Di seguito riportiamo il testo del documento di osservazione e proposte inviato alla X Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati riguardante: “Disposizioni organiche per la valorizzazione, la Promozione e la Tutela del Made in Italy” in occasione dell'audizione informale A.C. 1341 del 2 novembre 2023


Onorevole Presidente, onorevoli Deputati, ringraziando per l’opportunità che ci viene data di poter esprimere le nostre valutazioni, riteniamo utile richiamare alcuni elementi di contesto.

Esprimiamo la nostra contrarietà verso il DDL N. 1341/2023, recante disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy, una proposta di legge dove si rileva l’assenza di una definizione univoca di Made in Italy.

Questo aspetto risulta determinante ai fini dell’individuazione sia delle azioni sia dei soggetti destinatari delle politiche. Inoltre, i criteri che concorrono a definire un prodotto Made in Italy assumono particolare rilevanza nel settore agroalimentare, dove il successo di alcuni settori

merceologici è collegato alla tradizione, ai saperi e alla creatività che caratterizzano i lavoratori e le imprese del sistema.

Tra le altre finalità, il DDL interviene anche sui settori dell’istruzione e della formazione, “allo scopo di avvicinare i giovani alla cultura imprenditoriale e alla conoscenza delle lavorazioni industriali e artigianali”.

Notiamo di nuovo che la legislazione è lontana dagli avvenimenti concreti, insegue provvedimenti bandiera piuttosto che veri percorsi di riforma. Il testo del DDL che nelle intenzioni si presenta come onnicomprensivo ma che, in realtà, soggiace alla volontà di produrre soprattutto simbologia e di

pensare che questo percorso sia di per sé sufficiente a irrobustire le gambe dei Marchi Italiani.

In generale le politiche a favore del Made in Italy andrebbero incardinate nell’ambito del quadro più complessivo delle politiche industriali che risultano totalmente assenti dal dibattito politico nazionale.

D’altronde la mancanza di una strategia di investimento industriale focalizzata su specifici settori ritenuti chiave per lo sviluppo economico nazionale sembra caratterizzare anche questo intervento.

Inoltre, la polverizzazione delle poche risorse appostate rischia di rende questo provvedimento poco incisivo rispetto alle ambiziose aspettative che lo caratterizzano. Ad esempio, all’azione di istituzione dei diversi fondi non corrisponde una dotazione adeguata di risorse che possa impattare in maniera significativa sul settore del Made in Italy.

Giudichiamo del tutto insufficiente la dotazione pari a un miliardo di un Fondo sovrano. Sembra che la prospettiva industriale nazionale è contrapposta alle dinamiche dell’economia globale come se i prodotti italiani vivessero in una bolla.

L’impressione che si ha è che il governo sia condizionato da obiettivi come “il recupero delle tradizioni” o “la valorizzazione dei mestieri” che acquistano il sapore di esposizione museale e non facciano i conti con i veri problemi delle produzioni italiane del cibo, dell’arredo e della moda; a dimostrazione di ciò si istituisce una fondazione con una dotazione iniziale di 10 milioni di euro, e raddoppio nel 2025, proprio per occuparsi dell’Esposizione nazionale permanente del made in Italy.

Scelta che fa il paio con l’istituzione della Giornata nazionale del made in Italy (15 aprile).

L’auspicata organicità del provvedimento è contraddetta da una norma che risultata mancante di una logica strategica unica d’intervento. Peraltro, dall’analisi dei diversi articoli si evince l’estrema varietà delle tematiche normate che vanno dalle politiche dell’istruzione ai sistemi di certificazione

della cucina italiana, nonché la probabile eterogeneità dei soggetti di interesse che hanno concorso alla stesura della norma.

Art. 1 (Princìpi generali), il riferimento ai presunti “fini identitari” come possibile strumento di difesa dell’economia nazionale dai pericoli di un mercato sempre più globalizzato, e perciò esposto ai rischi della contraffazione, ci lascia oltremodo perplessi perché rischia di produrre

chiusure, arroccamenti nazionalistici e logiche divisive che, dalla prospettiva dei settori dell'istruzione, rappresentano un evidente pericolo per la convivenza democratica in una società che vorremmo sempre più aperta e multiculturale.

• Art. 12 (Misure per la corretta informazione del consumatore sulle fasi di produzione della pasta), l’iniziativa che dovrebbe condurre alla definizione di “linee guida che identificano le lavorazioni di particolare qualità nell’ambito del processo produttivo della pasta di semola di grano duro” sarà probabilmente di impatto molto limitato. Per il settore della pasta, così come per altri comparti del nostro Made in Italy alimentare, sarebbe più utile poter disporre di misure di supporto ad investimenti strutturali finalizzati alla transizione ecologica e digitale dei processi produttivi di settore.

• Art. 13 (Liceo del made in Italy), chiediamo che sia abrogata la lettera d) del comma 2 laddove recita “attraverso il potenziamento dei percorsi di apprendistato ai sensi dell’articolo 43 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”. Non condividiamo lo spostamento dell’impianto culturale che si viene a realizzare con la soppressione del Liceo economico sociale e il

passaggio al liceo del “Made in Italy”. Infatti, da un orientamento a forte connotazione umanistica che, mediante apporti specifici e interdisciplinari anche della cultura pedagogica, psicologica e socio-antropologica, mira a valorizzare le scienze sociali, giuridiche ed economiche si passa ad un orientamento in cui prevale la logica imprenditoriale, la conoscenza delle lavorazioni industriali e artigianali finalizzata all’immediata collocazione

dei giovani nel mondo della produzione con una evidente subordinazione della scuola al tessuto socioeconomico locale.

Sempre all’Art 13 chiediamo l’abrogazione del comma 4. Ci preoccupa il destino di migliaia di lavoratrici e lavoratori per il clima di incertezza ed insofferenza che si sta diffondendo nelle 419 scuole statali che hanno attivato l’opzione economico sociale e distribuiti in non meno di 3.000 classi e senza contare i 116 istituti paritari coinvolti. In questo modo si eviterebbe la soppressione del Liceo economico sociale.

• Art.14 (Fondazione « Imprese e competenze per il made in Italy »), chiediamo l’abrogazione.

Non riteniamo idonea l’istituzione della Fondazione denominata “Imprese e

competenze” quale veicolo per il coinvolgimento diretto delle aziende nel processo di formazione dei giovani con l’obiettivo di rispondere, in questo modo, ai bisogni formativi delle imprese nazionali, per le quali contano solo le competenze professionali e tecnicooperative, ossia quelle specifiche del lavoro, con la conseguenza di subordinare la formazione culturale del futuro cittadino alle esigenze del mercato del lavoro.

• Art. 25 (Certificazione di qualità della ristorazione italiana all’estero) e l’Art. 26 (Promozione della cucina italiana all’estero), questi articoli avranno probabilmente effetti molto limitati sul settore con l’unico vantaggio per gli enti certificatori e per le società di comunicazione e/o marketing.

• Art. 27 (Mutui a tasso agevolato per l’acquisizione di imprese agricole da parte di imprese dello stesso settore), sostenendo i processi di accorpamento delle aziende agricole, anche alla luce dei risultati del VII Censimento dell’agricoltura dell’ISTAT che hanno evidenziato un ulteriore ridimensionamento delle piccole aziende di presidio del territorio, potrebbe avere effetti controproducenti. Inoltre, non sono previste risorse specifiche ed aggiuntive a sostegno del provvedimento.

• Art. 28 (Fondo per la protezione delle indicazioni geografiche registrate e dei prodotti agroalimentari italiani nel mondo), tocca un tema molto rilevante per il Made in Italy agroalimentare provando a rafforzare gli strumenti normativi di difesa delle nostre produzioni IG (Indicazioni Geografiche) riconosciute mediante i marchi comunitari DOP (Denominazioni di Origine Protetta), IGP (Indicazioni Geografiche Protette) e STG (Specialità Tradizionali Garantite). Anche in questo caso la ridotta disponibilità di risorse limiterà probabilmente l’impatto del provvedimento. D’altronde la tutela delle produzioni agroalimentari italiane passa da accordi internazionali in grado di garantire il rispetto dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente.

• Art. 30 (Distretti del prodotto tipico italiano), viene proposta una ulteriore versione delle forme organizzative distrettuali agroalimentari già sviluppate in altre normative e che finora hanno registrato poco impatto. Il provvedimento mette a disposizione, inoltre, risorse alquanto limitate.

→ Scarica il documento