La CGIL è impegnata per:

  • Sanare i limiti che persistono sull’iter della certificazione di genere
  • Predisporre piani di formazione per le RSU/RSA su divario retributivo, conciliazione, contrattazione orari/flessibilità e inquadramenti, per l’acquisizione di competenze sulla contrattazione aziendale/ territoriale;
  • Valorizzare la professionalità delle lavoratrici;
  • Intervenire sulla costruzione degli indici per la produttività escludendo i fattori discriminanti (ad esempio legati alla sola presenza) e valorizzando modelli organizzativi che consentano percorsi di carriera alle donne;
  • Sostenere e verificare l’intervento della bilateralità a sostegno della parità di genere e della genitorialità;
  • Valutare una percentuale obbligatoria della presenza femminile nei livelli intermedi e apicali delle aziende;
  • Contrattare l’organizzazione del lavoro, affinché la flessibilità oraria, la programmazione di medio e lungo termine degli orari, il lavoro agile siano strumenti che possano favorire un riequilibrio fra tempi di vita e tempi di lavoro e la condivisione del lavoro di cura, anziché strumenti che determinano la segregazione delle lavoratrici dal contesto lavorativo con particolare attenzione verso il rischio di scivolamento da lavoro agile, Smart Working, a telelavoro, salvaguardando progressività di carriere, riconoscimenti professionali, volontarietà e reversibilità.
  • Contrattare effettivamente il welfare aziendale “nobile” non facendosi guidare dal TUIR. Particolare attenzione dovrà essere posta al rapporto tra il welfare territoriale e il welfare contrattuale, favorendo una gestione più appropriata di quest’ultimo, orientata ad un rapporto sempre più stretto con la rete dei servizi pubblici territoriali, da esercitare nella dimensione sinergica e integrativa al servizio universale e con una funzione di sostegno al welfare pubblico e quindi solidaristica rispetto alla comunità. In particolare vanno estese le convenzioni con gli erogatori di servizi pubblici, siano essi di carattere sociale, sanitario, culturale, aggregativo o di mobilità, evitando, per quanto possibile, che le misure di defiscalizzazione e decontribuzione destinate a tali prestazioni vengano dirottate a favore del privato e verso prestazioni non propriamente di welfare.

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