Nei giorni scorsi la Cassazione ha emesso una sentenza di rilevante importanza sul part time ma anche sul tema delle discriminazioni di genere ad esso correlate.

In particolare, la sentenza muove dal ricorso di un’impiegata part time dell’Agenzia delle entrate che nella selezione interna per il passaggio a una migliore fascia retributiva era stata penalizzata in termini di punteggio rispetto ai colleghi full time.

La decisione fa chiarezza su due diversi punti:

  1. non può esserci alcun automatismo tra riduzione dell’orario di lavoro e riduzione dell’anzianità di servizio da valutare ai fini delle progressioni economiche;
  2. e, dal momento che statisticamente il part time riguarda soprattutto le donne, quell’automatismo determina una discriminazione indiretta di genere.

La Corte nel motivare la sentenza scrive: “svalutare il part time ai fini delle progressioni economiche orizzontali significa, nei fatti, penalizzare le donne rispetto agli uomini con riguardo a tali miglioramenti di trattamento economico”. E ancora “la preponderante presenza di donne nella scelta per il lavoro a tempo parziale è da collegare al notorio dato sociale del tuttora prevalente loro impegno in ambito familiare e assistenziale, sicché la discriminazione nella progressione economica dei lavoratori part time andrebbe a penalizzare indirettamente proprio quelle donne che già subiscono un condizionamento nell'accesso al mondo del lavoro”.

Auspichiamo che questa sentenza, a partire dal settore pubblico, rappresenterà un faro per successivi ricorsi e vertenze.