PHOTO
Il 27 settembre 2023 è stata approvata dal Consiglio dei Ministri la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF), la prima totalmente ascrivibile all’attività del Governo Meloni.
La NADEF è il documento che aggiorna il Documento di Economia e Finanza (DEF) e che descrive il contesto macroeconomico e di finanza pubblica sulla cui base sarà redatto, entro il prossimo 15 ottobre, il Documento Programmatico di Bilancio (DPB) che descrive per sommi capi le azioni che il Governo porrà in atto nella Legge di Bilancio 2024.
Dopo mesi di propaganda dell’ottimismo – in cui si celebrava addirittura l’Italia “locomotiva d’Europa” – la NADEF riporta tutti con i piedi per terra.
Si raccolgono i frutti di una linea di politica economica assolutamente sbagliata e inadeguata.
La stima del PIL per il 2023 viene rivista al ribasso rispetto a quanto previsto nel DEF di aprile scorso.
L’economia italiana, dopo la frenata del secondo trimestre, sarà debole anche nel terzo e quarto: insieme all’industria e alle costruzioni stanno frenando anche i servizi; e – dal lato della domanda – continua a scendere quella interna mentre l’export flette ormai da tempo.
In vista del 2024 e della prossima manovra, i numeri anticipati della NADEF rivedono al ribasso la stima del PIL anche per il prossimo anno, prevedendo peraltro un +1,2% oggettivamente sovrastimato rispetto all’andamento reale della nostra economia e – soprattutto – rispetto alle stime più recenti della Commissione UE, dei principali organismi internazionali e di tutti gli analisti.
Per precostituirsi maggiori margini di manovra, l’Esecutivo “gonfia” il più possibile il PIL programmatico per il prossimo anno, e alza l’asticella del deficit programmatico 2024.
Su questo punto noi non possiamo condividere la posizione di chi sta criticando il Governo, chiedendo meno deficit e più austerità (ovviamente a carico di lavoratori e pensionati), con ulteriori tagli alla spesa pubblica corrente.
Noi abbiamo un approccio critico opposto: non chiediamo la “manovra per i mercati”, ma rivendichiamo una manovra per i lavoratori, i pensionati, i precari, le giovani generazioni, perché il vero problema non è tanto il debito pubblico (il numeratore), ma il PIL (il denominatore) che – anche a causa delle politiche sbagliate del Governo – sta andando giù.
La questione è piuttosto come si utilizzano i 23,5 miliardi di scostamento previsti nel triennio e, soprattutto, come si rilancia – anche al fine di mettere in sicurezza la finanza pubblica – la crescita e il PIL.
Dall’altra parte, non possiamo nemmeno condividere la valutazione positiva ed entusiastica che taluni hanno ritenuto di dare circa una presunta “manovra espansiva”.
Non è così, anzi si prefigura un contenimento brutale della spesa pubblica sia in rapporto al PIL che in termini reali. Non adeguandola all’inflazione, infatti, la spesa pubblica si ridurrà in media del 10% nel triennio, a partire da sanità e istruzione. E non si intravedono né la volontà né le risorse necessarie per i rinnovi dei contratti pubblici 2022/2024.
Vengono riesumate persino le famigerate privatizzazioni (svendita di quote delle partecipate pubbliche): 22 miliardi nel triennio. C’è solo da sperare che – come accaduto in passato – non vengano realizzate.
Sarà, quindi, una manovra all’insegna dell’austerità.
Sul versante fiscale, si parla di conferma della decontribuzione in essere (meno 7% per i redditi fino a 25.000, e meno 6% per quelli fino a 35.000). È certamente una nostra rivendicazione, ma è solo una nuova proroga temporanea. In sostanza, verrebbero confermate le buste paga che questi redditi stanno già percependo da luglio scorso, ma – proprio per questo – sul piano macroeconomico, gli effetti espansivi anche di questa misura si sono in gran parte esauriti, essendo già in vigore.
E comunque anche la decontribuzione viene portata avanti, esplicitamente, in una logica di contenimento/moderazione salariale – a sostegno più delle imprese che dei lavoratori – come alternativa/freno ai rinnovi contrattuali, per contrastare una inesistente spirale prezzi/salari.
E questo nonostante lo stesso Governo riconosca – nero su bianco (pag. 40 della NADEF) – come il 60% della fiammata inflattiva sia imputabile ad un comportamento opportunistico del sistema delle imprese che non solo ha sistematicamente scaricato a valle l’aumento dei costi di produzione ma, contemporaneamente, ha colto l’occasione per aumentare anche i margini di profitto.
Si parla poi di primo step della “riforma IRPEF” in attuazione delle delega fiscale con l’accorpamento dei due scaglioni più bassi, con benefici – al di là dell’effetto regressivo - pari a pochissimi euro.
Non trova dunque risposta la drammatica emergenza salariale che – a fronte di un’inflazione da profitti, persistente e oltre la media europea – ha falcidiato il potere di acquisto di milioni di lavoratori e pensionati, che non sarà certo recuperato con il “trimestre tricolore”: serve aumentare i salari delle persone attraverso i rinnovi dei contratti nazionali.
Il PNRR è totalmente impantanato a causa delle scelte del Governo.
Di politiche industriali non si vede nemmeno l’ombra, a partire dalle crisi aziendali aperte e – ad oggi – senza soluzioni.
Non c’è nulla su precarietà e lavoro povero, anzi il contrario.
Viene confermata la legge Fornero.
C’è il rischio di un ulteriore taglio alla rivalutazione delle pensioni come l’anno scorso.
Il mezzogiorno rischia di essere letteralmente schiacciato, a partire dai tagli e dai definanziamenti al PNRR.
Si elimineranno anche le misure di sostegno contro il caro energia.
Non volendo intervenire su extraprofitti, evasione fiscale, redditi alti, rendite e patrimoni, il Governo, evidentemente, punta sulle entrate una tantum, sui tagli di spesa e – probabilmente – su nuovi condoni.
Questa impostazione non solo va contro gli interessi delle persone che rappresentiamo, ma – tra crollo dei consumi, degli investimenti e della domanda interna; crisi dell’export; calo della produzione industriale e delle costruzioni; stallo del PNRR; e politiche sociali regressive – porterà, inevitabilmente, il Paese a sbattere
Un’altra politica economica, fondata sulla leva redistributiva del fisco, è non solo possibile ma necessaria:
aumentare i salari, sostenere sanità e scuola pubblica, rilanciare gli investimenti a partire da un PNRR che il governo ha messo in “congelatore” ma che rappresenta - oggi più che mai - la leva più importante non solo per sostenere la crescita, ma per trasformare il nostro modello di sviluppo di fronte alle sfide della rivoluzione tecnologica e della conversione ambientale.
→ Nota integrale