Di seguito riportiamo la memoria CGIL consegnata, il 18 luglio, in audizione presso le commissioni congiunte V Commissione Bilancio della Camera dei deputati e Commissioni 4a (Politiche dell'Unione europea) e 5a (Bilancio) del Senato, nell’ambito dell'esame della Relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). 

Dalla Terza Relazione emergono criticità sullo stato di attuazione del PNRR. Fra le principali vengono indicati i vincoli europei, in particolar modo quelli riguardanti il principio del non arrecare danno significativo all’ambiente, che avrebbero rallentato la realizzazione di molti progetti; la scarsa capacità amministrativa degli enti locali e il mutato contesto internazionale. Anche da questi elementi derivano le ipotesi di riprogrammazione del Piano. Inoltre, lo stesso andrà integrato con misure che costituiranno la quota parte italiana del REPowerEU.

Poniamo alla Vostra attenzione tre punti, a nostro giudizio dirimenti.

Il primo: per noi si tratta di una valutazione difficile, non solo per le questioni di merito indicate, ma anche per i limiti che caratterizzano in questa fase l’esercizio del ruolo del partenariato economico e sociale.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta, a nostro giudizio, non solo una leva potente per modernizzare il Paese attraverso investimenti capaci di aggredire una parte dei suoi limiti strutturali, ma anche l’occasione difficilmente ripetibile di rilanciarne, cambiandolo, il suo modello di specializzazione produttiva nel segno della sostenibilità ambientale, e di ridurne le grandi diseguaglianze generazionali, di genere e territoriali. Al fondo, sono queste le ragioni che hanno determinato le disponibilità di risorse destinate al nostro Paese e dovrebbe essere interesse di tutti perseguire i più alti livelli di coesione nazionale intorno al successo del Piano e alla sua completa realizzazione. Per farlo, però, occorre realizzare una governance diversa, in cui il ruolo del partenariato economico e sociale venga esaltato nelle sue funzioni e nelle sue responsabilità. Di tutto questo, purtroppo, non c’è traccia. Eppure, basterebbe realizzare quanto previsto dal comma 5-bis dell’articolo 8 della Legge 108/21, esattamente nelle modalità indicate dal legislatore e sulla base delle quali fu sottoscritto un Protocollo per la partecipazione e il confronto che metteva in ordine ruolo, funzione, ambiti e tempi dell’esercizio del confronto preventivo, di natura settoriale e territoriale, sulle ricadute economiche e sociali con il partenariato, in coerenza con le migliori pratiche del dialogo sociale europeo. È con questo approccio che recentemente abbiamo sottoscritto un Protocollo con l’ANCI. Da questo punto di vista, avanziamo la proposta di aggiornare rapidamente il Protocollo per la partecipazione e il confronto alla luce delle novità intervenute negli assetti della governance istituzionale con il Decreto-legge 13/2023 per renderlo esecutivo quanto prima.

Constatiamo, purtroppo, che accanto ad una (per noi discutibile, senz’altro problematica) centralizzazione della governance istituzionale, di pari passo si è affermata nella prassi una proceduralizzazione del confronto con il partenariato, inteso più come obbligo per rispondere ai regolamenti che come occasione per costruire visione e condivisione intorno agli obiettivi del Piano, e come opportunità per superarne le difficoltà nella messa in opera. Episodicità, scarsezza delle informazioni di dettaglio, assenza di confronto preventivo sono elementi diventati purtroppo caratterizzanti il rapporto con il partenariato economico e sociale. Peraltro, per quanto riguarda REPowerEU, il coinvolgimento fattivo delle parti sociali è previsto esplicitamente nel regolamento dello stesso. Allo stato attuale l’Italia lo sta disattendendo.

Per quanto attiene le modifiche generali al Piano, si sa che l’idea, confermata con forza più di una volta, rimane quella di inserire le riforme e i progetti del PNRR considerati inattuabili entro il 2026 all’interno dei programmi dei fondi strutturali per la coesione, che hanno scadenze più lunghe (2029).

Non ci è ancora chiaro, nonostante le ripetute richieste, di quali progetti si tratterebbe e soprattutto con quale modalità verrebbero trasferiti all’interno del perimetro dei fondi strutturali, considerando che PNRR e Fondi per la coesione hanno modalità di attuazione e valutazione differenti.

In questo senso, anche la relazione sullo stato di attuazione del Piano presentata al parlamento rimane vaga nello spiegare quali soluzioni l’esecutivo intende proporre a Bruxelles per riformulare il piano italiano.

Se si condivide l’affermazione che “il Piano è di tutti”, solo il pieno coinvolgimento di tutte le parti politiche, istituzionali, economiche e sociali può sostanziare questo postulato.

Secondo. Nel merito la Relazione mette in evidenza la questione relativa alla capacità di spesa. Tra prefinanziamento del 2021 e le due rate del 2022, la Commissione europea ha erogato all’Italia, tra sovvenzioni e prestiti, 66,9 miliardi di euro. Secondo l’ultima rilevazione disponibile sulla banca dati ReGIS, la spesa sostenuta ammonterebbe a 26,26 miliardi di euro. Il dato non è confortante; evidenzia problematiche complesse che ne sono alla base; non serve a nessuno il rimpallo delle responsabilità. Certamente non servono provvedimenti che riducono invece di estendere le funzioni di monitoraggio e di controllo del Piano, anche attraverso il ridimensionamento della funzione di organismi quali la Corte dei conti, che non favoriscono l’individuazione in tempo reale dei problemi e allontanano la loro soluzione.

Ma il quadro si presenta problematico perché, se alziamo lo sguardo e assumiamo a riferimento l’intero arco temporale del Piano, il dato anno per anno quindi, la situazione che emerge per il 2023 è quantomeno preoccupante. Il nostro Paese l’Italia ha speso complessivamente 1,2 miliardi di euro da gennaio a maggio 2023, sui 33,8 miliardi programmati per l’anno in corso; ha 5 mesi e mezzo di tempo, quindi, per spendere ancora 32,7 miliardi. Una cifra notevole da erogare in un tempo limitato. Riguardo gli anni precedenti, nel 2020 e nel 2021 abbiamo sostenuto una spesa lievemente superiore a quella programmata.

Dal 2022 invece la tendenza si inverte, ma sempre in modo lieve. Considerando tutto il triennio 2020-2022, la spesa sostenuta è stata fortemente trainata dalle misure del Ecobonus-Sismabonus nella missione M2C3 e dai crediti d’imposta per beni strumentali 4.0, e per attività di formazione 4.0, all’interno della missione M1C2. Misure, è bene sottolineare questo aspetto, dagli scarsi effetti moltiplicativi in termini di crescita del PIL e dell’occupazione, come rilevato sia dall’UPB che dall’ISTAT nel suo ultimo rapporto annuale.

L’attuazione delle misure attraverso crediti d’imposta dipende solo dalle domande e dalle spese effettuate da privati. Gli enti responsabili si limitano a rimborsare ai soggetti privati le cifre investite. Mentre altri interventi, la gran parte, richiedono un coinvolgimento più diretto delle pubbliche amministrazioni, che va dalla pubblicazione dei bandi da parte dei ministeri alla realizzazione concreta delle opere e la loro rendicontazione.

Se si esclude l’impatto di quei 3 interventi, il totale delle risorse erogate passerebbe da 26,26 a 10,5 miliardi di euro, meno della metà. Questo dato ci evidenzia in modo inequivocabile che le difficoltà di spesa del nostro Paese sono perlopiù dovute a una questione di capacità amministrative e burocratiche. Laddove i processi si fanno più complessi, sia per gli enti titolari che per i soggetti attuatori, la spesa si blocca.

I motivi a cui sono riconducibili le difficoltà di spesa e di realizzazione dei progetti sono principalmente due: da un lato, la lentezza generale dei processi burocratici della pubblica amministrazione; dall’altro, la carenza nelle singole amministrazioni locali, delle competenze necessarie in tema di progettazione e rendicontazione.
Criticità che riguardano soprattutto i comuni piccoli, periferici, del sud. Proprio quei territori che, al contrario, avrebbero più bisogno di veder realizzati i progetti del PNRR, anche nell’ottica di ridurre i divari economici e sociali con il resto del Paese, che è un obiettivo trasversale del piano. Il meccanismo dei bandi non rappresenta lo strumento migliore per garantire la messa in opera dei progetti, soprattutto nel Mezzogiorno, e nell’insieme i target trasversali. Per questo motivo riteniamo che non si possa riproporre, come da più parti si fa, il ricorso a ulteriori misure di credito d’imposta, ma occorra definire uno stretto coordinamento tra le diverse amministrazioni e costruire tecnostrutture in grado di supportare la realizzazione degli investimenti. Accanto a ciò, riteniamo non più rinviabili una serie di interventi necessari al perseguimento degli obiettivi del PNRR da realizzare attraverso le politiche ordinarie, quali ad esempio, la realizzazione di un piano straordinario di assunzioni qualificate nei diversi livelli della pubblica amministrazione e l’inversione del definanziamento della sanità pubblica, reso ancora più urgente dall’allarmante stato in cui versa.

Temiamo che i ritardi nell’erogazione della terza rata, e quelli presumibili sulla quarta, se non recuperati possano determinare nell’immediato problemi consistenti al fabbisogno di bilancio, in prospettiva pregiudicare il successo dell’intero impianto del Next Generation EU.

Terzo. Il Piano presuppone la piena attuazione delle politiche per il clima e del pacchetto Pronti per il 55% (Fitfor55) come previsto dalla legge europea sul clima 2021 che ha reso questo obbligo vincolante. In questo senso, le scelte strategiche di REPowerEU risultano fondamentali per raggiungere tali obiettivi con tempistiche ristrette, considerando l’alta dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili. Allo stato attuale il nostro paese non ha ancora definito quali siano le priorità, abbiamo diverse volte sollecitato il governo su questo piano senza ottenere risposta.

Segnaliamo gli obiettivi che a nostro parere dovrebbero avere un’attenzione particolare nella scrittura del nuovo capitolo REPowerEU del PNRR tra cui:
1) la promozione dell'efficienza energetica degli edifici e delle infrastrutture energetiche critiche;
2) la riconversione e decarbonizzazione dell'industria e la definizione di filiere che sostengano la transizione verde attraverso una nuova politica industriale;
3) l'aumento della quota e la diffusione più rapida delle energie rinnovabili;
4) il sostegno allo stoccaggio di energia elettrica;
5) la riqualificazione dei lavoratori e delle lavoratrici in relazione alle competenze green e digitali;
6) l'accelerazione dell'integrazione delle fonti energetiche rinnovabili;
7) il sostegno ai trasporti a zero emissioni e alle relative infrastrutture, il supporto alle comunità energetiche.

Riteniamo che serva un piano complessivo per determinare il processo di transizione con una molteplicità di strumenti che tutelino, proteggano e creino lavoro.
Per realizzarlo, serve condivisione e confronto con le organizzazioni sindacali per definire un Piano per la Giusta transizione e maggiore chiarezza e trasparenza sulle revisioni del PNRR che si intendono attuare.

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