Roma, 14 dicembre - La forte crescita economica acquisita per il 2021 (+6,2%) si trasmette troppo lentamente all’occupazione, sia a livello quantitativo che qualitativo. A ottobre 2021 l’occupazione è ancora sotto i livelli pre-pandemia (-188 mila occupati rispetto a febbraio 2020) e l’incremento occupazionale è determinato prevalentemente da contratti a termine che raggiungono uno dei livelli più alti mai registrati prima: 3 milioni e 67mila. Lo rileva l’ultima ricerca della Fondazione Di Vittorio dal titolo “Il lavoro tra forte precarietà, contratti brevi e bassi salari”.

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Di seguito i commenti del presidente della Fondazione Di Vittorio Fulvio Fammoni e della segretaria confederale della CGIL Tania Scacchetti.
 

Segretaria confederale della CGIL Tania Scacchetti.

Lavoro: Cgil, il 16 dicembre sciopero per contrastare la precarietà, per un'occupazione di qualità
Roma, 14 dicembre - “I dati della Fondazione Di Vittorio confermano, anzi rafforzano, le ragioni dello sciopero generale proclamato da CGIL e UIL per giovedì prossimo 16 dicembre.
La crescita sostenuta del Pil non ha adeguate ricadute sull'occupazione, un’occupazione che cresce poco e con scarsa qualità, considerata la preponderanza di contratti precari”.
Così la segretaria confederale della CGIL, Tania Scacchetti, commenta la ricerca della FDV diffusa quest’oggi “Il lavoro tra forte precarietà, contratti brevi e bassi salari”.
Per la dirigente sindacale “le sole politiche di decontribuzione non sono sufficienti.
Servono investimenti, pubblici e privati, condizionati alla crescita dell'occupazione e misure di contrasto alla precarietà. Basta con i finti stage e tirocini, basta con continui tempi determinati di breve e brevissima durata, basta con la crescita incontrollata di lavoro autonomo occasionale senza alcuna garanzia. Gli interventi fiscali - aggiunge - dovrebbero favorire prioritariamente i redditi bassi e medio bassi, per favorire una maggiore redistribuzione”.
“Incentivare gli investimenti per far crescere l’occupazione e valorizzare il lavoro stabile è il primo strumento per favorire la coesione e cambiare concretamente la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici”, conclude Scacchetti.
 


Presidente della Fondazione Di Vittorio Fulvio Fammoni

In questo studio vengono sinteticamente evidenziati i principali elementi negativi che
caratterizzano la condizione del lavoro in Italia nei primi tre trimestri del 2021, poiché in una fase
di forte aumento del PIL, la precarietà riguarda una quota insopportabilmente crescente
dell’attuale occupazione.
Il primo punto che lo studio evidenzia è che la ripresa produttiva in atto, al contrario di quello che
si affermava e che sarebbe necessario, si trasmette molto lentamente sul lavoro, ad ottobre sono
ancora quasi 200 mila gli occupati in meno rispetto al periodo pre-pandemico.
Il secondo elemento evidenziato è che l’incremento occupazionale è prevalentemente composto
da contratti a tempo determinato, peraltro, di breve durata che determinano bassi salari e
numerosi vuoti nell’attività lavorativa. Solo gli occupati a termine, ormai oltre i 3 milioni, hanno
superato il livello pre-pandemia e si avvicinano ai livelli più alti mai registrati prima. Si tratta di un
fenomeno che abbiamo già affrontato in nostre precedenti analisi che prendevano a riferimento
oltre ai tempi determinati anche i part-time involontari e la disoccupazione sostanziale, che ci
porta a stimare come una quota vicino ai 9 milioni di persone si trovi attualmente in condizioni di
disagio occupazionale e salariale, una cifra enorme e purtroppo crescente per l’aumento dei
contratti a termine e dei part-time involontari.
Ma che profilo hanno queste lavoratrici e lavoratori e le tipologie di lavoro che effetti provocano
sui loro salari?
Si tratta prevalentemente delle qualifiche più basse, in maggior numero donne, giovani e
lavoratori del Mezzogiorno. Si accentua così, sia per le modalità di questa ripresa che per le scelte
di troppe imprese, la penalizzazione dei dipendenti più vulnerabili da tempo in corso.
In un’Italia con salari mediamente più bassi che nelle principali economie dell’Eurozona, gli under
35 e le donne sono contestualmente sotto la media salariale generale e contribuiscono in modo
maggioritario a ingrossare l’area del lavoro povero. Il combinato di tutti questi fattori porta
l’86,2% dei lavoratori ad attestarsi sotto la soglia dei 35 mila euro lordi annui, cioè di quella parte
che avrà anche meno benefici dalla prospettata riforma fiscale.