Di seguito riportiamo la memoria della CGIL relativa all'audizione presso la X Commissione del Senato sul disegno di legge n. 672 (Semplificazioni in materia di lavoro e legislazione sociale).

La memoria, visto il carattere interdisciplinare del disegno di legge, è stata redatta con il contributo delle Aree del Centro Confederale.


Premessa

Nelle considerazioni che seguono esprimiamo delle valutazioni sulle singole proposte di modifica normativa contenute nei diversi articoli che compongono il disegno di legge in esame.

Prima di dette valutazioni ci preme avanzare una premessa riguardante le modalità d’intervento sui temi del lavoro, della protezione sociale e sulla salute e sicurezza nel lavoro.

Siamo, infatti, in presenza di una pluralità d’interventi che non hanno carattere sistemico e sui quali non si è agita la necessità di garantire il coordinamento e la possibile unificazione dell’azione legislativa.

Oltre al decreto-legge n. 48 del 2023, a suo tempo convertito in legge, è in discussione presso la Camera dei deputati il disegno di legge n. 1532-bis, il cosiddetto collegato lavoro, ed è avviata la conversione del decreto-legge n. 19 del 2024, cosiddetto PNRR 2, che contiene interventi in materia lavoristica con particolare riferimento al contrasto al lavoro sommerso, e in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Il disegno di legge, oggi in esame, interviene sulle materie che già sono state oggetto di modifica e in taluni casi opera una vera e propria sovrapposizione con quanto contenuto in particolare nel disegno di legge n.1532-bis.

È nota la diversa natura dei provvedimenti, per l’articolazione tra l’azione legislativa di proposta governativa e quella di iniziativa parlamentare, ma il luogo della composizione, della unificazione tra le proposte e della razionalizzazione degli interventi sono le Commissioni Parlamentari che operano

siano nella conversione in legge dei decreti che sulle proposte di legge in discussione.

Oltre questa premessa ci preme evidenziare che non si è in presenza di uno schema d’azione legislativa di semplificazione, auspicabile se rende più fluido il quadro regolatorio, ma piuttosto l’intervento oggetto della proposta assume il carattere della de-regolamentazione e della de strutturazione di alcuni capitoli della disciplina lavoristica e anche del consolidato giurisprudenziale a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori che come è noto sono la parte debole del rapporto di lavoro e che pertanto devono avere assicurati adeguati ed esigibili spazi di tutela.

Nel commento dei singoli articoli renderemo evidente il dettaglio di tali valutazioni di carattere critico.

Considerazioni

Con l'Articolo 1 si provvede a modificare il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di contratti di collaborazione prestati dai percettori di pensione di vecchiaia o anticipata. In particolare, la modifica proposta intende ricomprendere tra i casi in cui non opera l'estensione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche le collaborazioni rese da soggetti titolari di pensione di vecchiaia o anticipata (contributiva), come era, in parte, già previsto originariamente dall'articolo 61 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in aggiunta alle ipotesi di esclusione già contemplate dall'attuale normativa.

Commento

Le collaborazioni con percettori di pensione di vecchiaia o anticipata erano considerate quasi esenti da eventuali controlli degli organi di vigilanza per il solo fatto che erano stipulate con pensionati che non potevano essere equiparati, a tutti gli effetti, a lavoratori ordinari. La realtà ha dimostrato il contrario, tanto che la stessa Corte di Cassazione, (sentenza n. 4346 del 4 marzo 2015), era intervenuta in merito. Le collaborazioni con pensionati, siano essi di anzianità o di vecchiaia, sono ammissibili oggi esclusivamente se non presentano indici che riconducano a un rapporto di lavoro

subordinato e se rispettano le indicazioni che la legge e la prassi amministrativa hanno evidenziato essere fondamentali per questa tipologia contrattuale. Questo intervento liberalizza lo strumento dei contratti di collaborazione creando una zona grigia non auspicabile. Probabilmente un intervento motivato dalla difficoltà di reperimento del personale, anche a causa della dinamica demografica.

Una falsa risposta al lamentato mismatch di competenze, una scorciatoia alla necessità di intervenire seriamente sulla crescita di competenze delle platee di disoccupati e inattivi per il loro efficace inserimento nel mercato del lavoro.

L'Articolo 2 ai commi 1, 2 e 3 provvede a introdurre una serie di modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di contratti di lavoro a tempo determinato.

Con i commi 1 e 2, si provvede a modificare, rispettivamente, l'articolo 19 e l'articolo 21 del già menzionato decreto legislativo n. 81 del 2015, riferiti alle proroghe e ai rinnovi dei contratti a tempo determinato. In particolare, le modifiche proposte consentono di stipulare con lo stesso soggetto

contratti a termine senza causale fino a un massimo di 24 mesi, anziché 12 mesi, per l'espletamento

delle medesime mansioni, raggiungibili attraverso un numero massimo di 6 proroghe ed eventuali 4 rinnovi intervallati da periodi di pausa. Con il comma 3 si riducono a 120 giorni i termini per l’impugnazione del contratto a tempo determinato.

Commento

Con tutta evidenza non si è in presenza di una semplificazione ma di una piena liberalizzazione nell’utilizzo dei contratti a termine, con la estensione per l’intero periodo dei 24 mesi del regime di a causalità. Prorogabile per ulteriori 12 mesi con un accordo sindacale non prevedendo più la sottoscrizione dell’ulteriore contratto nella cosiddetta sede “protetta”. Si permette il ricorso al contratto a tempo determinato in assenza di causale per l’intera durata massima del rapporto di lavoro a termine ampliato di ulteriori 12 mesi. Non accettabile la riduzione a 120 giorni, dagli attuali 180, per l’impugnativa del contratto a tempo determinato con l’obiettivo dichiarato di rendere più complessa l’attivazione del contenzioso.

Ai commi 4 e 5 il disegno di legge in esame, oltre ad intervenire sulla disciplina del lavoro a tempo determinato che trova applicazione in alcune parti anche per la somministrazione a termine, propone alcune rilevanti modifiche anche alla disciplina specifica della somministrazione di lavoro (art. 30-40 d.lgs. 81/2015).

Si riscrive l’art. 31, comma 2, d.lgs. 81/2015, prevedendo una specifica percentuale di contingentamento massima del 20% del numero dei lavoratori somministrati con contratto di somministrazione a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato assunti dall’utilizzatore, senza tuttavia ridurre le possibilità di esenzioni dai limiti percentuali per percettori indennità di disoccupazione e ammortizzatori sociali, lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati.

La vigente disposizione dell’art. 31, comma 2, d.lgs. 81/2015 prevede una percentuale complessiva del 30% sia per i contratti a termine che per la somministrazione. Risultato che la somma delle due percentuali risulterebbe aumentata avendo distinto i due ambiti e superando il criterio della

sommatoria per il ricorso alle due fattispecie a termine.

Si modifica l’art. 34, comma 2, d.lgs. 81/2015 riferito alla disciplina dei rapporti di lavoro in caso di assunzione a tempo determinato del lavoratore in somministrazione. Sono previste ulteriori esclusioni della disciplina del lavoro a termine, oltre a quelle già vigenti sulle pause tra un contratto e l’altro, limiti quantitativi e diritti di precedenza.

Si esclude esplicitamente l’applicazione dell’art. 19, comma 1, come potenzialmente modificato che elimina le causali di apposizione del termine e la durata massima di 24 mesi che dunque non si applicherebbe alla somministrazione a termine. Rimarrebbe esclusa la disciplina sulla successione

dei contratti (art. 19, comma 2) e la anche la “nuova” disciplina prevista con l’art. 21, comma 1-bis, sulla limitazione del numero di rinnovi possibili di un contratto a termine (quattro) nel rispetto della durata complessiva di 24 mesi.

Commento

Sganciando la somministrazione dalla disciplina del contratto a termine la si rende pressoché incontrollabile. Con le esclusioni previste dalla norma in esame si supera il limite di durata dei 24 mesi e il criterio della sommatoria tra le due fattispecie contrattuali, contratto e termine e somministrazione, incrementando i tetti massimi di utilizzo di lavoro temporaneo. Con l’effetto di precarizzare ulteriormente i rapporti di lavoro.

L'Articolo 3 reca una modifica all'articolo 2103 del Codice civile, con la introduzione della totale libertà in accordo tra le parti di riduzione dei cosiddetti superminimi.

Commento

Con la proposta legislativa si supera il principio, affermato anche dalla giurisprudenza, della irriducibilità della retribuzione che è comprensiva dei cosiddetti superminimi. Si esprime un giudizio negativo per la lesione di un diritto non comprimibile.

L’Articolo 4, reca modifiche al decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, in materia di informazione dei lavoratori superando alcune delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 104 del 2022.

Commento

Va garantita la corretta informazione del lavoratore e la concreta possibilità di accesso alle stesse.

Il rinvio alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrativi, ai contratti collettivi nazionali e ove presenti a quelli aziendali non deve avere carattere di alternatività agli obblighi diretti d’informazione che devono restare in capo all’azienda.

L'Articolo 5 reca modifiche al decreto legislativo n. 104 del 2022 in materia di periodo di prova nel contratto a tempo determinato, specificando che nei rapporti di lavoro a tempo determinato di durata pari o superiore a 12 mesi, è stabilito un periodo di prova pari a quello previsto dai CCNL di settore

per i contratti a tempo indeterminato.

Commento

Esiste già una ipotesi di rimodulazione del periodo di prova in caso di contratti a tempo determinato in misura proporzionale alla durata del contratto stesso nel disegno di legge n.153-bis – cosiddetto collegato lavoro – attualmente all’esame della Commissione Lavoro della Camera dei deputati.

L'Articolo 6 provvede a modificare la legge 22 maggio 2017, n. 81, in materia di lavoro agile. Con la proposta legislativa si provvede all’integrale sostituzione del comma 1 della legge n. 81 del 2017.

Si intende agire sia relativamente al punto dell’alternatività tra attività in sede e da remoto che in relazione ai rapporti di lavoro a tempo parziale.

Commento

Sul tema del lavoro agile si evidenzia la necessità di non operare attraverso previsioni di carattere legislativo, in considerazione del fatto che lo strumento principe d’intervento per il suo più efficace utilizzo è il ricorso alla contrattazione collettiva. Nei contratti collettivi nazionali e nella contrattazione aziendale si è provveduto a normare il ricorso all’istituto del lavoro agile per la necessaria correlazione tra la dimensione di scelta del personale e le specifiche organizzative. I limiti nell’accesso a tale modalità di resa della prestazione lavorativa consistono ancora nel modello d’impresa, nella dimensione aziendale, nei mancati investimenti nella tecnologia e nell’adeguamento dei modelli organizzativi e non certo nella insufficienza della norma. L’intervento normativo proposto renderebbe, inoltre, più rigido l’accesso al lavoro agile determinando il possibile vincolo alla prestazione solo da remoto. Si esprime inoltre un giudizio di criticità e non condivisione relativamente alla specifica sul part-time, nel lavoro agile il principio cardine è la flessibilità nella collocazione della prestazione lavorativa. La norma in vigore già specifica il rispetto dei limiti di durata massima

dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Con l’Articolo 7 vengono introdotte alcune modifiche al Testo unico delle imposte sui redditi:

  •  con la lettera a) viene modificato il comma 1 dell'articolo 51 del TUIR, incidendo sul termine del cosiddetto «principio di cassa allargato;
  •  con la lettera b), numero 1), del comma 1, vengono apportate modifiche all'articolo 51 del TUIR in riferimento ai buoni pasto elettronici;
  • sempre la medesima lettera b), ai numeri 2), 3) e 4), apportano modifiche al medesimo articolo 51 del TUIR, in riferimento ad alcune misure di welfare aziendale, aggiungendo nuove ipotesi a quelle già previste nell'articolo 51, comma 2.
  • con le lettere b), c) e d) del comma 1, vengono modificati gli importi dei fringe benefit e delle indennità di trasferta.

Commento

Con le proposte legislative in esame si intende estendere la deducibilità, la non imponibilità e l’applicazione di regimi separati dall’IRPEF per talune fonti di reddito in capo ai lavoratori dipendenti.

Fermo restando il nostro giudizio in merito all’erosione dell’IRPEF, unica imposta onnicomprensiva del nostro ordinamento per la quale la CGIL chiede invece un raggio d’azione più ampio, che includa ad esempio le rendite e i redditi da lavoro autonomo attualmente in flat tax, sulle proposte in esame avanziamo le seguenti considerazioni:

In tema dell’articolo 7, può essere ragionevole attualizzare i fringe benefit i cui limiti esenti ex art. 51 del TUIR assai sintomaticamente sono espressi in lire, anche attraverso un adeguamento degli importi.

Diverso è il tema dell’estensione del paniere del welfare aziendale, che riteniamo già sufficientemente nutrito e che probabilmente andrebbe ridefinito in maniera più organica e

sistematica, non attraverso singoli interventi, anche in considerazione dell’evoluzione che è intervenuta nella definizione dei piani di welfare.

L’Articolo 8 prevede una deroga per gli anni 2023 e 2024 a quanto stabilito all'articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.135, per gli incarichi in favore di lavoratori titolari di pensione, ovvero ai lavoratori che abbiano raggiunto il diritto e sono prossimi al collocamento in quiescenza. Di fatto di tratta di una sterilizzazione della norma cosiddetta “legge Madia”, per consentire ai pensionati o coloro che hanno raggiunto il diritto, di poter a seguito di incarichi di consulenza e dirigenziali in enti, società e fondazioni partecipate dalla pubblica amministrazione, di poter essere retribuiti regolarmente.

Commento

Evidente che si tratta di una norma ad hoc che si vuole introdurre per poter garantire situazioni specifiche, che rischia invece di non determinare alcun turnover nelle pubbliche amministrazioni, enti, società, fondazioni o amministrazioni, soprattutto in posizioni apicali, superando di fatto le ragioni legittime che avevano giustificato la definizione dell’attuale quadro legislativo.

L’Articolo 9 reca norme in materia di premi di produttività, limitatamente agli anni 2023, 2024 e 2025 con la esclusione dei vincoli di incrementalità dei parametri di produttività, reddività, qualità, efficienza e innovazione per l’accesso ai premi di risultato.

Commento

Far decadere il vincolo di incrementalità dei parametri per accedere all’aliquota IRPEF di vantaggio rischia, seppure il punto segnalato abbia la sua oggettività anche in considerazione del ciclo economico e della transitorietà dell’intervento, di snaturare un provvedimento che già ora presenta alcune criticità dal punto di vista della razionalità del prelievo fiscale. L’obiettivo di incremento dei salari ha necessità di essere perseguito anche attraverso specifiche azioni di sostegno alla contrattazione e non intervenendo in maniera sporadica sulla regolazione del tema della produttività per i molteplici aspetti di complessità che presenta. Questo anche in considerazione della non espansione degli accordi di produttività che continuano a riguardare porzioni settoriali e territoriali definite.

All’Articolo 10 la proposta legislativa interviene sulla disciplina della conciliazione in caso di licenziamento. Oltre a integrare gli strumenti di pagamento si modificano i termini entro i quali il datore di lavoro può attivare la proposta conciliativa. La precedente prevedeva che tale termine fosse quello della impugnazione stragiudiziale, la proposta in esame introduce come termine quello relativo all’impugnazione giudiziale con il vincolo che il lavoratore non abbia provveduto al deposito del ricorso.

Commento

Nei fatti si allungano i termini entro i quali il datore di lavoro può attivare l’offerta conciliativa.

All’Articolo 11 si stabilisce che la mera irregolarità formale correlata a errori commessi nella presentazione della denuncia contributiva non può comportare la revoca o il mancato rilascio del Durc. Non possono, altresì, comportare la revoca o il mancato rilascio del Durc scostamenti tra le

somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascuna gestione nella quale l'omissione si è determinata, che risultino pari o inferiore al 3%, comprensivi di eventuali accessori di legge, con un limite minimo di euro 150,00 e un limite massimo di euro 10.000,00.

Commento

Si esprime un giudizio negativo. Ancora una volta si decide di aiutare aziende che non hanno posizioni contributive regolari, con l’evidente indirizzo di non garantire le aziende “virtuose” e regolari, che sono quelle da tutelare maggiormente. Uno scostamento tra somme dovute e versate determina – nei fatti – un mancato rispetto degli obblighi contributivi che si realizza con il mancato versamento dell’intera contribuzione come specificato nell’articolo 4 comma 1 del DL 34 / 2014 (la

regolarità contributiva nei confronti dell'INPS, dell'INAIL e, per le imprese tenute ad applicare i contratti del settore dell'edilizia, nei confronti delle Casse edili).

Con l'Articolo 12 vengono introdotte alcune modifiche al decreto legislativo 14 settembre 2015, n.151, in materia di dimissioni volontarie e risoluzione consensuale. In particolare: - con la lettera a) viene modificato il comma 1 dell'articolo 26, a fronte della proposta di semplificazioni in materia di modalità di dimissioni del lavoratore padre e della lavoratrice madre contenuta nel successivo articolo 16, a cui si rimanda anche per la relazione illustrativa; - con la lettera b) viene aggiunto all'articolo 26 il comma 7-bis, escludendo dall'obbligo di presentare le dimissioni con modalità telematiche (di cui ai commi da 1 a 4) le cosiddette dimissioni per facta concludentia, ossia rassegnate, di fatto, dai lavoratori che restino assenti senza giustificazione dal posto lavoro per almeno 20 giorno consecutivi. Alla luce della proposta di modifica tali dimissioni saranno da considerarsi come dimissioni ordinarie e non per giusta causa (in totale assenza di una comunicazione del lavoratore in tal senso) e, dunque, non faranno sorgere alcun obbligo in capo all'azienda di pagamento del cosiddetto «ticket Naspi», e di conseguenza alcun diritto del dipendente alla percezione della Naspi (Nuova assicurazione sociale per l'impiego).

Commento

La procedura per le dimissioni di madri e padri non è un semplice appesantimento burocratico. Il passaggio di convalida all’INL serve a monitorare la reale volontà e gli impedimenti oggettivi alla prosecuzione del rapporto di lavoro, per monitorare un fenomeno inaccettabile e molto frequente in Italia dell’abbandono del lavoro dopo la nascita di figli.

Si evidenzia che tale procedura era stata introdotta per contrastare il fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco per quanto ha inciso, e incide, il tema della maternità sulla componente femminile del mercato del lavoro.

Sulle dimissioni per facta concludentia abbiamo già espresso la nostra opinione nel commento all’articolo simile presente nel Collegato lavoro (DDL 1532-bis) che viene integralmente riproposto nel paragrafo seguente.

“Le parti datoriali lamentano fenomeni di inadempimenti contrattuali da parte dei lavoratori, sul cui significativo rilievo non esistono dati certi, a cui la norma intende dare risposta. L’intervento proposto si muove in contrasto con quanto definito dalla Contrattazione Collettiva che ha normato l’assenza ingiustificata che legittima il licenziamento con preavviso, in alcuni casi, o concretizza la giusta causa di recesso in altri. Gli atti parlamentari attribuiscono alla norma il potere di riequilibrare in concreto le posizioni dei contraenti in tutti i casi in cui il lavoratore “effettivamente manifesta la propria intenzione di risolvere il rapporto di lavoro, ma non adempie le formalità prescritte dalla legge”.

L’articolo introdotto non rende affatto manifesta l’intenzione del lavoratore ma attribuisce, senza alcun fondamento, una interpretazione autentica ad un comportamento, in contrasto con i più recenti orientamenti della stessa Corte di Cassazione con la sentenza n. 27331/2023 con la quale si esclude “ogni margine di valutazione circa gli effetti scaturenti da condotte, o intenzioni palesate, fattualmente dal prestatore di lavoro”. Riteniamo quindi inaccettabile il potere di recesso che la norma attribuisce alla parte datoriale così come definita, senza i tempi e le procedure necessari al reale accertamento della volontà del lavoratore assente; questo potrebbe portare ad un uso strumentalizzato della nuova disposizione, a potenziale discapito dei soggetti più vulnerabili per poca padronanza della lingua o scarsa consapevolezza delle norme contrattuali. Il datore di lavoro può già ampiamente esercitare il proprio potere discrezionale, sospendendo il lavoratore assente senza giustificazione per il periodo previsto dal CCNL di riferimento, avviando la procedura di contestazione disciplinare prevista, allo scopo di attivare tutte le iniziative utili ad accertare, senza ombra di dubbio e senza alcuna coercizione, la reale volontà del lavoratore.”

All’Articolo 13 si prevede che in caso di omissione contributiva si prevede la riduzione della misura minima della sanzione da euro 10.000 a euro 5.000 e, al contempo, l'aumento della misura massima da euro 50.000 a euro 100.000, al fine di realizzare un effetto maggiormente dissuasivo delle omissioni più consistenti. Si inserisce anche un limite massimo della stessa in proporzione all'ammontare dell'omissione, pari a dieci volte, vale a dire il rapporto esistente tra l'omissione massima a cui trova applicazione la sanzione amministrativa e la misura massima determinata della sanzione stessa.

Commento

Non esistono evidenze particolari che possono sostenere la bontà di questa norma, ma, aver alzato la sanzione per gli importi più consistenti da 50.000 a 100.000 potrebbe determinare un effetto dissuasivo.

L'Articolo 14 reca alcune modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di sospensione dell'attività. In primo luogo, di interviene sui presupposti della suddetta sospensione, modificati dal decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, il quale aveva esteso la sospensione dell'attività ai casi di gravi violazioni in materia di tutela della sicurezza e della salute.

In seconda istanza l'articolo 14 reca alcune modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di ricorsi avverso la sospensione dell'attività.

Commento

Si è di fronte all’ennesimo tentativo di smontaggio delle positive modifiche relative alla possibilità di sospensione dell’attività dell’impresa finalmente approvate, dopo lunga gestazione, nella Legge 215 del 2021.

In particolare, si cerca di tornare indietro nella individuazione certa degli accadimenti contenuta nell’Allegato 1 del provvedimento, sulla quale si trovò un equilibrio dopo molte discussioni e superando l’aperta ostilità da parte delle imprese.

Ciò farebbe tornare la situazione ex ante, con una eccessiva discrezionalità dei servizi di vigilanza e possibili disparità di trattamento fra settori merceologici.

In seconda battuta, la diminuzione del termine perentorio dei 30 gg farebbe mancare l’effetto deterrente che la sanzione rappresenta, spingendo i datori scorretti a cercare di rischiare comunque una sanzione.

È una proposta normativa grave e pericolosa.

Con l’Articolo 15 si modifica il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, in materia di deducibilità dei contributi alla previdenza complementare. In particolare, si prevede il superamento dell’attuale limite di deducibilità di 5.164,57 euro.

Commento

Si interviene sulla previdenza, senza considerare le reali necessità all’interno del nostro sistema, addirittura ipotizzando questa norma utile per contrastare il collasso del nostro sistema pubblico.

Anziché intervenire attraverso il sostegno per coloro che hanno bassi salari e che difficilmente riescono a iscriversi alla previdenza complementare, si decide di intervenire spostando risorse pubbliche prevalentemente per coloro che hanno retribuzioni alte e che quindi raggiungono facilmente il tetto dei 5.164,57 euro previsto. Si finisce per distorcere la finalità dello strumento della previdenza complementare. È nostro obiettivo da sempre sostenere la previdenza complementare, per questo riteniamo assolutamente importante e necessario trovare meccanismi di adesione incentivanti all’iscrizione per quei soggetti più fragili all’interno del mercato del lavoro, come giovani e donne.

L'Articolo 16 reca alcune modifiche al testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2011, n. 151, prevedendo semplificazioni in materia di modalità di dimissioni del lavoratore padre e della lavoratrice madre. La prevista convalida delle dimissioni dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali viene definita nella relazione illustrativa o un “appesantimento burocratico sia per gli uffici che per i lavoratori che devono recarsi fisicamente negli uffici preposti”.

Commento

Si tratta di una norma assolutamente sbagliata e pericolosa che potrebbe determinare ancora una volta un aumento delle dimissioni in bianco, fenomeno purtroppo ancora molto presente nel nostro mercato del lavoro.Anziché proporre norme di maggiore tutela si decide di agevolare comportamenti scorretti, che invece dovrebbero essere contrastati con un maggior impegno.