La crisi operaia e sindacale dell’autunno 1980 alla Fiat di Torino rappresentò un passaggio cruciale nella storia delle relazioni industriali in Italia. Di fronte al piano dell’azienda che prevedeva drastici tagli, lavoratori e sindacati provarono a reagire, ma furono travolti dalla famosa “marcia dei quarantamila” del 14 ottobre, organizzata dal “Coordinamento dei capi e dei quadri intermedi” e sostenuta dall’azienda, che costrinse il sindacato a firmare la “resa”. L’accordo finale prevedeva 23 mila operai in cassa integrazione; di questi pochissimi riuscirono a rientrare in fabbrica.

Dopo il X Congresso della CGIL, tenuto a Roma nel novembre 1981, dal 1982, con la disdetta unilaterale da parte di Confindustria dell’accordo sulla scala mobile del 1975 e con il blocco dei rinnovi contrattuali, iniziò la pesante controffensiva, destinata a produrre effetti laceranti nel sindacato. La Federazione unitaria provò a contrastare le richieste delle imprese con la firma nel gennaio 1983, grazie alla mediazione del Governo, del cosiddetto “lodo Scotti”. Ma all’indomani delle elezioni politiche del 1983, che portarono per la prima volta nella storia italiana un socialista alla guida del paese, fu proprio il Governo Craxi a lanciare l’affondo più incisivo.

Dopo la firma di un accordo separato nel febbraio 1984, che non venne firmato dalla CGIL, ormai divisa al proprio interno tra comunisti e socialisti, il Governo preparò il cosiddetto “Decreto di San Valentino” che prevedeva i tagli alla scala mobile per via legislativa. Questi avvenimenti produssero la rottura della Federazione unitaria; l’opposizione della CGIL, culminata il 24 marzo in una grande manifestazione di massa, non sortì effetto e il Decreto fu trasformato in legge.

Contro la legge furono raccolte le firme per il referendum abrogativo in un clima molto teso, segnato dal nuovo inquietante affondo del terrorismo rosso, che uccideva Ezio Tarantelli, un economista tra i principali sostenitori dei provvedimenti governativi. Il referendum si tenne il 9-10 giugno 1985 e vide la vittoria dei “no”; la legge restava in vigore. Alla chiusura dei seggi e prima di venire a conoscenza dei risultati, la Confindustria disdettava ugualmente l’accordo, mostrando una palese insofferenza rispetto a un sistema corretto di relazioni sindacali e istituzionali. Alla fine dell’anno fu firmato l’accordo per il pubblico impiego che modificava in parte la struttura della scala mobile; nel giro di poche settimane tale accordo fu esteso anche al settore privato.