Di seguito riportiamo il testo della memoria CGIL consegnata in occasione dell'audizione informale presso l'XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato Camera dei Deputati nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 141 Fratoianni, C. 210 Serracchiani, C. 216 Laus, C. 306 Conte e C. 432 Orlando, recanti disposizioni in materia di giusta retribuzione e salario minimo.


Elementi di contesto
Nella descrizione degli elementi di contesto occorre principalmente fare riferimento al fatto che lo scorso 19 ottobre 2022 nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea è stata pubblicata la DIRETTIVA (UE) 2022/2041 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea che dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 15 novembre 2024 come previsto dall’Articolo 17.
Lo schema di Direttiva, conformemente al trattato di funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e al trattato sull’Unione Europea (TUE) che ne costituiscono la base giuridica, come più volte è stato evidenziato e considerata l’articolazione degli schemi delle prassi e delle norme sulla definizione dei salari, prevede una possibile articolazione d’interventi per raggiungere l’obiettivo dell’adeguatezza dei salari.

Partendo dal presupposto, come evidenziato dall’articolo 1, che occorre determinare una convergenza sociale verso l’alto e la riduzione delle disuguaglianze retributive. Con la consapevolezza che il tema del lavoro povero ha determinanti relative non solo al salario nominale ma ad un complesso di fattori come il numero delle ore lavorate, il part-time cosiddetto involontario, l’incidenza di rapporti di lavoro di breve e brevissima durata, il lavoro sommerso.

Nello stesso articolo 1 si evidenzia che conformemente all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, la presente Direttiva fa salva la competenza degli Stati Membri di fissare il livello dei salari minimi, nonché la scelta degli Stati Membri di fissare salari minimi legali, di promuovere l’accesso alla tutela garantita dal salario minimo prevista nei contratti collettivi o entrambi.

A tale complessa articolazione corrisponde la diversità di regolazione prevista nei diversi Stati Membri.

Anche in considerazione di tale percorso è aperta un’ampia riflessione e un dibattito sul tema del salario che ha caratterizzato anche l’iniziativa del Parlamento nella XVIII Legislatura e che oggi vede diverse proposte di legge oggetto di esame nei lavori della presente Commissione.

La situazione italiana nel rapporto con le previsioni della Direttiva
Nella Documentazione per l’esame dei Progetti di legge predisposta dal Servizio Studi della Camera dei Deputati si evidenzia che il tasso di copertura della contrattazione collettiva in Italia in una statistica del 2019 a cura dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro era pari al 99 per cento.

Questo poiché è evidente che il sistema della contrattazione collettiva nel nostro Paese interessa ogni ambito di attività e non sussiste settore che possa considerarsi scoperto e non oggetto di regolazione attraverso la contrattazione.

Seppure il dato sulla copertura risulti abbondantemente superiore a quanto previsto dalla Direttiva - soglia dell’ 80% per l’attivazione di un piano di azione - il suo recepimento costituisce un’opportunità sia per l’azione del Governo che per l’iniziativa parlamentare.

La contrattazione collettiva e la rappresentanza
L’archivio del CNEL, la dotazione del codice alfanumerico unico INPS-CNEL, l’obbligo di utilizzo da parte delle aziende nelle comunicazioni con la P.A., la rilevazione sull’applicazione dei contratti collettivi per numero di aziende e per numero di addetti articolati per settori e macro-settori di attività, restituiscono un quadro della contrattazione collettiva nel nostro Paese.

Chiaramente non in termini di efficacia e di valutazione ma della sua diffusione e dei problemi presenti a partire dalla proliferazione dei contratti collettivi e dalla frammentazione, aspetti che in questi ultimi anni hanno assunto una dimensione macroscopica.

La scissione tra la dimensione della rappresentanza e la titolarità alla sottoscrizione di contratti collettivi è origine e causa di tale fenomeno.

Dall’analisi dell’archivio del CNEL al 22 dicembre 2022 risultano censiti, per il settore privato, 959 contratti collettivi di cui 211 – il 22 % - sottoscritti da CGIL CISL UIL e 748 – il 78 % - firmati da altre Organizzazioni Sindacali. Il 2022 ha visto il deposito di ulteriori 38 nuovi CCNL, di cui 37 sottoscritti da altre Organizzazioni Sindacali.

In merito alla copertura l’analisi su 894 CCNL evidenzia che i 207 (23,2%) sottoscritti da CGIL CISL UIL coprono 13.366.176 lavoratori (96,6 %), i 687 (76,8 %) firmati dalle altre Organizzazioni Sindacali sono applicati a 474.755 lavoratori (3,4 %).

La proliferazione contrattuale determinata da soggetti non rappresentativi – nonostante la bassissima copertura - determina una spinta verso il basso delle condizioni economiche e normative; la sovrapposizione di più contratti collettivi sullo stesso ambito di attività determina la difficoltà anche in sede rimediale d’individuare quale livello salariale applicare; un orientamento prevalente della giurisprudenza di considerare i minimi tabellari escludendo gli altri aspetti che compongono la retribuzione, ha determinato nei casi di contenzioso anche l’applicazione di contratti collettivi che agiscono attraverso il dumping contrattuale. Il motivo per cui vengono definiti contratti pirata è esattamente per il fatto che lasciano pressoché invariata la paga oraria e agiscono sugli altri istituti salariali.

Per questa ragione ogni ragionamento sul tema del salario e della contrattazione ha necessità di ancorarsi al tema della rappresentanza.

Occorre una legge per la verifica della rappresentanza e della rappresentatività delle Organizzazione Sindacali ai fini della contrattazione collettiva per dare efficacia generale (erga omnes), attuando così l’articolo 39 della Costituzione.

La CGIL nel 2015 ha presentato un disegno di legge d’iniziativa popolare, che ha raccolto oltre 1.500.000 di firme: la Carta dei Diritti Universali del Lavoro che contiene anche le proposte in ordine alla rappresentanza e all’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione.
In ogni caso anche in attesa della legge sulla rappresentanza è possibile individuare i contratti dei diversi settori stipulati dalle Organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale attraverso le banche dati CNEL e INPS che già hanno a disposizione questi dati relativi ai lavoratori ed aziende coinvolte e alla presenza sul territorio nazionale. Inoltre, dando attuazione al Testo Unico del gennaio 2014 è in corso la misurazione della rappresentanza per i contratti nazionali stipulati da CGIL, CISL, UIL per gli ambiti Confindustria e Confservizi sulla base del numero degli iscritti a tutti i sindacati e al voto per l’elezione delle RSU.

La determinazione del salario
La Costituzione all’articolo 36 prevede che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Nel rapporto ISTAT sui contratti collettivi e retribuzioni contrattuali dell’aprile 2022 viene definita la retribuzione contrattuale, presa in riferimento per l’indagine, tenendo conto di tutti gli “elementi retributivi aventi carattere generale e continuativo: paga base, indennità di contingenza, importi per aumenti periodici di anzianità, indennità di turno ed altri indennità di carattere generale, mensilità aggiuntive e altre erogazioni corrisposte regolarmente in specifici periodi dell’anno”.

Questa definizione rende evidente i limiti con cui la giurisprudenza agisce in mancanza di regole; è però importante sottolineare che esistono esempi importanti in cui si è riconosciuto valore legale al trattamento economico previsto dalla contrattazione, in linea a quanto previsto dal rapporto ISTAT.

E’ il caso dei soci lavoratori di cooperativa con quanto previsto dall’articolo 7 comma 4 del decreto legge 31 dicembre 2007 n. 248 che prevede “che in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale della categoria”. La legittimità di tale norma è stata anche sancita dalla sentenza n. 51 anno 2015 della Corte Costituzionale.

Esiste una norma analoga per i lavoratori del terzo settore (art. 16 comma 1 DL n. 117 del 2017) e per il trasporto aereo (art. 203 Legge 77 del 2020). In ognuno di questi esempi il riferimento è l’intera retribuzione spettante. Questo naturalmente per evitare dumping salariale fra le imprese dello stesso settore, a protezione di chi si comporta nel modo corretto.

Inoltre, per l’accreditamento della contribuzione si afferma, nell’articolo 1 comma 1 del decreto legge 9 ottobre 1989 n. 338, che “la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione
di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.

Tale previsione legislativa è stata ulteriormente perfezionata con quanto previsto dall’articolo 25 della legge 28 dicembre 1995, n.549 con la specifica seguente: “Nel caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria”.

Quindi, la via da percorrere per la nostra Organizzazione è dare valore erga omnes ai contratti collettivi firmati dalle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nei diversi settori estendendo così i diritti sia della parte salariale, cioè il complesso del trattamento economico, che di quella normativa.

Contestualmente va prevista una soglia di legge sotto la quale il salario non può scendere. La soglia dovrà essere necessariamente unica per tutti i settori e le tipologie di rapporto di lavoro e rispondere ai criteri previsti dalla Direttiva europea relativamente al ruolo dei diversi soggetti delle istituzioni e delle parti sociali per la sua definizione e per la sua rivalutazione periodica.

Tale soglia assume il carattere di salvaguardia per il trattamento minimo per la contrattazione collettiva, anche nel caso dei mancati rinnovi del CCNL, e di salario minimo per le tipologie di lavoro non comprese nell’ambito di applicazione dei contratti.

Nello specifico per le tipologie di lavoro non incluse nella contrattazione collettiva come per il lavoro autonomo il salario minimo così definito ha l’obiettivo di agganciare i minimi previsti dalla contrattazione collettiva per analoghe professionalità e in relazione alla definizione dell’equo compenso.

Non mancano anche qua elementi già introdotti nel nostro ordinamento come per le collaborazioni etero-organizzate (art. 2 comma 1 decreto legislativo n. 81/2015) per le prerogative affidate alla contrattazione collettiva e in ultimo per il lavoro autonomo (art. 47 quater decreto legislativo n.81/2015) seppure limitato alla consegna di beni per conto altrui anche attraverso piattaforme digitali.

Per il lavoro autonomo occorre ragionare nei termini di riconoscimento del costo del lavoro considerati i maggiori costi sostenuti per gli oneri assicurativi.

La nostra proposta per salario minimo è di rendere complementari la funzione della contrattazione collettiva, con riferimento ai contratti maggiormente applicati nei diversi settori e la definizione di una soglia per legge.

Penalizzazioni in caso di mancato rinnovo dei contratti
Tra le problematiche presenti nel campo della contrattazione collettiva assume particolare criticità il tema della tempistica dei rinnovi contrattuali.
ISTAT stima oggi in 24,8 mesi il tempo medio di rinnovo dei contratti, dato risultante dall’analisi svolta sul campione di 73 contratti collettivi.

Di recente un report della nostra Organizzazione sullo stato della contrattazione collettiva ha calcolato in 23,8 mesi il tempo medio di rinnovo dei contratti collettivi.

Di norma nei settori industriali si rinnovano nella tempistica propria di un confronto negoziale, in un tempo che potremo definire frizionale (in media 12/18 mesi). Altri settori hanno avuto vacanze contrattuali per oltre 70 mesi e sono presenti contratti collettivi applicati non rinnovati da più di dieci anni.

Per questa ragione occorre definire un quadro di penalizzazioni per sostenere il percorso di rinnovo dei contratti collettivi. Con una tempistica congrua con i percorsi negoziali.

Per esempio, attraverso la limitazione all’accesso a incentivi, quali benefici economici e normativi sia riferiti ai settori di attività che in relazione a incentivi di natura fiscale e contributiva.

Lo stesso affidamento di appalti e convenzioni deve avere come condizionalità oltre all’applicazione dei contratti collettivi coerenti con l’ambito di attività il loro rinnovo nei tempi che saranno definiti.

Inoltre, anche in questi casi la soglia del salario minimo definito per legge impedirebbe il blocco delle retribuzioni e quindi la concorrenza in dumping.

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