Disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 35/2023 recante disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria.
Il tema del Ponte sullo stretto di Messina torna periodicamente alla ribalta.
L’idea è secolare, il progetto supera i cinquanta anni, con un dibattito infinito tra chi lo considera una grande opera e chi un investimento inutile. La società “Stretto di Messina SpA” è stata istituita nel 1981 e dopo alcuni riassetti, nel 2013 è stata posta in liquidazione. La liquidazione di un’impresa non è cosa semplice e il più delle volte occorrono anni per chiudere tutte le partite in corso.
Infatti sono trascorsi dieci anni dal 2013 e questo tempo dimostra che sulla scena politica si sono confrontate diverse posizioni, con il susseguirsi di fasi di stop and go. Rifinanziare una società come Stretto di Messina spa, che in tutti questi anni ha sviluppato un ruolo controverso e opaco, che non ha prodotto nulla, ma solo debiti, contenziosi legali ed è costata al Paese, tra studi e consulenze, circa un miliardo di euro, non crediamo sia un buon viatico per la realizzazione di un’opera così complessa, problematica e dai costi iperbolici. Il rischio che ad uno sperpero di soldi pubblici si assommi un altro sperpero, è
altissimo. Nel 2005 l'impresa Salini si è aggiudicata la gara della realizzazione del ponte sullo stretto di Messina con un ribasso su base d'asta di 500 milioni (3,9 miliardi su 4,4 miliardi). Nel 2011 il costo del progetto è lievitato a 6,3 miliardi fino ad arrivare, l'anno dopo nel 2012, a 8,5 miliardi.
Il via libera alla nuova realizzazione del ponte, con il Consiglio dei Ministri del 31 marzo 2023, indicava una spesa complessiva di 10 miliardi di euro.
A distanza di qualche settimana, nel Def infrastrutture, la spesa viene portata a 14,6 miliardi di euro:
- 13,5 miliardi per il ponte;
- 1,1 miliardi per i lavori complementari e di ottimizzazione alle connessioni ferroviarie lato Sicilia e Calabria.
Dai costi vengono escluse le opere complementari stradali che verranno dettagliate nell'ambito dei Contratti di Programma Anas. Un dato che, se esplicitato, aumenterebbe ulteriormente il costo complessivo dell'opera. Da questo si evince l'incapacità da parte del Mit di quantificare effettivamente la spesa e di prevedere una programmazione economica a copertura della stessa, rinviando l'individuazione di detta copertura in sede di Bilancio e chiedendo alle due regioni, Sicilia e Calabria di dirottare sul Ponte i fondi di Sviluppo e Coesione. Tutto ciò in assoluta mancanza di una opportuna relazione preliminare che quantifichi i costi-benifici dell'opera. Dalle cifre sommariamente indicate dal Mit si evince che i costi della nuova opera sono superiori al 60% di quanto previsto nel 2012, quando venne fermata dal Governo Monti proprio per l'esplosione dei costi. Va ricordato che, per quanto concerne le varianti, la direttiva europea sugli appalti fissa al 50% l'aumento massimo dei costi contrattuali, altrimenti va ripetuta la gara.
In questo caso emerge un aumento contrattuale dei costi che va ben aldilà del 60% ed è presumibile che, con l'aggiunta dei costi infrastrutturali stradali complementari, si vada a superare il 100% dei costi stimati originariamente, una dinamica fuori controllo che tra l'altro imporrebbe, per come indicato dalla UE, la riapertura della gara. Va poi considerato, come auspicato da molti specialisti e studiosi del settore anche in sede di audizione, che in relazione agli aspetti di natura sismica che insistono sull'area dello stretto, il "progetto del Ponte a campata unica andrebbe comunque adeguato ai risultati di nuove indagini, alle nuove normative tecniche per le costruzioni e alle più recenti specifiche tecniche di interoperabilità sul sottosistema infrastrutture e sicurezza delle gallerie ferroviarie". Ricordiamo inoltre che, in questo momento sono ancora pendenti in appello i relativi contenziosi delle società interessate, le quali hanno citato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture. Una situazione complessa dal punto di vista legale che continua a restare assai controversa. È un errore, pertanto, aver predisposto un intervento normativo volto a riavviare l’iter realizzativo dell’opera senza aver risolto in premessa l’insieme delle problematicità sopra esposte. Tra questi un elemento di non secondaria importanza è la questione relativa alla valutazione d’impatto ambientale dell’opera, elemento mancante rispetto all’iter autorizzativo espletato nel 2011.
Consideriamo poi abnorme quanto scritto nel decreto di escludere, ai fini della valutazione ambientale, quanto previsto dal Codice ambiente, eludendo l’applicazione dell’articolo 22 del Codice dei Contratti che invece impone, giustamente, la trasparenza nella partecipazione dei portatori di interessi e il dibattito pubblico.
La CGIL non ha mutato la sua posizione rispetto alla realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria ritenendo quest’opera non prioritaria per il Paese. Questa non è una pregiudiziale sul Ponte, ma riteniamo che sia essenziale portare a termine le infrastrutture strategiche e prioritarie già programmate (ferroviarie, stradali, autostradali e i sistemi urbani) e le grandi opere commissariate e di utilizzare al meglio le risorse del PNRR per dare concretezza agli interventi che davvero servono al Paese.
Riteniamo che la vera urgenza sia la partenza dei cantieri necessari per realizzare le opere e per permettere ai cittadini e alle merci di muoversi in Calabria e Sicilia come in un Paese civile e industrializzato. È necessario superare la contraddizione di un Paese a due velocità costituito dalla forte concentrazione dell'alta velocità solo nel centro nord. Ad oggi a sud di Roma e lungo la dorsale adriatica, la rete ferroviaria è costituita soltanto da collegamenti antiquati come la Roma-Salerno-Reggio Calabria, la rete ferroviaria Siciliana e la Bologna-Taranto. Solo da qualche anno iniziano a decollare i lavori di realizzazione dell'alta velocità rappresentata dalle direttrici ferroviarie Napoli-Bari e dalla Messina-Catania-Palermo. Ragione per cui vaste aree del Sud del Paese rimangono caratterizzate da una scarsissima accessibilità di rete ad alta velocità e ad alta capacità, oltre ad avere una rete convenzionale arretrata, obsoleta e poco efficiente, quasi sempre ad unico binario e senza elettrificazione, come appunto quella calabro-jonica. Sarebbe strategico per la rete del sud il superamento dei cosiddetti “colli di bottiglia” lungo la dorsale adriatica a partire da quello rappresentato dalla Termoli-Lesina; l'accelerazione della programmazione e realizzazione per il collegamento veloce con l'alta capacità tra Salerno, la Basilicata, la Calabria da raccordare al sistema ferroviario pugliese e alla dorsale Adriatica. Accelerando nel contempo la tempistica di realizzazione dell'alta velocità Salerno-Reggio Calabria. Questa sarebbe una soluzione d'insieme che darebbe un forte impulso al decollo
effettivo dei porti nel Mezzogiorno, attraverso la realizzazione delle 5 aree della logistica integrata e allo sviluppo del sistema portuale e delle attività industriali dei retroporti, a partire dalle connessioni ferroviarie e stradali di ultimo e penultimo miglio. Sviluppando in modo efficace una capacità d'integrazione tra le risorse nazionali, europee e quelle messe a disposizione dal Pnrr. Serve una drastica cura del ferro e del trasporto marittimo, potenziando il trasporto via nave lungo lo Stretto e potenziando le infrastrutture per la mobilità sostenibile, con linee ferroviarie elettrificate e a doppio binario, percorse da treni moderni, frequenti e puntuali. Per recuperare, inoltre, il netto ritardo delle regioni del sud e dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei e per raggiungere gli obiettivi che ci sta chiedendo l’Europa in termini di lotta alla crisi climatica, decarbonizzazione dei trasporti e accelerazione della transizione ecologica del Paese. In questo ambito e in questa prospettiva non può né deve essere sottovalutato il contrasto alla corruzione e alle mafie attraverso una forte azione di prevenzione che deve costituire per il Governo una vera e propria priorità nazionale. Consideriamo che l'utilizzazione indiscriminata, nel sistema degli appalti, della procedura di affidamento diretto, della procedura negoziata senza bandi di gara, dell'appalto integrato, possono, nel volgere di poco tempo, determinare aspetti degenerativi in grado di alimentare i livelli di corruzione e di penetrazione della criminalità organizzata negli appalti pubblici. Una situazione questa che, oltre ad inficiare la capacità di realizzazione e la stessa qualità della spesa, avrebbe come riflesso immediato un peggioramento delle condizioni di lavoro e un restringimento dei diritti dei lavoratori per quanto concerne la corretta applicazione dei contratti nazionali e la stessa prevenzione antinfortunistica. È perciò necessaria un’azione che ampi il campo della certificazione e della tracciabilità, promuovendo un costante e preventivo ricorso a strumenti di certificazione antimafia da parte degli operatori economici idonei a contrarre con la PA, come l'iscrizione alle Whitte liste, con una attenzione particolare e stringente nelle procedure di subappalto. Rafforzando e perfezionando, nel contempo, il concretizzarsi dei Protocolli di Legalità stipulati ad hoc con le prefetture competenti, i protocolli per la corretta applicazione dei contratti di lavoro e l'effettiva applicazione del Codice dei Contratti relativamente al corretto svolgimento del Dibattito Pubblico per le grandi opere.