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Di seguito riportiamo il testo della Memoria CGIL relativa dell’audizione svoltasi martedì 18 novembre, su C.2673 (DDL Piccole e Medie Imprese), presso la X Commissione (Attività produttive) della Camera dei deputati.
MEMORIA DELLA CGIL PER L’AUDIZIONE PRESSO LA COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
Disegno di legge per l’aggregazione delle imprese minori, le filiere del Made in Italy, la certificazione delle filiere della moda e misure correlate
1. Premessa generale
La CGIL ringrazia la Commissione per l’audizione e presenta la seguente memoria con l’obiettivo di evidenziare:
• le ricadute del disegno di legge sul lavoro, sulle tutele, sulla qualità dello sviluppo e sulla legalità nelle filiere produttive;
• le proposte di modifica e gli indirizzi necessari per correggere gli elementi più problematici e rendere il provvedimento coerente con la tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e con una reale strategia industriale.
La CGIL valuta positivamente l’intento di sostenere l’aggregazione delle PMI, rafforzare la tracciabilità delle filiere, migliorare la legalità nel sistema moda e affrontare il tema del ricambio generazionale. Tuttavia, il disegno di legge presenta criticità profonde in più parti, che rischiano di produrre effetti contrari agli obiettivi dichiarati.
2. Osservazioni di carattere generale
2.1 Visione frammentata e approccio emergenziale
Il provvedimento non configura una politica industriale, ma un insieme eterogeneo di misure, spesso sperimentali, prive di una strategia coerente e non coordinate con gli strumenti esistenti. L’assenza di un disegno complessivo indebolisce l’efficacia degli interventi e ne limita la portata.
2.2 Centralità delle PMI senza garanzie per il lavoro
L’attenzione alle PMI è condivisibile, ma non può tradursi in:
• riduzione delle responsabilità datoriali,
• modelli di governance senza rappresentanza dei lavoratori,
• semplificazioni che incidono sugli standard di sicurezza.
2.3 Misure volontarie e strumenti privatistici
Il DDL affida alla volontarietà delle imprese misure essenziali come la certificazione delle filiere e la corretta applicazione dei CCNL. L’esperienza dimostra che la volontarietà non è sufficiente a incidere sui segmenti più critici, dove sfruttamento e irregolarità sono maggiori.
2.4 Criticità nel rapporto tra committenti e filiera
Il provvedimento, in particolare con l’art. 30), introduce un vero e proprio “scudo” per le imprese capofila, poiché condiziona l’applicazione degli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 231/2001 al conseguimento della certificazione di filiera.
Questo comporta una deresponsabilizzazione dei committenti e incentiva dinamiche di dumping verso subfornitori meno virtuosi.
2.5 Ruolo insufficiente della contrattazione collettiva
Molte misure rilevanti per il lavoro (reti di imprese, centrali consortili, part-time incentivato) sono basate esclusivamente su accordi individuali o regole datoriali. Manca una partecipazione strutturata delle organizzazioni sindacali.
3. Osservazioni specifiche articolo per articolo
CAPO I — AGGREGAZIONE DELLE IMPRESE MINORI
Art. 1 — Agevolazioni fiscali per le reti di imprese
Criticità
• Il provvedimento favorisce fiscalmente la creazione di reti ma non introduce alcun vincolo di:
o rispetto dei CCNL,
o tutela occupazionale,
o non utilizzo distorto dell’istituto ai fini di elusione contributiva o contrattuale.
• Il rischio di uso opportunistico delle reti è stato già segnalato dalla CGIL: alcune forme contrattuali consentono esternalizzazioni improprie e dumping salariale.
Proposte CGIL
• Condizionare l’accesso alle agevolazioni all’applicazione dei CCNL sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
• Prevedere informative obbligatorie alle rappresentanze sindacali circa le reti costituite e i loro programmi
Art. 3 — Misure finanziarie per la moda
Criticità
• Mancanza del settore accessori.
• Il Fondo per la crescita sostenibile prevede soglie minime di 1 milione, troppo elevate per la dimensione media delle imprese del settore).
• Rischio di concentrare le risorse sulle imprese medio-grandi.
Proposte CGIL
• Inserire l’intera filiera moda, compresi accessori, pelletteria, calzature.
• Ridurre la soglia minima di accesso al Fondo.
• Vincolare i benefici alla qualità del lavoro e alla tracciabilità dei processi.
Art. 4 — Centrali consortili
Criticità
La disposizione è la più critica del Capo I.
• Il modello consortile rischia di introdurre strumenti (codatorialità, distacco, "promozione dell’offerta di lavoro") che espongono a rischio i lavoratori, favorendo flessibilizzazione estrema, mobilità non concordata e nuove forme di interposizione.
• Manca qualsiasi garanzia di partecipazione sindacale.
• La delega al Governo è molto ampia e potenzialmente lesiva degli attuali equilibri in tema di responsabilità datoriali.
Proposte CGIL
• Prevedere obbligo di informative e consultazione delle OO.SS.
• Escludere esplicitamente che gli strumenti consortili possano essere utilizzati per ridurre tutele, aggirare i contratti o eludere responsabilità.
• Vincolare i consorzi al rispetto dei CCNL e al divieto di dumping interno.
CAPO II — RICAMBIO GENERAZIONALE
Art. 6 — Part-time incentivato per accompagnamento alla pensione
Criticità strutturali
• Misura limitata a soli 1.000 lavoratori in due anni.
• Platea ristretta: solo aziende fino a 50 dipendenti; solo lavoratori ante-1996; solo chi matura pensione entro 1/1/2028.
• Finanziamento incerto, subordinato a tetti INPS: rischio di interruzione e disparità di trattamento.
• Nessuna dimensione collettiva: la scelta è individuale, senza coinvolgimento sindacale.
• Nessun piano di accompagnamento, formazione o reale trasmissione delle competenze.
Proposte CGIL
• Misura strutturale, non sperimentale.
• Integrazione retributiva minima garantita per evitare cali salariali.
• Assunzione del giovane: obbligatoria, a tempo indeterminato, con CCNL rappresentativo, vietata la somministrazione; obbligo di restituzione degli incentivi in caso di cessazione non giustificata.
• Valorizzare strumenti esistenti e più solidi (contratti di espansione, solidarietà espansiva).
CAPO III — SEMPLIFICAZIONI
Art. 9 — Deroga assicurazione carrelli elevatori
La CGIL esprime giudizio negativo: il testo riduce tutele in settori ad altissimo rischio (porti, ferrovie, aeroporti). La deroga va eliminata.
Art. 10 — Modelli semplificati sicurezza
Aspetti positivi
• Coinvolgimento parti sociali.
• Ruolo INAIL rafforzato.
• Formazione possibile durante CIG.
Criticità
• Il rischio è che la “semplificazione” si traduca in riduzione di standard, soprattutto senza risorse adeguate.
• La formazione in CIG rischia di diventare mero adempimento per target GOL
Proposte
• Standard minimi nazionali vincolanti.
• Supporto finanziario e tecnico alle microimprese.
Art. 11 — Sicurezza nel lavoro agile
Criticità
• La cadenza annuale dell’informativa è insufficiente.
• La norma solleva impropriamente il datore da ulteriori obblighi di valutazione dei rischi.
Proposte
• Informativa aggiornata a ogni modifica organizzativa rilevante.
• Confermare piena responsabilità datoriale nella valutazione dei rischi.
Art. 15 – Delega al Governo per la riforma dell’artigianato
L’articolo 15 introduce una delega al Governo per il riordino e l’aggiornamento della normativa sull’artigianato, oggi disciplinata dalla legge quadro n. 443 dell’8 agosto 1985.
Occorre evidenziare che, nel corso dell’esame del disegno di legge al Senato, erano stati presentati emendamenti che proponevano modifiche molto profonde e strutturali alla disciplina dell’artigianato. Tali emendamenti sono stati successivamente ritirati, anche grazie alla ferma opposizione di CGIL, CISL e UIL, nonché delle principali associazioni imprenditoriali come Confindustria e Confcommercio, e sostituiti con una delega al Governo che, tuttavia, ripropone sostanzialmente gli stessi contenuti, trasferendoli in sede di decreti attuativi.
In particolare, gli emendamenti originari – e oggi i criteri di delega previsti all’articolo 15 – puntano a ridefinire in maniera radicale la figura dell'impresa artigiana, superando il principio civilistico per cui è artigiana l’impresa in cui il lavoro personale dell’imprenditore è prevalente rispetto all’organizzazione del lavoro altrui.
La delega, inoltre, amplia la nozione stessa di attività artigiana, includendo attività commerciali, di somministrazione e servizi terzi, arrivando a ricomprendere realtà che per natura, organizzazione e dimensioni esulano dal modello tradizionale dell’artigianato.
Tra gli elementi più problematici previsti in quegli emendamenti – e oggi ripresi nella delega – vi sono:
• L’incremento dei limiti dimensionali dell’impresa artigiana, con ipotesi di innalzamento fino a 49 dipendenti, superando nettamente le soglie oggi fissate dalla legge 443/1985;
• L’introduzione di una nuova nozione di “apporto artigiano”, non più legato all’attività manuale o diretta, ma esteso alla componente ideativa, progettuale, organizzativa e tecnico-operativa;
• La possibilità di considerare “artigiane” anche le imprese che operano in forma aggregata o in rete, pur con strutture e capacità produttive industriali, consentendo loro l’accesso a agevolazioni e regimi specificamente pensati per realtà di piccole dimensioni.
Queste previsioni avrebbero l’effetto di stravolgere la natura identitaria dell’impresa artigiana, che nella tradizione italiana è fondata su dimensioni limitate, personalità del lavoro, organizzazione non industriale e territorialità produttiva.
Ma vi è di più: l’allargamento dell’artigianato a imprese con dimensioni e struttura propriamente industriali produrrebbe una disparità di trattamento ingiustificata sul piano fiscale, contributivo e normativo. Infatti, le imprese artigiane godono di specifici vantaggi (previdenziali, assicurativi, burocratici, fiscali e amministrativi), legati proprio alla loro natura di piccole realtà produttive e alla presenza diretta dell’imprenditore nel processo di lavoro.
Estendere tali vantaggi anche a imprese medio-grandi, che operano nello stesso mercato e nello stesso settore delle imprese industriali, genererebbe una concorrenza sleale, con effetti di dumping contrattuale, abbassamento dei salari e delle tutele, anche perché i contratti collettivi dell’artigianato sono mediamente meno favorevoli sul piano normativo e retributivo rispetto a quelli dell’industria.
Oltre alla disparità tra imprese, si produrrebbe un indebolimento del sistema bilaterale artigiano e si aprirebbe uno spazio di utilizzo improprio dello status artigiano come mero strumento di convenienza fiscale e contributiva.
Art. 18 — False recensioni
La CGIL chiede esplicitamente di tutelare anche i lavoratori dalle conseguenze disciplinari o reputazionali derivanti da recensioni ostili o false.
CAPO VI — CERTIFICAZIONE DI FILIERA NELLA MODA
Questa parte del provvedimento è la più rilevante sul piano della legalità, e la più critica.
Art. 26-27 — Impianto generale
Criticità
• Certificazione volontaria: inefficace nei segmenti dove più presenti illegalità e sfruttamento.
• Soggetti certificatori: revisori privati → conflitti di interesse.
• Nessun ruolo alle OO.SS. o ai lavoratori.
Art. 28 — Requisiti per la certificazione
Criticità
• La “legalità” certificata non include criteri fondamentali, come:
o congruità economica dei contratti (costo del lavoro, tariffe minime),
o contenuto minimo dei Modelli 231 per prevenzione di reati (compreso art. 603-bis),
o parametri oggettivi di organizzazione virtuosa.
• Rischio di scissioni societarie per aggirare le esclusioni.
Art. 29-30 — Obblighi delle capofila e “scudo 231”
Criticità massima
La norma prevede che le imprese capofila certificate possano godere di una forma di esenzione (“non applicabilità”) delle disposizioni degli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 231/2001.
• le capofila vengono deresponsabilizzate;
• si altera la logica stessa del modello 231;
• si crea incentivo a scegliere subfornitori più economici (anche irregolari), perché lo “scudo” riduce rischi e responsabilità;
• si danneggiano le imprese artigiane serie, che non riusciranno a competere con chi opera fuori dalle regole.
Proposte CGIL
• Cancellare integralmente le righe che introducono lo scudo 231.
• Rendere la certificazione condizione per l’accesso ai fondi pubblici, non esenzione da responsabilità.
• Rafforzare i controlli pubblici (ITL, INPS, ASL).
• Prevedere diritto di accesso sindacale nelle imprese di filiera.
• Istituire un Fondo di filiera per formazione e regolarizzazione.
• Obbligo per le capofila di garantire applicazione CCNL, trasparenza dei costi e tracciabilità dei versamenti contributivi.
4. Raccomandazioni finali della CGIL alla Commissione
1. Eliminare ogni forma di esenzione o deresponsabilizzazione dei committenti, in particolare lo scudo 231.
2. Rendere obbligatoria la certificazione per accedere a risorse pubbliche o bandi.
3. Garantire ruolo strutturale alla contrattazione collettiva in reti, centrali consortili, ricambio generazionale e filiere.
4. Rafforzare i controlli pubblici integrandoli con sistemi di whistleblowing tutelati.
5. Ridurre le soglie di accesso ai fondi per includere davvero le PMI.
6. Potenziare strumenti strutturali per il ricambio generazionale, evitando misure spot e limitate.
7. Tutelare salute e sicurezza evitando semplificazioni che riducano standard.
8. Tutela dei lavoratori contro false recensioni e abusi attraverso piattaforme digitali.
9. Evitare ampliamenti impropri del perimetro dell’artigianato
5. Conclusioni
La CGIL chiede alla Commissione di intervenire per correggere profondamente gli aspetti del disegno di legge che:
• comportano rischi per la legalità e la qualità del lavoro nelle filiere,
• riducono responsabilità dei committenti,
• introducono strumenti sperimentali e inefficaci,
• indeboliscono la tutela dei lavoratori o la possibilità di rappresentanza,
• rischiano di sviluppare modelli di subfornitura a basso costo.
Solo attraverso un approccio che unisca politiche industriali, legalità, partecipazione, responsabilità sociale d’impresa e rafforzamento della contrattazione è possibile raggiungere gli obiettivi dichiarati dal provvedimento.
La CGIL rimane a disposizione per contribuire alla definizione di un impianto normativo robusto, efficace, rispettoso dei diritti e realmente capace di sostenere un modello di sviluppo fondato su qualità, legalità e lavoro dignitoso.






