Roma, 17 giugno – “La decisione presa dalla Regione Umbria di ricoverare per tre giorni chi ricorre alla interruzione farmacologica di gravidanza riporta indietro nel tempo conquiste dovute alle lotte delle donne, che hanno fatto sì che diverse regioni deliberassero l’intervento in day hospital, ritenendo inadeguate le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità del 2010, recepite dal Ministero della Salute, che prevedono, appunto, il ricovero di tre giorni”. È quanto si legge in una nota della Cgil nazionale.“Nonostante le affermazioni della Presidente della Regione – si spiega – il ricovero potrà comportare, in questo periodo di criticità dovuto all’emergenza Covid, un ulteriore aggravio organizzativo e di costi per le strutture ospedaliere, e aumentare il rischio di contagio”. “Per questo – prosegue la Confederazione – apprezziamo il fatto che il Ministro Speranza abbia chiesto un nuovo parere all’ISS. Ma non basta: il Ministro deve assumere una decisione politica che renda esigibile il diritto a tutte le donne, ricorrendo alle pratiche meno invasive e meno lesive del diritto di scelta e della privacy”.“Il provvedimento della Regione Umbria – si sottolinea nella nota – è finalizzato ad ostacolare il ricorso alla IVG, e si aggiunge ai tanti impedimenti già in atto, quale l’alto numero di medici obiettori negli ospedali e nei consultori. Sono scelte dannose e punitive nei confronti delle donne – denuncia la Cgil – che determinano sofferenza. Il vero rispetto della legge 194 richiede che si scelgano le pratiche meno invasive”.“Chiediamo al Ministro – si legge in conclusione – di garantire non solo l’applicazione della 194, ma il diritto delle donne all’autodeterminazione, prendendo anche esempio dai tanti paesi europei per la definizione dell’utilizzo della pillola RU486 nelle nove settimane”.