177.000 occupati dipendenti e il resto indipendenti, un dato che è in aumento di circa 73 mila unità rispetto al 2020 (più 33 mila i dipendenti e più 39 mila gli indipendenti). I numeri sono del report 2023 sull’economia non osservata dell’Istat, che fa un focus sugli anni 2018-2021.

Se si fa un confronto con il lavoro regolare, il tasso di irregolarità è del 12,7%: in pratica, su 100 lavoratori regolari, quasi 13 sono in nero o in grigio (unità di lavoro a tempo pieno: 12,9% tra i dipendenti e 12,3% tra gli indipendenti).

Il settore dove è maggiormente radicata è quello dei servizi alla persona (42,6% l’incidenza), seguito dall’agricoltura (16,8%), il terziario (13,8%) le costruzioni (13,3%), il commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (12,7%).

Importante anche il valore dell’economia sommersa, 160 miliardi di euro, che corrispondono all’8,7% del Pil, una cifra così composta: oltre 91 miliardi è rappresentato da sottodichiarazioni, pari al 5% del Pil, poco più di 68 miliardi di euro da lavoro irregolare (3,7% del Pil).

Sul fronte dei controlli, ecco i dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che però non rappresentano una fotografia della realtà perché il numero delle ispezioni, sebbene aumentato rispetto all’anno precedente, è decisamente insufficiente a monitorare e verificare un fenomeno che si evidenzia come strutturale in moltissimi settori produttivi.

Nel corso dell’attività effettuata da gennaio a dicembre 2023 sono stati scoperti 21.170 lavoratori in nero, di cui 10.156 nel terziario (47,8%) e 2.666 in edilizia; 328.549 irregolari, 36.511 rapporti fittizi, 3.208 vittime di sfruttamento o caporalato, di cui 2.123 in agricoltura e 897 nel terziario.

Il lavoro sommerso sottrae risorse al Paese, imprigiona nella precarietà e povertà le persone a partire da quelle che vivono una condizione più fragile e ricattabile come i migranti, le donne, chi è già in stato di bisogno, si alimenta con la competizione sleale tra imprese. Il lavoro in nero e in grigio rende precarie le persone e di conseguenza le loro vite, alimentando un circolo vizioso per il quale alla totale o parziale assenza di garanzie e tutele oggi corrispondono un’incerta copertura in caso di infortunio in futuro e contributi nulli o ridotti per la pensione.

Il lavoro sommerso e il suo disvalore sociale sono una vera emergenza che va affrontata con azioni integrate di prevenzione e contrasto: dai controlli alle sanzioni, dalle politiche attive e dalla formazione all’eliminazioni delle forme precarie di lavoro, dal superamento della legge Bossi-Fini a un nuovo sistema regolare di ingresso per lavoro.

Le risposte del governo fino a oggi segnano la distanza tra gli spot e i fatti, come la scelta di liberalizzare le forme contrattuali precarie, la non condivisione per rendere realmente incisivo il piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso, condizionalità del Pnrr.

Occorrono invece azioni che richiedono investimenti in termini di personale, coordinamento tra le istituzioni, condivisione con le parti sociali, scelte coerenti con l’obiettivo di contrasto e volte a far progredire la cultura del lavoro regolare che è lavoro dignitoso, stabile, tutelato, sicuro.

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