In Italia ci sono 16.264 siti contaminati con procedimenti di bonifica in corso di competenza regionale e 42 SIN (siti di interesse nazionale). Sono aree spesso caratterizzate dalla presenza di discariche, impianti chimici e siderurgici, amianto, centrali elettriche, aree portuali, petrolchimici e raffinerie; costituiscono una vera emergenza ambientale e sanitaria per i lavoratori e le comunità, sono la causa di eccesso di mortalità, patologie oncologiche, ricoveri ospedalieri, ed in alcuni casi anche di eccessi di malformazioni congenite. Il tema delle bonifiche va affrontato nel rispetto degli obiettivi e delle misure stabiliti dalla strategia europea per la biodiversità al 2030, in un ragionamento sistemico che tenga conto anche del degrado del suolo per uso agricolo (soprattutto per allevamenti e coltivazioni intensivi), della necessità di fermare il proliferare delle discariche abusive, dell’impermeabilizzazione del suolo e dell’espansione urbana e di sostenere il ripristino degli ecosistemi degradati, di contrastare l’inquinamento e di creare nuova occupazione conciliando le attività economiche con il rispetto della natura.

Per la CGIL la bonifica di tutte le aree contaminate, a partire da quelle che coincidono con le are di crisi industriale, è una priorità innanzitutto per rimuovere il rischio ecologico e sanitario. Investire in queste aree rappresenta anche una grande opportunità di rilancio degli investimenti e dell’occupazione, per bloccare il consumo di suolo e promuovere la rigenerazione urbana. Su questa priorità vogliamo orientare le nostre proposte per l'utilizzo delle risorse ordinarie ed europee di prossima programmazione. Le aree contaminate, se sottoposte a bonifica e riqualificazione, possono rappresentare una risorsa importante per il paese, poiché generalmente già dotate di infrastrutture (porti, ferrovia, energia, rete viaria, servizi ambientali, ecc.), con un vantaggio in termini di oneri di urbanizzazione e un’opportunità per il reinsediamento produttivo per attivare le potenzialità di rilancio del tessuto economico e sociale interessato. I Piani Regionali di Bonifica, ed i Piani Energetici e dei Rifiuti, devono tenere in debito conto la distribuzione ed estensione dei siti dismessi, come anche di quelli ad oggi contaminati e produttivi.  Bonificare e rendere disponibili questi siti per nuovi insediamenti produttivi, in particolare le aree dei grandi poli industriali del mezzogiorno, al centro del Mediterraneo, è un’occasione straordinaria di sviluppo per il Paese. Spesso i programmi di investimento per la riqualificazione industriale, ma anche la rigenerazione urbana, sono bloccati proprio a causa dei ritardi nelle bonifiche. Insieme all'accelerazione delle procedure di bonifica, servono interventi di riconversione ecologica e rilancio delle attività industriali già esistenti o investimenti per nuove attività produttive sostenibili per evitare che prosegua la contaminazione delle matrici ambientali e per creare le condizioni per una continuità e un incremento dei livelli occupazionali.

Per la CGIL il tema delle bonifiche, è strettamente connesso all'obiettivo di esercitare una governance multilivello ed avanzare proposte di programmazione negoziata per una nuova politica industriale e di sviluppo sostenibile, anche in relazione a molte aree di crisi industriale. Spesso su queste aree insistono più strumenti e risorse (CIC, SIN, Porti, ZES, Città metropolitane, Aree Interne...) che andrebbero messi a fattore comune e indirizzati in un unico progetto, in cui la partecipazione delle parti sociali e delle comunità è un elemento fondamentale.

Lo stato di attuazione delle bonifiche dei SIN, che insieme ad altri siti di bonifica occupano circa il 3% della superficie del nostro paese, è desolante sia per quanto riguarda i terreni che per quanto riguarda le falde acquifere. In diversi casi, a distanza di oltre 15/20 anni, la % di aree con procedimento concluso continua ad essere zero o molto bassa.  Qualcosa si sta muovendo, nel 2020 sono stati fatti accordi di programma sui SIN per circa 759 milioni, avvalendosi in gran parte delle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 a valere sul Piano Operativo Ambiente e per quanto riguarda i siti orfani sono stati previsti 105 milioni di euro da trasferire alle Regioni con un decreto ministeriale del 30 gennaio e successivamente 500 milioni con il PNRR. A livello regionale la situazione è eterogenea ma ci sono buone pratiche da seguire in alcune regioni con maggiori disponibilità economiche. Le risorse complessivamente previste però continuano ad essere ampliamente insufficienti.

Dobbiamo prendere in seria considerazione il fatto che molto probabilmente il settore delle bonifiche non decolla, non solo per le scarse risorse messe a disposizione, ma per incapacità del sistema di pianificare con un’ottica di efficienza, efficacia e sostenibilità.  Con la vertenza BONIFICHE la CGIL intende rafforzare la propria azione a livello nazionale e territoriale sul tema delle bonifiche, a partire da un’analisi delle criticità che le bloccano e le rallentano e con proposte per accelerare e rendere concreto il processo di riqualificazione delle aree.

Inadeguata volontà politica da parte di Governo, MITE e enti locali responsabili (Regioni e comuni)

Il tema delle bonifiche non rientra fra le priorità della politica anche perché i lunghi tempi di esecuzione non danno un riscontro nei tempi del mandato politico. La CGIL propone di intervenire nell’ottica dei prossimi 6 anni attraverso il sistema di Governance partecipato con il Governo per il PNRR, per affrontare in termini di riforme e progetti anche la questione delle bonifiche nel quadro più complessivo della transizione verde. L’obiettivo è quello di coniugare riqualificazione delle aree contaminate e riconversione ecologica del sistema produttivo ed energetico, con l’adozione di un piano complessivo degli interventi, delle priorità, a partire dai siti a maggiore rischio, delle risorse e delle nuove politiche di reindustrializzazione da definire attraverso una regia nazionale ed il coordinamento dei vari livelli istituzionali; A livello regionale si deve istituire un sistema di governance partecipato per la definizione/aggiornamento di piani integrati rifiuti, energia e bonifiche, per la ricognizione di tutti i siti contaminati, compresi i siti con inquinamento diffuso e le aree con valori di fondo naturale superiori alle CSC (concentrazioni soglia di contaminazione), per l’individuazione dei siti orfani e del fabbisogno complessivo di risorse per gli interventi di riqualificazione ambientale di tutte le aree contaminate regionali, per la definizione e rapida approvazione di progetti, di priorità, e per la pianificazione del riutilizzo delle risorse naturali, dei materiali trattati secondo principi di economia circolare e della destinazione d’uso delle aree a seguito del risanamento ambientale. Vogliamo attivare un confronto attivo con i comuni al fine di individuare le difficoltà, di progettazione e di altro tipo, e per definire  politiche e soluzioni condivise. Serve una pianificazione territoriale del riutilizzo delle aree da bonificare, così da prevedere già in fase progettuale gli interventi funzionali al riutilizzo dell’area con le tecniche più opportune e ottimizzando e razionalizzando le risorse disponibili.

A tutti i livelli istituzionali dovranno essere attivati sistemi di informazione trasparente per la popolazione in cui pubblicare dati, compresi quelli degli studi epidemiologici che dovranno essere fatti, accordi di programma e stato di avanzamento delle bonifiche e un sistema di monitoraggio e verifica, che veda il coinvolgimento attivo di parti sociali e comunità,  anche sul rispetto della legalità negli appalti e nel ciclo dei rifiuti.

Carenza di risorse pubbliche

Le risorse pubbliche per le bonifiche non sono ancora sufficienti. Sarà necessario reperirle dalle risorse ordinarie statali e regionali, dai fondi strutturali europei, vedi il fondo per lo sviluppo e la coesione 2021-2027, così come dal dispositivo per la ripresa e la resilienza. Il regolamento che istituisce quest'ultimo infatti, oltre a prevedere la transizione verde come uno dei sei pilastri di intervento, prevede espressamente il finanziamento del recupero dei siti industriali e dei terreni contaminati come intervento che contribuisce con un coefficiente del 100% al sostegno degli obiettivi ambientali europei. Devono essere recuperate le risorse sparite dal PNRR per l’economia circolare e la riconversione industriale, risorse che si rendono essenziali per la bonifica e la reindustrializzazione.

Inerzia o avversione delle grandi aziende che hanno contaminato ad investire ed effettuare gli interventi di bonifica

Occorre rendere esigibile il principio “chi inquina paga” richiamando alle proprie responsabilità i grandi inquinatori affinché le aree siano rese nuovamente utilizzabili dalle comunità. Nei casi in cui sia difficile individuare la responsabilità della contaminazione, a causa di passaggi di proprietà, nei casi di multiproprietà o per altri motivi, lo Stato deve farsi garante del risanamento ambientale e della riqualificazione dell’area in tempi rapidi, fermo restando il diritto di rivalsa nei confronti dei responsabili della contaminazione. A questo proposito valutiamo positivamente la disposizione del DL governance e rafforzamento della PA che per accelerare gli interventi di messa insicurezza, bonifica e ripristino ambientale, le regioni, le province autonome e gli enti locali possano stipulare accordi con il MITE, per avvalersi delle società in house dello stesso Ministero, sottoscrivendo apposite convenzioni.

Per accrescere la pressione sulla politica e sui responsabili aziendali della contaminazione è indispensabile, oltre alla collaborazione con CISL e UIL su questo tema, rafforzare le alleanze con associazioni, movimenti, comunità, mondo accademico ed istituti di ricerca sia a livello nazionale che sui territori, per un’azione comune di: informazione su rischi ed opportunità di rilancio delle aree contaminate, ruolo politico della società civile all’interno delle conferenze dei servizi, promozione di indicatori della qualità della vita in cui l’assenza di aree contaminate e/o le bonifiche realizzate siano un parametro di riferimento su cui valutare un comune o un’azienda. Ad esempio le associazioni ambientaliste che assegnano bandiere blu, verdi o certificazioni di qualità, potrebbero inserire fra i parametri di misurazione della qualità di vita anche l’avvio, l’esecuzione o la conclusione di un procedimento di bonifica e la restituzione di un sito contaminato agli usi legittimi (agricoli, civili, industriali, ecc.); le stesse amministrazioni pubbliche potrebbero aggiungere alla lista dei parametri di qualità (ripiantumazioni, km di piste ciclabili, % di raccolta differenziata, ecc.) anche i metri quadrati di suolo e i metri cubi di acqua bonificati ogni anno, stessa cosa potrebbero fare le aziende nei loro bilanci di sostenibilità. In caso di inazione la CGIL promuoverà azioni di mobilitazione, vertenze ed esposti alla magistratura.

Lentezza ed inefficienza amministrativa che determina tempi lunghi di approvazione delle procedure

Occorre rafforzare la pubblica amministrazione con adeguate assunzioni, innovazione tecnologica e digitalizzazione per velocizzare tutte le procedure amministrative delle autorizzazioni, l’approvazione dei piani di caratterizzazione ed i progetti di bonifica, garantendo partecipazione democratica e rispetto delle norme a tutela dell’ambiente e della salute. Allo stesso tempo può essere fondamentale il ruolo dell’ANCI per la predisposizione di una serie di “atti standard” che possano essere facilmente adottati ed adattati dagli Enti Locali, ad esempio per la costituzione di albi di esperti, assegnazione di incarichi di progettazione, esecuzione e collaudo dei lavori, ecc.;

 

Problemi di tipo normativo/tecnico

La necessità di semplificare e standardizzare sempre di più le procedure amministrative è in forte conflitto con la tendenza al continuo aggiornamento della normativa vigente, cui segue la difficoltà di aggiornamento degli allegati tecnici al decreto 152/2006 e delle norme sparse in vari provvedimenti, che infatti a tutt’oggi contengono alcune  contraddizioni. C’è inoltre il problema delle aree minerarie dismesse, per le quali la norma di riferimento è quella generale contenuta nel D. Lgs 152/06 ma che, per la specificità, meriterebbe un riferimento normativo specifico. Pur essendo consapevoli che le modifiche normative per semplificare le procedure di bonifica approvate fino ad oggi non hanno prodotto l’accelerazione dei tempi auspicata, condividiamo la necessità di semplificare e razionalizzare la normativa in materia ambientale, come annunciato nel piano delle riforme del PNRR. Gli interventi di modifica dovranno comunque garantire il rispetto delle disposizioni in materia di tutela ambientale e la partecipazione democratica, non tradursi in operazioni di deregolamentazione e rispettare il principio di non arrecare un danno significativo al clima e all’ambiente secondo quanto riportato nella Comunicazione della Commissione  Europea sugli Orientamenti tecnici a norma del regolamento sul dispositivo per la ripresa e la resilienza. Si dovrebbe puntare a raggiungere l’uniformità degli atti amministrativi, di determine, delibere ed autorizzazioni che la Pubblica Amministrazione adotta su tutto il territorio nazionale  con l’obiettivo di inserire su un’apposita piattaforma l’intera documentazione dei procedimenti e dei provvedimenti di bonifica. Destano preoccupazione alcune modifiche al D.Lgs 152/2006 introdotte dal DL governance e rafforzamento della PA. Ci riferiamo, per esempio alla disposizione che consente, modificando l’art. 242ter del D.Lgs 152/2006, di realizzare i progetti del PNRR nei siti oggetto di bonifica, compresi i SIN, seppure a condizione che siano realizzati senza pregiudicare o interferire con l’esecuzione della bonifica e senza determinare rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area, perché la realizzazione dei progetti potrebbe ritardare il risanamento ambientale. Inoltre si intende modificare ulteriormente l’art. 242-ter consentendo, qualora le terre e rocce da scavo dei siti in cui si intendono realizzare i progetti presentino concentrazioni dei parametri superiori alle concentrazioni soglia di contaminazione, di parificare questi parametri  al valore di fondo naturale esistente. Nel D.L. 152/2006 deve essere recuperato il gap fra conoscenze e metodi di bonifica e disposizioni normative. Proponiamo inoltre la revisione della normativa prevista dall’art. 252-bis del D.L. 152/2006, relativa ai siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, con gli obiettivi di: rafforzare e rendere strutturale la sinergia fra i soggetti ed i vari Ministeri coinvolti, creare una governante integrata con un unico soggetto gestore per la gestione delle diverse risorse e progetti che insistono su uno stesso territorio, introdurre meccanismi di monitoraggio e controllo, coinvolgimento democratico a partire dalle parti sociali per una gestione condivisa e trasparente nel processo di bonifica e di reindustrializzazione sostenibile delle aree. Spesso infatti la lentezza nella programmazione e nella realizzazione dei progetti è amplificata dalla mancanza di un coordinamento tra i diversi capitoli di finanziamento (CIC, SIN, Porti, ZES, ZLS, Città metropolitane, Aree interne, …) che evidenzia la mancanza di una visione politica e che rende difficile la realizzazione di un progetto di riconversione ecologica e di sviluppo sostenibile.

Ruolo ed interazioni fra vari soggetti pubblici coinvolti: ISPRA, ARPA, ISS, INAIL, MITE, SOGESID, INVITALIA (finanziamenti perinvestimenti produttivi nelle aree da bonificare)

Occorre rafforzare il ruolo degli enti tecnici di ricerca, potenziandone organici e finanziamenti per consentire lo svolgimento delle pratiche tecniche e per rafforzarne il ruolo di soggetti pubblici per la ricerca, l’innovazione tecnologica e la sperimentazione. SOGESID potrebbe essere il soggetto che sostiene i comuni nella fase di progettazione, attraverso una riforma complessiva e la stabilizzazione del personale precario. Anche gli organici ed i finanziamenti per le ARPA devono essere integrati al fine di migliorarne l’operatività ed il ruolo, anche in termini di terzietà rispetto alle istituzioni ed ai soggetti privati.

Difficoltà di individuare soluzioni tecniche per problematiche complesse, sostenibili dal punto di vista ambientale e fattibili dal punto di vista economico e sociale

Occorre aprire alla sperimentazione di nuove tecniche di bonifica, in particolare delle soluzioni basate sulla natura, promuovere l’economia circolare e lo sviluppo di filiere verdi, installare fonti energetiche rinnovabili per il fabbisogno energetico delle operazioni di bonifica. Vanno privilegiate le tecniche di bonifica sul sito, evitando la produzione ed il trasporto di rifiuti per evitare ulteriori emissioni ed inquinamento e il rischio di traffico illecito degli stessi. I terreni, le acque ed i materiali rimossi dalle aree contaminate devono essere trattati in sito, con tecniche naturali e/o con la creazione di impianti di recupero e riciclo del materiale connessi alla filiera del riutilizzo, anche accelerando l’approvazione dei decreti end of waste. Sono necessari investimenti pubblici e privati in ricerca ed innovazione tecnologica, deve essere incentivata la nascita di un settore industriale per le bonifiche e la formazione e la riqualificazione professionale per le nuove competenze qualificate nel settore del risanamento ambientale e della riconversione ecologica delle produzioni.  Andrebbero previsti specifici finanziamenti, erogati dal MITE, per attività di ricerca per gli Enti Pubblici e le Università per perfezionare tecniche e sperimentazioni, nonché per progetti di interesse strategico. Nelle autorizzazioni dei progetti di MISE o bonifica dovrebbe essere promossa la sperimentazione di più tecniche di intervento nello stesso sito contaminato al fine di favorire l’avanzamento tecnologico e la verifica dell’efficacia e della sostenibilità delle varie tecniche da parte degli enti pubblici deputati al monitoraggio dei lavori.

Consumo di suolo e rigenerazione urbana

Non è più rinviabile l’adozione di una legge per fermare il consumo di suolo e che orienti gli interventi nella città costruita perseguendo un processo di rigenerazione urbana, incentivando la bonifica dei siti contaminati, la riqualificazione delle aree urbane dismesse, degradate o con funzioni non più attuali per una nuova integrazione del tessuto urbano. A questo proposito, proposte normative specifiche dovrebbero favorire gli enti locali che decidono di riqualificare i siti orfani e dismessi.