Sono 322.326 i collaboratori e 376.153 i professionisti esclusivi non ordinisti in Italia. Hanno un reddito basso e poche tutele. I primi guadagnano in media 11.730 euro all’anno, i secondi 16.809 euro, secondo i dati dell’osservatorio Inps sui parasubordinati 2022. Anche per loro si ripropone il tema sostenuto a partire dal 2015 dalla Cgil della necessità di garantire a tutti, a prescindere dalla condizione contrattuale, i diritti fondamentali del lavoro, come previsto negli articoli 35 e 36 della nostra Costituzione.

Tra i primi ci sono i collaboratori di giornali e riviste, quelli a progetto, i venditori porta a porta, gli autonomi occasionali, i collaboratori presso la pubblica amministrazione, i collaboratori nelle scuole private, le altre collaborazioni, quelli regolamentati dal Jobs Act. Sono per il 43,9% uomini, per il 56,1% donne. I professionisti esclusivi sono quelli non iscritti a un ordine professionale, con partita Iva e versano alla gestione separata Inps e non alle casse previdenziali di un ordine, che operano trasversalmente a molti settori, come nelle piattaforme digitali, e rappresentano il 79,96% del totale dei professionisti e il 24,64% di tutti i parasubordinati.

Nella pubblica amministrazione il dato dei collaboratori risulta crescente negli ultimi anni, raggiungendo anche un più 175% di incremento in sanità e più 100% nelle  funzioni centrali (conto annuale Mef-Rgs, 2021).

L’andamento dei parasubordinati nel complesso (senza e con partita Iva) è in crescita: ha registrato un incremento di 127.000 lavoratori tra il 2019 e il 2022 (più 12,6%), dovuto soprattutto all’aumento dei post-laurea (più 34,3%) e dei professionisti (più 18,6%).
Mentre le collaborazioni sono in contrazione.

Nel corso degli anni diversi sono stati gli interventi anche di carattere legislativo e molte le iniziative di proposta, di tutela e contrattuali che la Cgil ha messo in campo dando continuità all’iniziativa sindacale volta a costruire risposte anche per chi opera in regime di autonomia, in particolare collaboratori, lavoratori in proprio e lavoratori autonomi con partita Iva senza dipendenti.

Dalla la legge 81/2017 sul lavoro autonomo a oggi il quadro è profondamente cambiato, sono emerse nuove professioni e i redditi medi risultano sempre più bassi, anche  perché i rapporti con i committenti non consentono ai professionisti, in molti casi, di imporre condizioni eque e dignitose.

Esiste ancora molta disomogeneità e disparità di trattamento tra dipendenti e autonomi e, all’interno di questi ultimi, tra ordinisti e autonomi iscritti alla gestione separata Inps. Le norme e le proposte che sono arrivate e arrivano dalle istituzioni non hanno colmato questo divario.

Abbiamo sostenuto la necessità di arrivare alla definizione dell’equo compenso, una battaglia che ha condotto all’approvazione della legge 49/2023 che pur rappresentando una conquista importante è ancora molto lontana dagli obiettivi di ricomposizione ugualitaria del compenso tra i lavoratori.

Una legge quindi parziale e incompiuta a partire proprio dalla necessità di individuare e adottare parametri per rendere operativo l’equo compenso.

Per garantire certezza nel reddito è necessario che questi compensi siano calcolati considerando una prestazione professionale almeno pari al costo azienda (comprensivo di tutti gli oneri contributivi) previsto nei minimi tabellari orari dei contratti nazionali adottati dal committente o comunque per prestazioni affini. Nel 2022, sempre secondo l’osservatorio Inps, infatti, circa la metà di questi professionisti guadagnava meno di 10.000 euro lordi annui e solo due su dieci oltre 25.000. Le donne in media il 26% in meno degli uomini. Per la Cgil questa è la base della discussione a cui però il governo risponde con il silenzio e non attivando confronti.

Anche il fronte delle tutele sociali del lavoro autonomo è ancora molto frammentato e per questo riteniamo necessario costruire le condizioni per un’estensione e maggior uniformità delle prestazioni. In questo percorso, l’Iscro, Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa, rappresenta un primo importante risultato in tema di continuità del reddito e per questo ne abbiamo proposto e sostenuto la conferma che ha portato, nell’ultima legge di Bilancio, alla sua strutturalità e la previsione di alcuni elementi di allargamento della platea dei destinatari.

Anche su questo strumento riteniamo che ci siano spazi di miglioramento e azioni attuative da intraprendere: da un ulteriore innalzamento della soglia di reddito, ai tempi di accesso alla misura fino a un’efficace e puntuale previsione e declinazione delle politiche attive collegate.

Ancora troppo difformi e non adeguatamente trattate le prestazioni di malattia, maternità e paternità, infortunio, anch’esse influenzate nella misura e nella durata dai bassi compensi. In particolare: sulla malattia occorrono indennità giornaliere più adeguate; su maternità/paternità un meccanismo che prenda a riferimento requisiti contributivi più tutelanti per chi ha aperto da poco la partita Iva e per chi ha alle spalle un calo di reddito e tempi di riscossione più celeri, considerando anche un sostegno nella fase di rientro dalla maternità fino al primo anno di vita del bambino, per coprire il possibile calo di attività; sugli infortuni e le malattie invalidanti, è necessario il riconoscimento pieno e l’accesso all’assicurazione Inail contro gli infortuni.

Una condizione ibrida invece quella vissuta dai collaboratori, rispetto alla quale è necessario definire tutele e diritti che diano risposte alla discontinuità del reddito oltre che a un’autonomia nella prestazione più teorica che concreta.

Al confine tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, ci sono uomini e donne che rischiano di non avere né le tutele del primo mondo né l’autonomia del secondo: niente ferie e permessi, tempi di lavoro che invadono tempi di vita e spazi privati. Dal punto di vista dei compensi, la condizione dei collaboratori è ancora più drammatica dei professionisti: i soli collaboratori a progetto (125.793) superano di poco i 10.000 euro di reddito medio annuo, i quasi 27.000 collaboratori presso la PA guadagnano 9.276 euro e i più numerosi collaboratori “Jobs Act” (135.644) si fermano a 8.504 euro.

Ai collaboratori non è riconosciuto alcun ammortizzatore in caso di calo dell’attività e hanno diritto ad una prestazione in caso di disoccupazione, la Dis Coll, priva però dei contributi figurativi, cosa che compromette ulteriormente la già grave prospettiva pensionistica.

Condizioni a cui è necessario rispondere con interventi mirati che rivendichiamo al governo e contestualmente continuiamo a esercitare il ruolo contrattuale per regolamentare questi rapporti di lavoro e costruire risposte mirate ai bisogni di lavoratori e lavoratrici che si ritrovano sulla strada dell’autonomia, non sempre per libera scelta  ma spesso per mancanza di alternative, nel tentativo di generare tutele specifiche su compensi equi, adeguati alle prestazioni e maggiori tutele lavorative e sociali.

Alle difficoltà del lavoro per collaboratori e professionisti non ordinisti si lega l’emergenza previdenziale. Tra i professionisti, i contribuenti netti (coloro che versano senza avere un solo euro di contributo accreditato ai fini della pensione e di altre prestazioni) sono molti ma solo il 36% raggiunge i 12 mesi di contribuzione necessari per avere un anno di contributi. Per i collaboratori la situazione è ancora più grave: a fronte di un 30% di contribuenti netti, solo il 13% raggiunge l’anno pieno di contributi, poco più di uno su dieci. Una condizione che rende evidente come, in conseguenza della discontinuità e insufficienza di reddito, si concretizzino scarsi versamenti  previdenziali.

Per questo è necessario avviare una riforma del sistema che introduca la pensione contributiva di garanzia (Pcg) per riallineare le prestazioni pensionistiche a soglie dignitose. Andrebbero attivate una serie di misure per i collaboratori tra cui: equiparare l’aliquota previdenziale dei collaboratori (11%) a quella dei dipendenti (9,19%) riportandone il carico sulle imprese, prevedere la automaticità delle prestazioni, oggi negata, in caso di mancato versamento da parte del committente.

Per i professionisti non ordinisti un ulteriore elemento di tutela sarebbe l’obbligatorietà della rivalsa previdenziale del 4% (alzandone in prospettiva l’importo) e l’introduzione di una contribuzione figurativa nei periodi di fruizione delle indennità Inps.

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