Giovedì 8 giugno, il Governo ha presentato un nuovo pacchetto di misure per il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica. Tale provvedimento, come vi avevamo preannunciato a fine febbraio, nasce con il coinvolgimento di più Ministeri: delle Pari opportunità, dell'Interno e della Difesa.

Il Ddl affronta il tema della violenza sulle donne muovendosi, soprattutto, in ambito penale.

Tra le principali novità si prevedono:

  • il rafforzamento dello “strumento” dell’ammonimento da parte del Questore con l’estensione di tale provvedimento anche ai “reati spia” o a quelli commessi anche se episodicamente, ma alla presenza di minori;
  •  Il potenziamento delle misure di prevenzione con l’estensione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, previste dal Codice antimafia, in caso di tentato omicidio, lesioni personali gravi e gravissime, deformazione dell’aspetto della persona, violenza sessuale;
  •  l’introduzione dell’arresto in flagranza differita per chi viola il decreto di allontanamento, divieto di avvicinamento, maltrattamenti o atti persecutori, sulla base di documentazione video-fotografica o che derivi da applicazioni informatiche o telematiche;
  • l’accesso allo sconto di pena per uomini che partecipano a specifici percorsi di recupero con esito positivo del percorso;
  • l’estensione del concetto di recidiva anche se la persona offesa è diversa da quella per cui i provvedimenti sono stati emanati;
  •  una stretta sui tempi di emanazione degli ordini di protezione: 30 giorni per il Pubblico Ministero, dall’iscrizione del nominativo della persona nel registro delle notizie di reato, e 30 giorni per il giudice dal deposito dell’istanza in cancelleria;
  •  l’estensione a 500 metri minimi per il divieto di avvicinamento alla persona offesa o ai luoghi da lei abitualmente frequentati. Il presidente del Tribunale, nei casi più gravi, può disporre da subito in via transitoria tale divieto, in attesa dell’emissione della sorveglianza speciale.

Inoltre:

  •  si introduce l’obbligo, anziché la facoltà, per il procuratore della Repubblica di individuare uno o più procuratori aggiunti o magistrati addetti al contrasto alla violenza contro le donne.
  •  nel caso l’indagato neghi il consenso riguardo all’uso dei braccialetti elettronici, sono previste misure più rigide come l’obbligo di firma.
  •  Alla vittima verrà data immediata comunicazione di tutte le notizie inerenti alle misure cautelari disposte nei confronti dell’autore del reato, anche se in custodia cautelare: evasione, scarcerazione, volontaria sottrazione dell’internato all’esecuzione della misura di sicurezza detentiva.
  •  Si introduce una provvisionale a titolo di ristoro ‘anticipato’ in favore della vittima o, in caso di morte, degli aventi diritto che, in conseguenza al reato si trovino in stato di bisogno, superando così l’attuale necessità dell’acquisizione della sentenza di condanna.

Le nostre valutazioni:

Come Cgil riconosciamo il tentativo di rendere più stringenti le norme penali per la messa in sicurezza delle donne vittime di violenza. In particolare, come chiediamo dall’introduzione del Codice rosso, riteniamo fondamentale che l’accesso alla sospensione o allo sconto di pena da parte degli autori del reato non possa essere concesso per il solo fatto che l’uomo ha intrapreso un percorso di recupero terapeutico. Rimane però senza risposta la richiesta che abbiamo fatto di revisione dell’intesa Stato-Regioni sui criteri di accreditamento dei centri per uomini autori di violenza, che resta un punto di criticità molto forte.
Inoltre, ci convince l’idea di considerare recidivo un comportamento violento anche se attuato su una donna diversa da quella per cui sono state emesse misure di tutela perché, come la Cgil sostiene da tempo, rafforza l’idea che la violenza riguardi il comportamento deviato di un uomo, senza che nessuna corresponsabilità di tale comportamento possa essere attribuita alla vittima.
Inoltre, giudichiamo favorevolmente l’introduzione dell’arresto in flagranza differito, che avviene entro le 48 ore dalla segnalazione.
L’ammonimento del Questore è una prassi che permette di intervenire prima del reato perché si basa sulla segnalazione della vittima o di una persona informata sui fatti che riporta agli inquirenti comportamenti critici o atti persecutori e non sfocia in un processo penale, proprio perché non è una querela. Si tratta di uno strumento pochissimo utilizzato e conosciuto. Il suo rafforzamento è un fatto
positivo proprio perché permette di sanzionare comportamenti sulla base dei cosiddetti “reati spia”, ma il fatto che se l’uomo commette ulteriori atti sanzionabili si proceda con la denuncia d’ufficio può essere controproducente, in assenza dei necessari passaggi. Infatti, pur capendo la necessità di intervenire prima possibile, agire senza il consenso della vittima può essere deleterio a livello processuale perché, in questi casi, si verifica spesso che la donna neghi di essere vittima di violenza. È necessario, quindi, prevedere la presa in carico da parte dei centri antiviolenza anche al fine di rafforzare la
consapevolezza della vittima.

Bene anche l’obbligo per le procure di individuare magistrati al fine della specializzazione su reati così particolari, perché, come evidenziato dalla commissione Femminicidi, solo il 30% delle procure italiane nel 2020 aveva personale specializzato.
Giudichiamo inoltre favorevolmente che il minimo della distanza nei divieti di avvicinamento sia portato a 500 metri.
Ci rende, invece, perplessi il principio che l’uso dei braccialetti elettronici sia condizionato “alla relativa fattibilità tecnica”, visto che il Ddl non prevede fondi aggiuntivi, ma si muove in regime di invariabilità finanziaria.
Si rischia, infatti, che molte delle misure non abbiano i fondi necessari per essere attuate, anche considerando il problema dell’insufficienza di personale nelle questure e nei tribunali: in assenza di un adeguato organico non sarà possibile, infatti, ridurre i tempi di valutazione del magistrato o degli uffici di pubblica sicurezza.

Come Cgil abbiamo sempre proposto un approccio sistemico al tema della violenza sulle donne, partendo in primis dalla necessità di rimuovere le radici culturali che sono alla base del fenomeno. Pur contenendo il DDL proposte condivisibili, un approccio solo repressivo non tiene conto di altri fondamentali fattori e strumenti, a partire dalla formazione degli operatori che, a vario titolo,
entrano in contatto con le donne vittime di violenza e con eventuali minori coinvolti; le ripercussioni dell’insufficiente formazione dei giudici civili e minorili nelle cause di affido può aggravare situazioni complesse e danneggiare chi dovrebbe essere maggiormente tutelato. Senza contare quanto sia assolutamente necessaria una formazione specifica nelle scuole e nelle università, mirata a contrastare la cultura del possesso, spesso causa primaria della violenza sulle donne, anche al fine di prevenire le varie forme di violenza digitale di genere, un fenomeno in netta espansione soprattutto tra i giovani.
L’approccio di natura generale ai temi della violenza – indicata dalla Convenzione di Istanbul nelle pratiche di prevenzione, protezione e punizione – è racchiuso nel piano nazionale antiviolenza che ogni tre anni viene costruito con tutti gli attori pubblici e privati coinvolti nel contrasto al fenomeno. Peccato che il piano operativo 2021/23 – ovvero quello che dà attuazione ai principi del piano antiviolenza – ancora non abbia visto la luce. Chiediamo quindi al Governo di varare il piano operativo che prevede, tra l’altro, il piano di formazione per giudici e operatori sulla violenza di genere.
Il mancato varo del piano operativo e il voto contrario in Europa dei partiti della maggioranza sulla ratifica della Convenzione di Istanbul per tutta l’Ue lascia pensare ad una visione solo repressiva della violenza di genere da parte del Governo, oltre al fatto che non condividiamo le ragioni politiche alla base di tale scelta, che riteniamo pretestuose e lesive della dignità della comunità LGBT+.
Tale approccio non affronta le motivazioni strutturali del fenomeno, che invece richiedono una visione complessiva per mettere davvero in sicurezza le donne ed estirpare le discriminazioni che le rendono più deboli nella società e in famiglia, a partire dalla necessità di migliorare la partecipazione delle donne alla vita economica, sociale e politica del Paese e la qualità e quantità del loro lavoro.