Oggi il fiume che dobbiamo attraversare è l’emergenza sanitaria ed economica determinata dalla pandemia da Coronavirus. Questo passaggio impetuoso della nostra storia porterà nel mondo effetti ad oggi ancora imponderabili per estensione e profondità. Sappiamo con evidenza che attraverseremo una fase di crisi economica e recessione profonda, che gli effetti sugli assetti economici e produttivi saranno pesanti e che alla crisi economica si potrebbe accompagnare una pesante crisi sociale. Non sappiamo però né quanto sarà pesante l’impatto né per quanto tempo dovremmo affrontare tutto ciò. Un elemento di scenario che non possiamo sottovalutare è il cambiamento delle abitudini e degli stili di vita quale effetto della pandemia. Cosa rimarrà e per quanto tempo del distanziamento sociale, della mobilità ridotta. E ancora, come si è modificata la scala di valori nella percezione delle persone sicuramente a partire dalla centralità del sistema sanitario nazionale e il valore delle reti pubbliche quali presidi fondamentali di cittadinanza, piuttosto che dalla necessità di una profonda revisione degli assetti istituzionali a partire dal ruolo delle regioni attraverso una lettura critica degli esiti della riforma del Titolo V della Costituzione, oltre che da una necessaria ridefinizione dei livelli e rapporti di sussidiarietà tra istituzioni, avendo a riferimento le finalità di universalismo, di garanzia e di certezza dei diritti contenuti nella Costituzione. Una rivoluzione delle priorità, nel senso proprio del termine, come cambiamento collettivo del punto di vista, con una forte centralità della persona e dei suoi bisogni primari e del territorio e dell’ambiente. L’altra faccia di questo cambiamento è rappresentato dalla perdita di solidità dei punti di riferimento.

Il virus ha avuto come effetto la crescita dell’incertezza verso il futuro e la paura. Paura per la salute, ma anche paura di perdere il proprio lavoro. È a questa paura che si deve rispondere. Ciò significa che, a differenza del passato, occorrerà che gli interventi straordinari che si stanno mettendo in campo abbiano come priorità la tutela del lavoro oltre che la tutela della salute: non si può usare la pandemia per mettere in discussione i diritti nel lavoro, non si può usare la pandemia per arretrare sul versante dei diritti. Anzi al contrario si deve qualificare il lavoro, abbattere la precarietà, definire nuove regole per contrastare la competizione svalutativa del lavoro.

È il lavoro il grande tema di questa fase e per questo ci attendiamo risposte all’altezza dei problemi: non parole vuote ma fatti concreti. Anche nel lavoro la pandemia lascerà profondi cambiamenti: l’utilizzo massiccio della tecnologia digitale, il distanziamento sociale imposto dalle misure di contenimento, la necessità ancora maggiore di determinare condizioni massime di sicurezza nei luoghi di lavoro, gli effetti economici che cambieranno il sistema produttivo anche con la nascita di nuovi bisogni oltre che con il perire di altri. A questo cambiamento delle condizioni non si può rispondere con l’armamentario noto di chi ha come unico obiettivo lo scaricare, sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici, le conseguenze di tutto ciò. Servono risposte nuove, inedite e coraggiose per non lasciare nessuno indietro a partire da una valutazione seria sulla possibilità di una riduzione generalizzata degli orari e del tempo di lavoro, a parità di salario, finalizzando la redistribuzione dell’orario a favore dell’occupazione e della sua qualità. 

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