Oggi, 15 novembre, è l’Equal pay day, ovvero la data che segna quanti giorni in più le donne devono lavorare per avere una retribuzione uguale a quella dei colleghi maschi a parità di lavoro e mansioni. Come altre, una giornata nata per sensibilizzare su un problema sottovalutato ma serio che affonda le radici nella cultura discriminatoria nei confronti delle donne.

Secondo i più recenti dati in Europa il gender pay gap si attesta sul 13 % che tradotto in pratica significa che per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna guadagnerà appena 0,87 euro. In Italia, secondo le statistiche formali, il divario retributivo di genere parrebbe appena del 5% ma lo stesso Istat stima che in realtà non sia inferiore all’11%.

Divario che esplica e moltiplica i propri effetti anche sotto il profilo previdenziale come denuncia l’Inps nell’ultimo Rapporto (ottobre 2023) dove si registra una gap del quasi 38%.

Per combattere il gender pay gap, lo scorso giugno l’Europa ha approvato la Direttiva sulla trasparenza salariale che impegna le imprese dell'UE a fornire informazioni su quanto corrispondono alle donne e agli uomini per un lavoro di pari valore, e a intervenire se il divario retributivo di genere supera il 5%. La Direttiva contiene inoltre disposizioni in materia di risarcimento per le vittime di discriminazione retributiva, come pure sanzioni per i datori di lavoro che non rispettano le norme.

In base alle nuove norme i datori di lavoro avranno l'obbligo di fornire alle persone in cerca di lavoro informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti pubblicati, riportandole nel relativo avviso di posto vacante o comunicandole prima del colloquio di lavoro. Ai datori di lavoro sarà inoltre fatto divieto di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro.

Una volta assunti, i lavoratori e le lavoratrici avranno il diritto di chiedere ai propri datori di lavoro informazioni sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Avranno inoltre accesso ai criteri utilizzati per determinare la progressione retributiva e di carriera, che devono essere

oggettivi e neutri sotto il profilo del genere.

Le imprese con più di 250 dipendenti saranno tenute a riferire annualmente all'autorità nazionale competente in merito al divario retributivo di genere all'interno della propria organizzazione. Per le imprese più piccole (inizialmente quelle con più di 150 dipendenti), l'obbligo di comunicazione avrà cadenza triennale.

Se dalla relazione emerge un divario retributivo superiore al 5% non giustificabile sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, le imprese saranno tenute ad agire svolgendo una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori.

Ai sensi della nuova direttiva, le lavoratrici e i lavoratori che hanno subito una discriminazione retributiva basata sul genere possono ottenere un risarcimento, compreso il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura.

Sebbene l'onere della prova, nei casi di discriminazione retributiva, sia stato finora solitamente a carico del lavoratore o della lavoratrice, adesso spetterà al datore di lavoro dimostrare di non aver violato le norme UE in materia di parità di retribuzione e trasparenza retributiva. In caso di violazioni, le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive e comporteranno delle ammende.

Dopo l’entrata in vigore della Direttiva - con la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'UE-, gli Stati membri dell'UE avranno tre anni per "recepirla", adeguando la rispettiva legislazione nazionale per includere le nuove norme. Due anni dopo il termine di recepimento, l'obbligo di comunicare informazioni sulle retribuzioni in base al genere ogni tre anni sarà esteso alle imprese con più di 100 dipendenti (inizialmente l'obbligo di comunicazione si applicherà solo alle imprese con almeno 150 dipendenti).

Come Politiche di genere della Cgil siamo impegnate a promuovere il recepimento della Direttiva alla cui stesura il Comitato donne della Ces ha attivamente contribuito correggendo elementi che avrebbero potuto limitare l’azione sindacale e i diritti delle lavoratrici ma anche estendendo alcune previsioni normative.

Ricordiamo che la Direttiva è stata approvata dal Parlamento europeo con 427 voti favorevoli, 79 contrari e 76 astensioni provenienti dai partiti di destra e estrema destra dell’UE tra cui quelle dei parlamentari di Fratelli d’Italia.

Come recita lo slogan in inglese vogliamo Equal Pay for a work of equal value. Ricordiamolo a tutti!

→ Scarica: la Direttiva sulla Transparency e le slide sul Gender Pay Gap presentate nei giorni scorsi da un ricercatore dell’ILO alla Perc (organizzazione dei sindacati paneuropei) Women School