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Nei giorni scorsi, la competente Commissione Parlamentare ha dato il proprio parere favorevole al “VI Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva”.
Il Piano, elaborato dall’Osservatorio Infanzia, costituito presso il Dipartimento della Famiglia, è il principale atto di programmazione e indirizzo delle politiche e degli interventi a favore dell’infanzia e adolescenza.
Il Piano si sviluppa lungo tre macroaree (Genitorialità, Educazione e Salute) articolato in 16 azioni.


Giova ricordare che il precedente Piano, che presentava un impianto ampiamente condivisibile con obiettivi e azioni di forte respiro, era stato approvato nel corso del 2022, a ridosso dell’insediamento del nuovo esecutivo e ha avuto conseguentemente scarse possibilità di attuazione.
Il nuovo Piano, invece, al netto dei titoli ridondanti delle 16 azioni, così come avvenuto per il Piano Famiglia 2025-2027, nasce con l’evidente obiettivo di accantonare la precedente programmazione e con il presupposto di un’articolazione senza nessuna risorsa aggiuntiva e a normativa vigente (iso risorse e iso normativa).
Appare subito evidente la totale assenza di riferimenti al segmento 0-3 anni: nel Piano, i primi mille giorni assumono rilevanza nell’esclusiva ottica del riferimento al ruolo svolto dai Centri per la Famiglia e al sostegno alla genitorialità, del tutto ignorando le esigenze della persona minore, da quelle educative a quelle relative alla salute.
Il Piano non affronta in alcun modo l'aspetto della salute nei primi 1000 giorni che rappresentano una finestra temporale importante che plasma la salute e lo sviluppo di una vita intera. Le disuguaglianze che si radicano alla nascita non sono un evento ineluttabile, ma un richiamo che esige interventi strutturali e sinergici.
Considerata la centralità dei primi 1000 giorni di vita, le disuguaglianze di salute e sanitarie alla nascita compromettono lo sviluppo complessivo. Questa consapevolezza impone interventi mirati e su vasta scala a sostegno delle madri svantaggiate fin dalla gravidanza, con un supporto continuo che potenzi le risorse economiche, le competenze genitoriali e offra servizi educativi precoci, coinvolgendo attivamente ginecologi, consultori, pediatri, educatori, governi locali e nazionali.
Il D.M. 24 aprile 2000, attraverso il Progetto Obiettivo Materno Infantile (P.O.M.I.) ha delineato il quadro strategico e operativo per garantire un'assistenza di qualità alla donna, alla famiglia e al neonato durante il percorso nascita e nelle prime fasi della vita, ma nel Piano non vi è nessun riferimento ad esso. Un trasferimento di competenze ai Centri per la Famiglia rischia di portare a una perdita di competenze, valori, garanzie che avrà delle gravi ripercussioni nelle generazioni future.
Un’analoga valutazione deve essere fatta per quanto riguarda i servizi educativi per la prima infanzia che sembrano essere quanto meno marginali, se non del tutto assenti nel Piano.
Una constatazione confermata dal fatto che nella delineazione dei soggetti attuatori del Piano, il Ministero dell’Istruzione è quasi del tutto assente.
Una questione che fa il paio con le rimodulazioni - che hanno fortemente depotenziato gli obiettivi originali - e i ritardi nell’attuazione degli investimenti del PNRR in materia di asili nido e scuole dell’infanzia che dovrebbero avvicinare il nostro Paese agli standard europei che individuano nel rapporto tra posti e bambini del 45% l’obiettivo da raggiungere entro il 2030. Ritardi e difficoltà nell’attuazione degli investimenti della Missione 4 del PNRR che fanno correre il serio rischio di non terminare tutte le strutture entro i tempi stabiliti.
Occorre ricordare che l’attuale offerta di nidi e servizi educativi per la prima infanzia è ancora assolutamente insufficiente rispetto al potenziale bacino di utenza e ben al di sotto di quel 33% che l’Europa si era data come obiettivo da raggiungere entro il 2010 (che la Legge di Bilancio 2022 ha indicato come livello essenziale – LEP - da garantire entro il 2027) e molto lontana dal nuovo obiettivo europeo del 45% da raggiungere entro il 2030.
In questo scenario, preoccupa fortemente anche il tentativo operato dal Governo con il Piano Strutturale di Bilancio, di aggirare l’obiettivo del 33% di posti da garantire entro il 2027 (e di quello del 45% da raggiungere entro il 2030) trasformandolo in un obiettivo nazionale mentre l’obiettivo su base regionale scenderebbe al 15%, che lascerebbe immutati i divari territoriali con un’ulteriore penalizzazione soprattutto del Meridione: un’impostazione che si limita a fotografare l’esistente senza incidere sulle disuguaglianze.
Resta poi il nodo irrisolto delle risorse (ancora più rilevante alla luce dei tagli agli enti locali operato con la Legge di Bilancio 2025) per la gestione ordinaria dei nidi e del personale necessario per consentire il corretto funzionamento in modo da scongiurare il rischio di strutture esistenti ma impossibilitate ad operare.
Nel Piano, a fronte di un’asserita volontà di contrastare le diseguaglianze fin dai primi mesi di vita, nessuna attenzione viene dedicata a come garantire lo strumento realmente in grado di contrastarle, ossia la presenza di servizi pubblici di qualità a partire da asili nido e di percorsi educativi.
Appare significativo il fatto che il riferimento ai nidi e ai servizi educativi venga fatto nella macroarea “genitorialità” mentre sia assente in quella sull’”educazione”: un aspetto sintomatico di una visione quanto meno riduttiva del valore di quei servizi.
Anche l’unico cenno alle diseguaglianze territoriali esistenti riguardo alla realizzazione delle finalità della legge 65/2017 sul segmento da 0 a 3 anni viene risolto attraverso un mero appello al potenziamento di Centri per la famiglia con una palese irrilevanza attribuita alla crescita dei servizi educativi, senza alcun riferimento a come quelle diseguaglianze devono essere superate.
Profonde diseguaglianze che trovano conferma in tutte le rilevazioni dell’ISTAT, da quella relativa a nidi e servizi educativi per la prima infanzia a quelle relative alla spesa sociale dei Comuni.
Forti divari territoriali che corrispondono anche a notevoli disparità nelle risorse pubbliche erogate per il sostegno al sistema educativo per la prima infanzia. Peraltro, le aree più svantaggiate, dove si concentrano le famiglie in peggiori condizioni economiche, beneficiano di minori risorse pubbliche in relazione alla minore offerta di nidi e servizi educativi e contemporaneamente per la minore possibilità di intercettare misure di sostegno come i bonus.
Questo significa negare a bambini e bambine il diritto a percorsi educativi, pubblici e di qualità, accessibili e gratuiti, sin dai primissimi mesi di vita, fondamentali per il loro sviluppo e per contrastare diseguaglianze e svantaggi sociali.
In sostanza, emerge in modo evidente che negli atti di programmazione del Governo, i servizi educativi per la prima infanzia risultano essere del tutto marginali, praticamente assenti o irrilevanti sia nel “VI Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva”, che nel “Piano Nazionale per la Famiglia 2025-2027”, così come nelle “Nuove Indicazioni 2025 – Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di Istruzione”.
Nel Piano non risulta affrontato il tema della povertà minorile che nel nostro Paese è particolarmente allarmante con 1,3 milioni di bambini/e e ragazzi/e in condizioni di povertà e il 5,9% dei minori che vive in famiglie in difficoltà economiche tali da impedire perfino l’acquisto del cibo necessario. Bambini/e e ragazzi/e costretti a subire condizioni di deprivazione alimentare dovrebbero rappresentare una priorità assoluta ma per il Governo così non è. Va peraltro ricordato che il Piano Italiano per la Child Guarantee aveva uno dei suoi punti di forza proprio nella raccomandazione di garantire alle persone minori un pasto sano al giorno in ambito scolastico.
Complessivamente il Piano sconta la sua derivazione da una filosofia di fondo poco attenta a quel che il pubblico deve fare e più incline a demandare a strumenti privati il compimento di finalità squisitamente collettive: anche in relazione al capitolo sull’educazione, preoccupa il riferimento ai gruppi di auto-mutuo aiuto che in qualche modo richiamano la volontà – inizialmente esplicitata e poi ritirata dal Piano famiglia - di sperimentare forme “familiari” nei percorsi educativi.
Al “protagonismo delle famiglie” viene dedicato un continuo riferimento in omaggio a una visione familistica ben nota da parte della maggioranza di governo.
Ampio spazio viene dedicato al tema degli affidi familiari (inclusi quelli previsti per minori stranieri non accompagnati) riguardo ai quali è stato recentemente depositato un disegno di legge di provenienza governativa: anche in questo caso vi è un totale demando al terzo settore e i richiami al PANGI (Piano Nazionale per la Child Guarantee) e al PIPPI (Programma per la Prevenzione dell ’Istituzionalizzazione) appaiono solo mere formalità perché non accompagnate da azioni concrete che smentiscano il disinteresse manifestato dall’esecutivo nei confronti dei due piani e che, peraltro, hanno portato alle dimissioni della coordinatrice nazionale del Piano per la Child Guarantee e alla sua collocazione su un binario morto.
Nella macroarea dell’educazione si fa riferimento esclusivamente a minori già fuori dalla fascia 0-6 con un approccio volto unicamente al contrasto dei fenomeni potenzialmente violenti presenti in rete, ancora una volta senza che ci sia l’assunzione di impegni chiari riguardo alla prevenzione della violenza attraverso percorsi di educazione all’affettività e al rispetto delle differenze: viene confermato l’”approccio Caivano”, più volte enfatizzato e difeso durante i lavori dell’Osservatorio e il fenomeno viene ridotto a quello della sola violenza occasionata dal genere senza allargare lo sguardo rispetto a fenomeni analoghi e occasionati dallo stesso tipo di sub-cultura (per orientamento sessuale, identità di genere o appartenenza etnica) e senza che vi sia alcuna spinta verso l’introduzione di attività curricolari nelle scuole (i pochi fondi stanziati per questo fine son stati recentemente dirottati verso iniziative di formazione degli insegnanti sull’infertilità). Peraltro, per quanto riguarda l’azione 10, va anche rilevato con quanta approssimazione il tema delle “pari opportunità” venga confuso con quello della “parità di genere”.
Stesso discorso vale per il contrasto a bullismo e cyberbullismo (riguardo al punto viene dichiarato che i “principali fattori che influenzano il benessere individuale durante l’adolescenza sono legati alla connessione e al rendimento scolastico, al tempo trascorso sui social media, all’insoddisfazione corporea, al clima familiare e al coinvolgimento come vittime nel bullismo e nel cyberbullismo”) e alla riduzione del rischio suicidiario: anche in questi casi vi è una mancanza di presa in carico di alcune delle motivazioni scatenanti rispetto a questi fenomeni, ben note a chi studia il fenomeno nonostante evidenti fenomeni di under-reporting.
Ancora, riguardo alle dipendenze, l’approccio appare solo criminalizzante e indifferente a una differenziazione tra sostanze che creano o che non creano dipendenza e di nuovo c’è un richiamo ai centri per la famiglia come motore delle possibili soluzioni.
Si tratta quindi di un Piano che torna a declinare gli assi portanti dell’impostazione ideologica dell’attuale maggioranza e che segna un punto di netto arretramento rispetto al precedente Piano che (analogamente a quanto avvenuto col Piano famiglia) il Governo si è affrettato ad accantonare senza concedergli il tempo necessario a produrre risultati. Ma, per marcare la differenza, basta ricordare che le azioni 1 e 2 del vecchio Piano erano interamente dedicate alla necessaria spinta verso il potenziamento dei servizi 0-3 a partire dai nidi, che l’azione 6, lungi dal declinare le questioni in modo generico, prevedeva l’ingresso dello psicologo in ogni struttura scolastica e che l’azione 10 parlava esplicitamente di percorsi da introdurre nella scuola riguardo all’educazione all’affettività e al rispetto delle differenze.
In questo scenario, diventa indispensabile costruire e/o allargare, anche a livello territoriale, la rete delle alleanze per contrastare l’impostazione delineata nel Piano.
→ Schema di Piano, in attesa del definitivo licenziamento da parte del Consiglio dei Ministri