Di seguito riportiamo il testo della memoria unitaria relativa al Decreto-legge 2 gennaio 2023 n.1, recante disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori predisposta per l'audizione di lunedì 16 gennaio 2023. 


Il decreto-legge 2 gennaio 2023, n. 1 si è prefissato di “adottare misure di gestione delle operazioni di soccorso in mare”. Secondo la relazione illustrativa del provvedimento l’intervento operato con il presente decreto “si propone ... di definire le condizioni in presenza delle quali le attività svolte da navi che effettuano interventi di recupero di persone in mare possono essere ritenute conformi alle convenzioni internazionali”.
Il decreto-legge 130/2020 già prevedeva la deroga alla possibilità per l’Esecutivo di limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale: deroga costituita, appunto, dalle “ipotesi di
operazioni di soccorso”.
Il nuovo dispositivo, di fatto, restringe questa possibilità, aggiungendo una serie di condizioni a quelle già presenti: in particolare, la necessità che il porto di sbarco assegnato venga raggiunto “senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso”. Questa condizione rende di fatto impossibile l’eventualità di fermarsi per effettuare un altro salvataggio lungo la rotta, nel caso si presentasse la necessità, entrando in conflitto con gli obblighi internazionali. Sono previste, tra l’altro, per chi è ritenuto non in linea con la legge multe fino a 50mila euro (per il comandante e per l’armatore) e sanzioni che prevedono la confisca della nave per due mesi. Contro il fermo amministrativo della nave “è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al prefetto che provvede nei successivi venti giorni”.

CGIL, CISL, UIL considerano che il decreto miri alla limitazione delle attività di soccorso in mare che tuttavia sono regolate dalle convenzioni internazionali e che sono norme di rango superiore; quindi una ulteriore norma a carattere interno risulterebbe del tutto pleonastica se aderente alle convenzioni o, se introducesse condizioni diverse, rischiando di non essere conforme proprio a quelle normative internazionali che si affermerebbe di voler rispettare.

Vediamo il rischio, che la norma possa produrre ostacolo per il salvataggio in mare, come conseguenza di un’idea, che non condividiamo, secondo cui le attività delle ONG funzionerebbero quale fattore di attrazione per le partenze dei migranti dalla costa Sud del Mediterraneo.

Tra l’altro, i dati testimoniano che i salvataggi in mare effettuati dalle navi di queste associazioni risulterebbero del tutto residuali rispetto al totale. Per quanto di nostra comprensione, ostacolare i trasbordi tra navi o i salvataggi multipli (come dispone il decreto) è del tutto contrario alla legge del mare ed alle normative internazionali, così come l’assegnazione di porti di sbarco lontani contrasta con la necessità che “il porto di sbarco assegnato venga raggiunto senza ritardo” – come dice lo stesso decreto - e sembrerebbe piuttosto mirato a diminuire l’attività delle navi di soccorso delle ONG, con gravi rischi per l’incolumità e la vita delle persone in mare.

Dobbiamo tenere conto delle prese di posizione espresse su questo decreto da illustri costituzionalisti e qualificati esperti legali di diritto internazionale: ad esempio “limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale” per motivi di ordine e sicurezza pubblica in conformità alle previsioni della Convenzione di Montego Bay (Diritto del mare), si porrebbe in aperto conflitto col diritto internazionale di ricerca e salvataggio in mare dei migranti e dei profughi in pericolo di vita.
Non va commesso l’errore di costruire una narrazione secondo la quale si associano le migrazioni a provvedimenti meramente securitari, richiamando il tema del rispetto dell’ordine e della sicurezza pubblica, col rischio di alimentare rabbia sociale, paure e guerre tra poveri nel contesto attuale di grave crisi socio economica.
Risulta problematica, inoltre, la disposizione che pone in capo agli operatori di soccorso in mare la responsabilità di raccogliere “i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità” in caso di interesse delle persone salvate a richiedere la protezione internazionale. Le stesse linee guida dell'Organizzazione Internazionale Marittima (IMO) escludono questa possibilità, disponendo che qualsiasi attività al di fuori della ricerca e salvataggio debba essere gestita sulla terra ferma dalle autorità competenti e non dallo staff delle navi umanitarie.

Siamo consapevoli delle criticità esistenti nel Mediterraneo centrale e, al riguardo, vorremmo evidenziare l’emergenza della situazione in Libia, dove migliaia di persone straniere sono imprigionate in luoghi di detenzione in condizioni disumane e degradanti. La stessa guardia costiera libica nel 2022 ha riportato nei lager di quel paese quasi 23 mila persone. Come CGIL, CISL e UIL chiedemmo prima della scadenza, la revoca del Memorandum con la Libia perché si rivedessero gli accordi alla luce dei dati, delle testimonianze e delle tante denunce che si sono susseguite negli ultimi cinque anni di vigenza del Memorandum stesso. Alla luce del suo automatico rinnovo, sarebbe comunque importante che il governo si faccia promotore, in seno alla UE, di una attività di evacuazione delle vittime dei lager libici e chieda all’UE stessa di assumere posizioni nette contro le milizie del posto notoriamente coinvolte anche in operazioni di traffico di persone.
Siamo convinti che sul tema dell’asilo l’Italia, come Paese di primo approdo, possa trovare la soluzione in seno all’UE richiamando alle proprie responsabilità quei governi che non rispettassero il vincolo di solidarietà, alla base dei principi dell’Unione stessa, intervenendo autorevolmente per cambiare il Trattato di Dublino.
Bisogna uscire dalla paralisi causata dagli egoismi nazionali di quei Paesi UE che, riducendo l’impegno umanitario, danneggiano anche il nostro Paese, oltre che in primis i migranti.

D’altra parte, tutti i dati statistici demografici e sulla forza lavoro, suggeriscono sagge politiche di gestione dei flussi migratori da parte della UE stessa e dei governi nazionali.
Al nostro interno, è necessaria una politica organica che vada oltre un provvedimento come questo, che si riferisce ad una percentuale minima di migranti salvati dalle ONG sul totale di coloro che sbarcano sulle nostre coste.
L’Italia deve avere una visione ben più ampia del fenomeno migratorio per poterne cogliere le opportunità per il Paese e per il mondo produttivo.

I migranti si muovono per disperazione in seguito a guerre, persecuzioni, cambiamenti climatici e per la speranza di migliorare la propria condizione di vita. Sono fattori inarrestabili che fanno parte della natura umana, ma che devono essere gestibili in un quadro di sostenibilità del sistema Paese.

La necessità che vediamo è quella di avviare politiche di medio-lungo termine attraverso una corretta gestione dei flussi e che portino alla costruzione di percorsi di integrazione.

Tutto ciò, secondo CGIL, CISL e UIL si dovrebbe tradurre nella necessità di costruire e perseguire una serie di politiche che vadano nelle seguenti direzioni:
- una governance europea delle migrazioni;
- rendere i canali legali di ingresso più convenienti di quelli irregolari, prevedendo quote sufficienti attraverso i flussi, nonché corridoi umanitari per chi scappa dalle guerre e per chi è detenuto nei lager libici;
- prevedere corsi di lingua italiana e corsi professionalizzanti già nei Paesi di origine, con l’ausilio delle autorità consolari e in sinergia con le reali esigenze delle imprese italiane, anche attraverso la bilateralità degli specifici settori per promuovere un accesso più agevole nel mercato del lavoro.
Tutto ciò richiede una radicale rivisitazione della legge Bossi/Fini;
- va combattuta in maniera più decisa l’economia sommersa che spesso dà albergo al lavoro nero sfruttando i lavoratori ancor più fragili e ricattabili se immigrati e/o irregolari;
- vanno previsti percorsi di emersione e regolarizzazione per poter rispondere pienamente al sistema di diritti e doveri costituzionali. Proprio per questo chiediamo che vengano stabilizzati i 408 lavoratori in somministrazione impegnati nelle Questure e i 582 lavoratori delle Prefetture. Siamo convinti che alla questione immigrazione debbano prevedere tutti i livelli della pubblica amministrazione rafforzati e presidiati. Ciò, se vogliamo creare un sistema adeguato alle sfide che il futuro ci lascia intravedere;
- vanno favoriti e non ostacolati i ricongiungimenti familiari;
- lavorare sull’integrazione nel quotidiano, non solo su emergenza e povertà;
- adeguare le istituzioni, la comunicazione e la mentalità ad un mondo che è diventato più vasto delle nostre idee.
Abbiamo bisogno di idee capaci di andare più avanti del mondo attuale, al di là di sterili pregiudizi e di false narrazioni.