Anche la Cgil a Ustica per “Tracce coloniali: ricordare per riconoscere, riconoscere per riparare”, iniziativa realizzata in collaborazione con il Centro Studi Ustica, promossa da Un Ponte Per, Arci, Rete Yekatit12/19 Febbraio, Movimento Italiani senza cittadinanza, Convenzione per i diritti nel Mediterraneo, Anpi, Cgil, Unione degli Universitari, Un’Altra Storia APS.

Dal 15 al 18 maggio, una delegazione di attivisti, giornalisti e studiosi, si è recata nell'isola di Ustica per ricordare i resistenti libici al colonialismo e tutte le persone che furono deportate sull’isola durante l’occupazione italiana dal 1911 fino al 1943. Ustica, che da sempre ha conosciuto confino e resistenza, ha ospitato e accolto questa iniziativa civile e simbolica, di grande valore, per affrontare quello che fino ad oggi la storia, l'opinione pubblica, l'insegnamento a scuola hanno rimosso, ovvero il colonialismo italiano. Riportare alla luce questa storia per le tante vittime delle popolazioni attaccate e saccheggiate dal colonialismo italiano soprattutto nel periodo fascista, anche se l'espansione coloniale fu avviata dal Regno d'Italia sotto il governo Giolitti.

Tre giorni di attività sulle tracce materiali della deportazione di oltre 10.000 oppositori libici che, tra il 1912 e il 1934, furono reclusi sulle isole italiane, tra cui Ustica, Favignana, le Tremiti e Ponza, in condizioni disumane. La maggior parte di loro morì nell'Isola, infatti a Ustica c'è il cimitero Arabo dove è stata posta sabato 17 maggio una targa per ricordare queste vittime. Una repressione coloniale feroce che rimane largamente assente dal discorso pubblico, dalla memoria collettiva e dai programmi scolastici. L'iniziativa ha visto il coinvolgimento attivo del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica che ha guidato la delegazione arrivata da diverse regioni italiane e ha visto anche la partecipazione degli studenti dell'Isola. Come racconta Peppe Scifo, autore di questo contributo, si è discusso tanto di memoria grazie alla immensa e dettagliata ricostruzione fatta dal Centro Studi che da anni si dedica a questo lavoro per tenere fermo il punto sull'identità di Ustica, luogo di repressione e di confinamento, ma anche di accoglienza e grande umanità da parte della popolazione. Una popolazione che oggi fa i conti con la realtà dove è rimasta poca agricoltura e poca pesca, dove esiste prevalentemente solo il turismo, ma anche la consapevolezza che si tratta di un’economia che spiana tutto e confonde la memoria. Per questo la popolazione tiene al Centro Studi come fosse l'Università dell'Isola. A Ustica, negli anni del Regime di Mussolini, furono confinati diversi leader dell'antifascismo, tra i quali Filippo Turati, Ferruccio Parri, Carlo e Nello Rosselli, Randolfo Pacciardi, alcuni dirigenti del partito comunista come Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci, arrivato sull’isola tra i primi, il 7 dicembre 1926. Meno nota è invece la storia dei deportati libici che erano sia gli oppositori dell'invasione coloniale italiana ma anche persone comuni finite tra i prigionieri attraverso rastrellamenti sommari. Queste giornate di attivismo e di studi si inseriscono nell’ambito delle iniziative a sostegno della proposta di legge di istituzione di una “Giornata del ricordo delle vittime del colonialismo italiano” e mira a far riemergere la conoscenza di questa parte sinora rimossa della nostra storia. Occorre la memoria per fare i conti con il nostro passato ma soprattutto per un orientamento nel presente, perché Ustica non rappresenta solo la storia ormai passata, ma parla di un presente che mantiene ancora aperte certe ferite. Da un lato la storia del colonialismo italiano ed europeo necessita di approfondimento anche per comprendere meglio le migrazioni attuali provenienti soprattutto da quei Paesi che sono stati obiettivo della colonizzazione che ne ha compromesso le possibilità di uno sviluppo economico e sociale indipendente. Dall'altro il tema delle deportazioni e del confinamento parlano tragicamente il linguaggio dell'attualità, anche se cambiano gli scenari restano identici gli strumenti. Oggi le deportazioni riguardano i migranti spesso trattenuti in stato di detenzione al di fuori del perimetro delle garanzie Costituzionali. Deportati in luoghi che ripropongono la prassi del confinamento, non nelle isole ma in lager realizzati fuori in Paesi terzi, come il centro di Gjader in Albania. Ma oggi non c'è solo l'Albania con il primo Centro per rimpatri italiano fuori dai confini, perché esiste da marzo 2025 una proposta della Commissione Europea per un nuovo Regolamento rimpatri, esteso a tutti i Paesi dell'Unione che prevede la detenzione amministrativa in strutture da realizzare in Paesi al di fuori dell'Unione Europea. Si tratta di rimpatri che saranno certi solo attraverso il confinamento lungo anche 24 mesi prima del rimpatrio. Tutto questo, compresa la repressione crescente verso chi si oppone, rappresenta una minaccia per la democrazia su larga scala e un pericoloso ritorno al passato che occorre fermare con tutti gli strumenti della partecipazione democratica a partire dalla libera manifestazione del dissenso. E per fare questo occorre conoscere, riconoscere ed agire per riparare ed invertire la rotta verso il cambiamento.