Allo scoppio della prima guerra mondiale (1914), l’Italia mantenne una posizione neutrale. La maggioranza del paese e delle forze politiche (liberali, cattolici, socialisti) rifiutava l’ingresso nel conflitto; anche la CGdL si schierò in modo convinto su queste posizioni, ribadendo la stessa opposizione mostrata durante la guerra coloniale di Libia del 1911-12. Nel giro di alcuni mesi, tuttavia, settori minoritari delle classi dirigenti imposero al Parlamento un colpo di mano che sancì l’intervento italiano in guerra a fianco della Triplice Intesa. Il PSI si ritirò sulla posizione del “né aderire, né sabotare”, mentre la CGdL inaugurò una politica di collaborazione istituzionale con Governo e imprenditori al fine di tutelare nel miglior modo possibile i lavoratori.

La prima guerra mondiale assunse ben presto caratteri devastanti, con un coinvolgimento senza precedenti dei civili. A milioni morirono nei campi di battaglia; in tantissimi, soprattutto donne, furono coinvolti nel sistema della Mobilitazione Industriale. Gli anni di guerra furono drammatici: ritmi asfissianti di lavoro, divieto di sciopero, equiparazione giuridica degli operai ai soldati al fronte. Il 1917 fu l’anno peggiore: già prima della sconfitta militare di Caporetto, nel Paese si registrarono moti popolari di protesta per il pane e contro la guerra; il più imponente si ebbe nel mese di agosto a Torino quando l’esercito sparò sulla folla provocando decine di morti.

Finito il massacro, in molti paesi europei, anche sull’onda delle notizie rivoluzionarie provenienti dalla Russia, scoppiarono numerose rivolte popolari. L’Italia registrò un periodo di accesa conflittualità sociale, il “biennio rosso” (1919-20). Dopo la firma nel febbraio 1919 dei primi contratti nazionali , che sancirono la conquista delle otto ore giornaliere, con l’estate si entrò nel vivo della mobilitazione. Protagonisti di questa fase furono i braccianti nelle campagne, mentre nell’industria operarono i Consigli di fabbrica, le nuove strutture di rappresentanza operaia, promotori di una politica rivendicativa fortemente antagonista, centrata sul controllo dell’organizzazione del lavoro e della produzione. La CGdL mantenne un atteggiamento diffidente verso il movimento dei Consigli, facilitandone in questo modo la sconfitta, avvenuta a Torino nell’aprile 1920. A settembre, dopo una dura vertenza culminata con l’occupazione delle fabbriche, la firma del “lodo Giolitti” tra Governo, CGdL e imprese pose fine al “biennio rosso”. Al V Congresso della CGdL, tenuto a Livorno nel 1921, il sindacato, a differenza del partito socialista, riuscì a evitare la scissione dei comunisti.