Martedì 28 ottobre si è tenuta l’audizione della CGIL,  rappresentata da Simona Fabiani, responsabile Politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione e Massimo Brancato coordinatore dell’Area delle Politiche per lo sviluppo, presso le Commissioni VIII e X della Camera dei deputati nell’ambito dell’esame degli atti di governo 324 e 332 per il recepimento della Direttiva europea RED III e revisione del testo Unico FER (Fonti Energia Rinnovabili).

Di seguito riportiamo il testo della memoria predisposta per l’occasione.


Audizione
presso le Commissioni VIII e X della Camera dei deputati nell’ambito dell’esame dello schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2023/2413, che modifica la direttiva (UE) 2018/2001, il regolamento (UE) 2018/ 1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto riguarda la promozione dell'energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 (Atto n. 324) e dello schema di decreto legislativo concernente disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, recante disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili (Atto n. 332)
(28 ottobre 2025)
Atto di governo N. 324: Schema di decreto legislativo recante “Attuazione della direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, che modifica la direttiva (UE) 2018/2001, il regolamento (UE) 2018/1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio (UE).”
La Direttiva (UE) 2023/2413 ha l’obiettivo di accelerare la transizione energetica, aumentare drasticamente la quota di energia da fonti rinnovabili, dato che il settore energetico contribuisce per oltre il 75% alle emissioni totali di gas serra, e ridurre la dipendenza dell’Unione dai combustibili fossili. Fra i punti rilevanti della Direttiva c’è quello di aver fissato un obiettivo vincolante per l'Unione di raggiungere almeno il 42,5% di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia entro il 2030, con l'ambizione di arrivare al 45%, e di prevedere la dichiarazione di "prevalente interesse pubblico" in riferimento allo sviluppo di energie rinnovabili, impianti di stoccaggio e infrastrutture di rete.
Come segnalato anche dalla Commissione Europea nelle Raccomandazioni del 4 giugno 2025 sulle politiche economiche, sociali, occupazionali, strutturali e di bilancio dell'Italia, il nostro Paese è in grave ritardo rispetto alla transizione energetica. In particolare, il punto 5 delle Raccomandazioni segnala la necessità di accelerare l'elettrificazione e intensificare le iniziative per la diffusione delle energie rinnovabili, anche riducendo la frammentazione della normativa sulle autorizzazioni e investendo nella rete elettrica. Il PNIEC presenta sostanziali divari rispetto agli obiettivi climatici europei, per le rinnovabili, punta a un contributo del 39,4% al consumo finale lordo di energia entro il 2030, a fronte di un obiettivo europeo vincolante del 42,5%, con l’aspirazione di raggiungere il 45%, mentre per le emissioni totali di gas serra prevede una riduzione del 49% al 2030, rispetto al 1990, invece del 55%, e del 60% al 2040, invece del 90%. La distanza è ancora più evidente se guardiamo ai risultati realizzati al 2023: l’Italia ha ridotto finora le emissioni del 26% rispetto al 1990, mentre la media europea è stata del 37%.
Questo ritardo ha un impatto molto negativo per il Paese. Accelerare la transizione energetica, non è indispensabile solo per contrastare i cambiamenti climatici e per gli effetti positivi sulla salute, è anche l’unica scelta possibile per ridurre e dare stabilità ai prezzi energetici, garantire sicurezza e indipendenza energetica, dare sollievo agli utenti e recuperare competitività per le imprese. Risparmio, efficienza energetica e rinnovabili sono la strada da percorrere. Lo ha detto Draghi nel suo rapporto sulla competitività, e lo ha ribadito qualche giorno fa anche la Presidente della BCE: le scelte sbagliate di politica energetica fatte in passato dall’Europa, troppo dipendente dalle importazioni di gas, hanno avuto un impatto profondo sulla competitività. I prezzi dell’elettricità nell’UE restano circa due volte e mezzo più alti rispetto agli Stati Uniti, mentre quelli del gas sono quasi quattro volte superiori. Un divario che, mette in evidenza Lagarde, sta influenzando le decisioni di investimento delle imprese e alimenta i timori di una progressiva deindustrializzazione. Secondo la Presidente della BCE, nel nuovo e difficile contesto geopolitico, l’Europa deve trovare un compromesso tra tre obiettivi: energia sicura, sostenibile e accessibile e crede che l’unica strada percorribile per raggiungere tutti e tre i traguardi sia quello di affidarsi maggiormente all’energia rinnovabile prodotta in casa, perché le fonti rinnovabili garantiscono l’indipendenza energetica e avendo un costo marginale prossimo allo zero, sono l’unica tecnologia in grado di far scendere strutturalmente i prezzi dell’energia nel lungo periodo. La dipendenza dai combustibili fossili importati non è sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Il rischio di deindustrializzazione non è determinato dalla decarbonizzazione ma dalla dipendenza dalle fonti fossili, ancora di più oggi che per eliminare il gas importato dalla Russia si sono diversificate le importazioni da altri paesi, in particolare quelle di GNL, che è molto più costoso del gas russo.
Questo ragionamento vale ancora di più per l’Italia che ha i prezzi energetici più alti in Europa perché, avendo una dipendenza energetica di oltre il 74%, subisce una forte instabilità e variabilità dei prezzi del gas sul mercato internazionale. Il prezzo del gas ha un impatto diretto anche sui prezzi dell’energia elettrica, poiché in Italia più del 40% dell’elettricità è prodotta da centrali termoelettriche a gas. L’unica soluzione per ridurre i prezzi dell’energia e la loro instabilità, contribuire responsabilmente al contrastare del cambiamento climatico e ridurre gli impatti sulla salute dell’inquinamento atmosferico è quella di accelerare la Transizione Energetica, è puntando su risparmio e efficienza energetica e produzione da fonti rinnovabili, a cui destinare tutti i nuovi investimenti e infrastrutture, e pianificando una graduale uscita dalle fonti fossili in linea con i target di decarbonizzazione europei.
L’atto di governo 324 conferma l’impostazione negazionista del Governo.
Prevede, infatti, di modificare l’articolo 3 del decreto legislativo 199/2021, portando l’obiettivo nazionale relativo alla quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia da conseguire nel 2030 dal 30% al 39,4%, come già previsto dal PNIEC. Questo target, inferiore a quello europeo, è insufficiente e inadeguato. Condanna l’Italia ad alti costi energetici, problemi di inquinamento e salute pubblica, arretratezza tecnologica e perdita di opportunità industriale ed occupazionale legate allo sviluppo delle filiere strategiche nella decarbonizzazione. Ricordiamo fra l’altro che l’inquinamento atmosferico, nel 2022, è stato responsabile di 71.800 casi di morte prematura (dati pubblicati il 30/12/2024 dall’Agenzia Europea per l’Ambiente); che la crisi climatica colpisce in modo drammatico anche il nostro territorio (ammonta a 12 miliardi di euro il costo che dobbiamo sostenere a causa degli eventi meteorologici estremi dell’estate 2025); che la produzione industriale è in calo da 30 mesi e si stima che nel 2024 2 milioni di famiglie vivevano in una condizione di povertà energetica.
Anche per quanto riguarda l’utilizzo dell’energia rinnovabile nell’edilizia, l’atto di governo ha obiettivi inadeguati. La direttiva RED III indica un obiettivo finale nel settore edile nel 2030 nel consumo finale dell’Unione pari almeno al 49%, dando anche indicazione agli stati di consentire, al fine di soddisfare questo target, che i tetti degli edifici pubblici o misti pubblico-privato siano utilizzati da terzi per impianti che producono energia da fonti rinnovabili. Il Governo propone un contributo inferiore, attestandosi solo al 40,1% e non ha ancora un Piano nazionale di ristrutturazione degli edifici per rendere il parco immobiliare a basse emissioni di carbonio e ad alta efficienza energetica entro il 2050, come previsto dalla direttiva europea “case green”.
Il Governo, invece di orientare e accelerare la transizione energetica, continua a sostenere la realizzazione di nuove infrastrutture e importazioni di fonti fossili, rallenta lo sviluppo delle rinnovabili e lavora al ritorno del nucleare in Italia. La CGIL non condivide e si opporrà a questa iniziativa. Il nucleare è una tecnologia con costi e rischi elevatissimi, tempi di realizzazione incompatibili con l'urgenza dell'azione climatica, enormi problemi di localizzazione in sicurezza e di accettazione sociale (come dimostra l’impossibilità di individuare fin qui un sito in cui stoccare le scorie nucleari), di dipendenza per l'approvvigionamento del combustibile e delle tecnologie. Inoltre, non si può ignorare la volontà popolare espressa in ben due referendum abrogativi nel 1987 e nel 2011. Allo stesso modo contestiamo l’ipotesi di spostare al 2038 il phase out del carbone al 2038 per coordinare i tempi della chiusura delle centrali con quelli dell’avvio degli impianti nucleari. Si tratta di azioni orientate a fermare la transizione energetica e far sopravvivere l’insostenibile sistema produttivo fossile, puntando su un impossibile e diseconomico passaggio diretto da gas e carbone a nucleare, sulla Cattura e il sequestro di carbonio (CCS) e altre soluzioni irrealistiche in nome dei principi di “neutralità tecnologica” e di “gradualità”.
La CGIL sostiene che per rispettare i target europei, l’impegno assunto nella COP28 di triplicare la produzione di rinnovabili al 2030 e quello di un sistema elettrico 100% rinnovabili al 2035 assunto nel G7 del 2022, dare un responsabile contributo al contrasto al cambiamento climatico, il nostro Paese debba destinare al risparmio e all’efficienza energetica, all’economia circolare e allo sviluppo delle rinnovabili (impianti, reti, interconnessioni elettriche, sistemi di accumulo, elettrificazione dei consumi) tutti i nuovi investimenti, senza aggravi sulle bollette, e pianificare il phase-out dalle fonti fossili, attivando una governance democratica e partecipata per anticipare e pianificare una “giusta transizione”, attivando politiche industriali per lo sviluppo delle filiere strategiche per la decarbonizzazione e politiche, misure e risorse per la Giusta Transizione.
Per quanto riguarda il tema delle rinnovabili nei trasporti non condividiamo la scelta del Governo di bloccare il nostro Paese sull’endotermico, sia per motivi ambientali-climatici che per opportunità di sviluppo delle filiere elettriche e garanzia di buona occupazione, e non condividiamo la previsione dell’art. 15 di abrogare i commi 1 e 2 dell'articolo 41 del decreto legislativo 199/2021 su trasparenza e controllo dei dati delle emissioni dei biocarburanti. Inoltre, sono molto gravi le previsioni dell’articolo 17 che giustificano la deforestazione per aumentare la produzione di biocombustibili.
Atto di governo N. 332: Schema di decreto legislativo concernente disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, recante disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Il decreto 332, modifica il decreto 190/2024, detto Testo Unico FER. L’obiettivo dovrebbe essere quello di superare le incertezze e i rallentamenti, soprattutto sui fronti autorizzativi (titoli edilizi, espropri per opere connesse, per progetti di revamping e repowering, per impianti agrivoltaici, (Piattaforma SUER e Autorizzazione Unica) per accelerare gli investimenti e raggiungere gli obiettivi del PNRR. Nella relazione illustrativa si fa espresso riferimento alla disciplina europea per la promozione delle energie rinnovabili, in particolare alle previsioni contenute nella direttiva (UE) 2023/2413 (così detta “RED III”).
Per valutarne il merito, l’atto 332 va analizzato nel quadro complessivo, in relazione all’atto 324 e all’inazione del Governo riguardo la transizione energetica.
Le semplificazioni sono importanti, se non si traducono in deregolamentazione e superamento del democratico coinvolgimento di parti sociali e comunità, ma da sole non bastano a promuovere la diffusione delle rinnovabili e gli effetti positivi della transizione energetica. Nel nostro Paese mancano:
• Politiche di governance partecipata per pianificare una giusta transizione, attivando politiche, misure e risorse necessarie per accompagnare il processo di transizione senza che ci siano impatti sociali ed occupazionali negativi;
• Politiche industriali per promuovere la riconversione ecologica e circolare del settore economico-produttivo, l’efficienza e il risparmio energetico e l’autoproduzione energetica da fonti rinnovabili delle imprese, lo sviluppo delle filiere strategiche nella decarbonizzazione;
• La pianificazione del phase-out dalle fonti fossili, l’accantonamento dell’idea antieconomica, antidemocratica e pericolosa, di un ritorno al nucleare e l’accelerazione della transizione a un sistema energetico 100% rinnovabile, democratico e decentrato che garantisca un accesso inclusivo all’energia pulita;
• Politiche fiscali che sostengano la transizione con adeguati investimenti, a partire dall’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi e dal corretto uso dei proventi dell’ETS e in prospettiva dell’ETS 2, oltre che delle risorse del Fondo Sociale per il Clima;
• Investimenti per gli interventi infrastrutturali per il potenziamento della rete elettrica, l’elettrificazione dei consumi, le interconnessioni elettriche con l’estero, i sistemi di accumulo, la flessibilità dei consumi;
• Investimenti pubblici a sostegno degli interventi infrastrutturali sul patrimonio edilizio, a partire da quello pubblico e sulle aree a maggior disagio economico e sociale, e a sostegno della mobilità sostenibile per garantire gli obiettivi della direttiva “case green”, ridurre la povertà energetica e nei trasporti.
Le disposizioni che fino ad oggi si sono susseguite in materia di rinnovabili ne hanno complicato e rallentato lo sviluppo. La continua modifica delle regole autorizzative, i tempi lunghi, i vincoli imposti da alcune Regioni, hanno determinato un clima di incertezza normativa che ha ostacolato gli investimenti. L’emanazione del cosiddetto “Testo Unico sulle Rinnovabili” avrebbe dovuto superare una volta per tutte il ricorso a continue modifiche e alla frammentazione normativa. In realtà non è stato così. I due decreti in consultazione rappresentano l’ennesima revisione delle norme in materia di rinnovabili. Dopo che era già intervenuto a modificare le norme sulle rinnovabili il Decreto “Infrastrutture” 73/2025, ora di nuovo due atti di modifica, che fra l’altro fanno riferimento entrambi alla Direttiva RED III, intervengono sulle disposizioni di settore, in particolare sul Testo Unico FER (decreto 190/2024) e sul Decreto legislativo 199/2021. Non un buon segnale per un atto che dovrebbe semplificare.
Le criticità più forti restano i regimi e i tempi autorizzativi e l’individuazione delle aree idonee. Dopo che il TAR Lazio ha annullato parzialmente il decreto “Aree idonee” che conferiva troppa discrezionalità alle Regioni nel definire aree “non idonee”, senza criteri oggettivi e uniformi a livello nazionale, il nuovo decreto “Aree idonee” non è ancora arrivato a compimento. Nel frattempo, il GSE sta lavorando all’individuazione delle aree di accelerazione, che dovrebbero essere una parte delle aree idonee soggette ad autorizzazioni ulteriormente semplificate. Un caos normativo, che non solo allunga i tempi ma che non è in grado di garantire il risultato. La frammentarietà della pianificazione, infatti, rischia di non dare una risposta adeguata in termini di superficie - terrestre, sottosuolo, aree marine o acque interne – disponibile per l’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, e delle relative infrastrutture, quali la rete e gli impianti di stoccaggio, compreso lo stoccaggio termico, necessari a soddisfare almeno il contributo nazionale all’obiettivo complessivo dell’Unione in materia di energia rinnovabile per il 2030. Se non ci sono sufficienti spazi disponibili, a partire dalle priorità indicate nel RED III (superfici artificiali ed edificate, come i tetti e le facciate degli edifici, le infrastrutture di trasporto e le zone immediatamente circostanti, i parcheggi, le aziende agricole, i siti di smaltimento dei rifiuti, i siti industriali, le miniere, i corpi idrici interni artificiali, i laghi o i bacini artificiali e, se del caso, i siti di trattamento delle acque reflue urbane, così come i terreni degradati non utilizzabili per attività agricole), anche se si risolvono i problemi autorizzativi, resta il problema non di poco conto, di dove collocare gli impianti. Inoltre, la direttiva RED III prevede che gli Stati membri garantiscano la partecipazione del pubblico ai piani che designano le zone di accelerazione delle energie rinnovabili ma anche questo punto al momento non è stato affrontato per garantire la democratica partecipazione di parti sociali e comunità alla pianificazione, che dovrebbe essere fatta a livello regionale su criteri definiti dal GSE. Gli effetti di questo caos si riscontrano nei dati sullo sviluppo delle rinnovabili che, nel secondo trimestre del 2025, hanno registrato un netto rallentamento, con un calo complessivo del 29% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (vedi rapporto ASVIS).
Il riordino amministrativo e la semplificazione delle procedure autorizzative per le FER è una riforma richiesta dal PNRR (riforma 1 della missione 7). Nella descrizione della riforma 1 si legge che tra le priorità fondamentali rientra la fissazione di "norme limite", e si precisa che le regioni non possono applicare norme di autorizzazione più rigide di quelle previste dalla legislazione nazionale. Questa prescrizione non trova adeguato riscontro nel provvedimento e sarebbe opportuno che sia inserita, partendo da una correzione al comma 3 dell’articolo 1 del decreto 190/2024, laddove si prevede, nell’attuale formulazione, che “le regioni e gli enti locali si adeguano ai principi di cui al presente decreto”, sostituendo le parole “ai principi” con le parole “alle disposizioni”.
Infine, in merito all’acquisizione del titolo edilizio, serve individuare in modo chiaro quali sono i casi in cui è necessario e quelli in cui non lo è, sostituendo “ove necessario”. Inoltre, riteniamo che per accelerare il procedimento autorizzativo le concessioni, edilizie e di acquisizione di concessioni pubbliche, debbano essere all’interno dello stesso procedimento e non preventive.

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