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Roma, 17 marzo – “Abbiamo apprezzato la premessa del Ministro sulla necessità di accompagnare le scelte del Pnrr ad intese con le forze sociali in tema di diritti sociali, analogamente a quanto fatto con il precedente Governo in riferimento alle opere soggette a commissariamento. Ovviamente chiederemo il rispetto delle norme del codice degli appalti insieme alla riduzione e alla qualificazione delle stazioni appaltanti e alla assunzione di tecnici, al centro e in periferia, per potenziare e qualificare le strutture tecniche a supporto delle amministrazioni pubbliche. Al tempo stesso servono interventi e pianificazione sulle infrastrutture per la mobilità sostenibile, sull’alta velocità e la manutenzione stradale, sull’intermodalità e la logistica integrata, ma soprattutto chiediamo una politica industriale per i trasporti, assolutamente assente nel Pnrr”. È quanto ha evidenziato la Cgil in occasione della riunione odierna con il ministro Giovannini sul Recovery Plan nei trasporti, cui hanno partecipato il segretario confederale Emilio Miceli, Filt, Fiom e Filcams.
“Per dare piena valorizzazione strutturale agli investimenti previsti nel Piano – ha spiegato la Cgil – occorre una maggiore integrazione tra infrastrutture e trasporti, secondo una visione di sistema che ad oggi è assente. C’è quindi la necessità di intervenire con un serio piano di riforme di settore di medio termine che accompagnino gli investimenti, incrementando l’impatto sul Pil e che rendano maggiormente competitivo il Paese”.
“Il sistema dei trasporti – si sottolinea – è responsabile del 25% delle emissioni ed è quindi necessario concentrare attenzione e sforzi sia nel rinnovamento del parco pubblico, che nella produzione italiana di bus, soprattutto elettrici, nel contenimento delle emissioni dei mezzi pesanti orientandosi all’uso di tutti i carburanti alternativi disponibili insieme alla elettrificazione”.
Per la Confederazione “la scelta di confermare il sistema ferroviario come centrale nella politica dei trasporti è giusta, come quella di ‘correggere’ i ritardi infrastrutturali nel Mezzogiorno”. Mentre “appare debole l’idea di ridurre a Genova e Trieste la ricchezza del sistema portuale del paese. L’Italia non ha grandi porti, ma un ricco ‘sistema portuale’”.
Sono tre gli assi fondamentali su cui agire. “In primo luogo serve una visione industriale del settore con il superamento del nanismo aziendale e della bassa patrimonializzazione delle imprese come direttrice di fondo, inoltre serve costruire player nazionali che possano competere in ambito europeo. Infine – si aggiunge – chiediamo la valorizzazione del lavoro per impedire opacità ed effetti distorsivi della concorrenza, anche attraverso un legame stretto tra il regime concessorio o autorizzativo all’uso di una infrastruttura e l’applicazione del contratto nazionale di settore, sul modello del sistema portuale”. Perché “un settore che cresce di valore non può essere dominato da incertezza e precarietà del lavoro”.