In forte crescita il disagio abitativo nel Paese. Una vera e propria emergenza che trova conferma nei dati recentemente resi pubblici dal Ministero dell’Interno.

Nel 2022 sono stati emessi 42 mila provvedimenti di sfratto. Nel primo anno dopo la fine del parziale blocco delle esecuzioni durante la pandemia, gli sfratti tornano a crescere prepotentemente del 9,4% rispetto all’anno precedente, riportando il fenomeno ai livelli prepandemici ma in una condizione di crisi sociale ed economica nettamente peggiore. Il 47,8% dei provvedimenti di sfratto viene emesso nelle città capoluogo e il restante 52,3% nel resto della provincia.

Si tratta prevalentemente di sfratti per morosità: 34 mila sfratti, pari all’80,1% del totale, in crescita del 4,3% rispetto al 2021. A questi si aggiungono 3 mila sfratti per necessità del locatore e oltre 5 mila sfratti per finita locazione, entrambi in forte crescita (rispettivamente +75,9% e +22,4%), che consentono ai proprietari di riottenere la disponibilità degli immobili, sempre più spesso destinati ad affitti brevi turistici, nettamente più redditizi delle locazioni residenziali: un fenomeno che aggrava ulteriormente le necessità di chi cerca una casa in affitto a condizioni economicamente sostenibili.

Nel 2022 sono fortemente cresciute soprattutto le richieste di esecuzione di sfratto presentate ad ufficiali giudiziali, oltre 99 mila, praticamente triplicate rispetto al 2021 (+199,1%), così come gli sfratti eseguiti con l’intervento dell’ufficiale giudiziale, oltre 30 mila (+218,6%): numeri che confermano un’emergenza abitativa che richiede subito risposte, come peraltro denunciato recentemente da CGIL, SUNIA e UDU.

Nonostante la diffusa condizione di disagio abitativo, nella Legge di Bilancio per il 2023, il Governo Meloni non ha rifinanziato né il Fondo per l’affitto né il Fondo per la morosità incolpevole, oltre ad aver eliminato il reddito di Cittadinanza che prevedeva una quota aggiuntiva per il pagamento del canone di locazione.

Peraltro, a fronte di una domanda abitativa crescente e di una condizione di difficoltà e disagio di molte famiglie, l’offerta di edilizia pubblica nel nostro Paese è assolutamente insufficiente, con lunghi tempi di attesa per la pubblicazione delle graduatorie e ancor più lunghi (anche decennali) per l’assegnazione degli alloggi, a fronte di un fabbisogno abitativo stimato dagli stessi Enti Gestori in almeno 600 mila unità immobiliari. Molti alloggi pubblici non sono inoltre disponibili per lo stato manutentivo in cui versano. Sul comparto incide anche una ristretta dimensione del patrimonio in affitto privato e, più in generale una scarsa disponibilità di alloggi con costi commisurati ai redditi.

Il disagio abitativo rappresenta una componente rilevante della povertà che si conferma più diffusa tra le famiglie in affitto, tanto che, a fronte di 1,9 milioni di famiglie povere in condizioni di povertà assoluta, sono 900 mila quelle che vivono in affitto, pari al 45,3% del totale, con un’incidenza della povertà quattro volte superiore rispetto a quelle che vivono in una casa di proprietà.

Allarmante anche la situazione degli alloggi per studenti universitari fuori sede che mette in discussione l’esigibilità del diritto allo studio di tanti ragazzi e ragazze. A fronte di oltre 800 mila studenti universitari fuori sede, i posti letto negli alloggi universitari sono 40 mila: dunque soltanto il 4,9% degli studenti trova alloggio nelle residenze pubbliche o, comunque, convenzionate con gli enti pubblici per il diritto allo studio.

Come già rivendicato da CGIL, SUNIA e UDU, risulta necessaria una strategia complessiva per affrontare con determinazione, e con risorse adeguate, i nodi del disagio abitativo.

Una politica che agisca sia a livello centrale che locale, deve individuare alternative articolate in un quadro più ampio di politiche urbane e azioni diversificate in base ai bisogni, considerando la casa come infrastruttura sociale indispensabile, potenziando e progettando soluzioni da inserite in più ampi processi di rigenerazione urbana, in particolar modo nelle aree metropolitane dove la tensione abitativa è più alta. In generale, è necessario considerare il servizio abitativo destinato a cittadini che si trovano in una situazione di disagio economico come parte dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il processo di regionalizzazione delle politiche abitative, particolarmente evidente nel campo dell’ERP, ha infatti fortemente accentuato differenze territoriali.

Per questo, occorre:

  • rifinanziare il Fondo di sostegno per l’affitto e il Fondo per la morosità incolpevole per contribuire ad abbassare l’incidenza dei canoni sui redditi delle famiglie in difficoltà, per un valore di almeno 900 milioni di euro, visto che l’ultima quota di stanziamento (nel 2022) ha coperto solo il 40% del fabbisogno nazionale;
  • incrementare l’offerta di edilizia residenziale pubblica, attraverso un programma pluriennale, con finanziamenti adeguati, per incrementare il patrimonio ERP di 600 mila unità, anche attraverso la riqualificazione del patrimonio non utilizzato, in processi rigenerativi in ambito urbano;
  • integrare l’edilizia pubblica con quote di Edilizia residenziale sociale (ERS), attraverso la collaborazione fra soggetti diversi a carattere istituzionale, imprenditoriale, associativo e cooperativo, come avviene da decenni in molti Paesi europei;
  • realizzare residenze universitarie pubbliche nell’ambito del diritto allo studio e incrementare il “Fondo per gli Studenti fuori sede” che ad oggi dispone di soli 4 milioni di euro per il 2023;
  • rivedere il regime fiscale legato alle locazioni per incentivare al massimo il canone concordato per favorire le locazioni di lunga durata e quelle transitorie per studenti che in molte città sono sfavorite dal fenomeno degli “affitti brevi”.