Salari e organizzazione del lavoro. Analisi - BelleCiao, la piattaforma di genere della CGIL

Quasi la metà delle nuove assunzioni che ha riguardato le donne negli ultimi due anni è a tempo parziale (soprattutto part time involontario); secondo i dati Istat il gender pay gap, cioè il divario retributivo di genere, sarebbe circa del 5% ma in realtà è molto più ampio se consideriamo la parte variabile della retribuzione (stimato al 25% nel privato e al 17% nel pubblico). Un divario che sale progressivamente con l’avanzare del percorso di carriera (fino ad arrivare al 43% nei livelli più alti). Non solo, la discrepanza delle retribuzioni aumenta anche con l’aumentare del livello di istruzione: si passa dal 5,4% delle scuole professionali, al 10,4% dei non laureati, al 30,4% tra i laureati e arriva al 46,7% tra coloro che hanno specializzazioni di secondo livello. Criticità che, inevitabilmente, avranno gravi ripercussioni anche dal punto di vista previdenziale. Questo divario è determinato da vari fattori: la precarietà e alla discontinuità lavorativa; carriere più frammentate e discontinue dovendo farsi carico dell’attività di cura (in particolare alla nascita dei figli); gli incentivi sulla produttività spesso legati a criteri sulla presenza; l’addensamento maggiore nelle mansioni e negli inquadramenti più bassi; la presenza nei settori dei servizi e della cura dove è più presente il lavoro povero, con basse retribuzioni, segno di una “svalorizzazione- disconoscimento” sociale del lavoro delle donne. Tutto questo comporta anche difficoltà e discriminazioni nei percorsi di carriera (tetto di cristallo e sticky floor – pavimento appiccicoso).
Nonostante la parità salariale sia prevista per legge, il Gender pay gap, in Italia come in Europa, è un fenomeno persistente: per contrastarlo si sta lavorando ad una Direttiva sulla Trasparenza salariale - già approvata dal Parlamento europeo e ora al vaglio del Consiglio- che serva ad evidenziare i meccanismi che producono le discriminazioni retributive e a promuovere una stessa paga per lo stesso lavoro a parità di livello e condizioni. Dal punto di vista normativo internazionale resta fondamentale rafforzare l’applicazione delle convenzioni OIL sulla Parità di Remunerazione (n°100) e sulla Discriminazione in occupazione (n°111).
In Italia le attuali norme sulla Certificazione della parità di genere (Legge 162/2021, norma Uni 125 del 2022, decreto interministeriale 29 marzo 2022):
- introducono un punteggio premiale nella valutazione di progetti e bandi di gara e agevolazioni contributive alle aziende che abbiano ottenuto la Certificazione;
- riducono a oltre 50 dipendenti il target delle aziende tenute a redigere il Rapporto sulla situazione del personale (già previsto nel Codice delle Pari Opportunità certifica carriere, retribuzioni, ricorso a prepensionamenti, pensionamenti, Cig e licenziamenti);
- estendono la nozione di discriminazione anche al momento della selezione del personale e all’organizzazione del lavoro nei modi e nei tempi;
- estendono il criterio dell’equilibrio di genere nella composizione dei CdA, già previsto per le società quotate, anche alle società non quotate, controllate da pubbliche amministrazioni.
Molte di queste misure rispondono a richieste della CGIL.
Nonostante l’indubbio valore politico del provvedimento che cerca di intervenire per contrastare le disparità che penalizzano il lavoro delle donne, permangono alcuni limiti da superare: è necessario rafforzare l’obbligatorietà e le relative sanzioni. Nel caso in cui l’Ispettorato del Lavoro riscontrasse anomalie e difformità sono previste sanzioni ancora poco incisive e il noto sottodimensionamento dell’organico degli Ispettori del lavoro rende complessa la verifica; non c’è un esplicito riferimento alla contrattazione; la certificazione avviene solo nel rapporto tra impresa ed ente certificatore, mentre noi riteniamo che il coinvolgimento di Rsu/Rsa/Rls sia un requisito fondamentale; la discriminazione diretta e indiretta va comunque agita in sede legale con tutti i relativi costi e difficoltà; manca, a livello Governativo, uno strumento per l’elaborazione dei dati.
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